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La ricerca sulle microplastiche deve essere plastic free

Il paradosso del PVC affrontato da un team internazionale di ricercatori guidato dall’università di Pisa
 |  Inquinamenti e disinquinamenti

Lo studio “Limits, challenges, and opportunities of sampling groundwater wells with plastic casings for microplastic investigations”, pubblicato su The Total Environment da un team di ricerca internazionale guidato dall’università di Pisa e che ha visto la partecipazione di ricercatori cinesi dell’Eastern Institute of Technology e della Southern University of Science and Technology (SUSTech) e sudcoreani della Kangwon National University ha affrontato un paradosso: «Quando si studiano le microplastiche c’è il rischio che i risultati siano “inquinati”, per questo è importante che le ricerche siano “plastic free”».

La ricerca  è stata realizzata nell’ambito di SPONGE, una Postdoctoral Fellowship finanziata dalla Commissione Europea all’interno delle Marie Skłodowska-Curie Actions  e coordinata dall’università di Pisa partito nel 2022 che ha come obiettivo lo studio delle microplastiche e di altri contaminanti emergenti nelle falde acquifere urbane. Per l’Ateneo pisano hanno partecipato alla ricerca Stefano Viaroli, Roberto Giannecchini, Riccardo Petrini, Viviana Re e Valter Castelvetro docenti dei Dipartimenti di scienze della Terra, di chimica e chimica Industriale e del Center for Instrument Sharing (CISUP).  

Lo studio ha posto l’attenzione particolarmente sulle indagini sulle acque sotterranee e il suo autore principale, Viaroli del Dipartimento di scienze della Terra dell’università di Pisa, spiega che «Lo studio delle microplastiche nelle acque sotterranee è un argomento relativamente nuovo. Per evitare possibili contaminazioni, all’inizio della ricerca abbiamo definito un protocollo di campionamento e trattamento dei campioni assolutamente “plastic free”, come del resto prescritto dalla comunità scientifica.  Arrivati sul campo però ci siamo trovati di fronte a pozzi e piezometri con rivestimenti e tubazioni in PVC e quindi ci siamo chiesti se e quanto questi elementi plastici potessero compromettere la qualità dell’acqua e i risultati complessivi».

Infatti, Il campionamento delle acque sotterranee si basa su pozzi di monitoraggio e pozzi d'acqua preesistenti, spesso costruiti con rivestimenti o tubi in PVC che pur convenienti in termini di qualità-prezzo presentano, come in questo caso, aspetti problematici. Il team di ricerca ha quindi intrapreso una indagine a tappeto sugli studi esistenti, anche se spesso nei vari lavori le caratteristiche di questi pozzi non sono sufficientemente dettagliate. Dai risultati preliminari è emerso che «Se il PVC supera il 6% della concentrazione totale di microplastiche nei campioni di acqua, è probabile che i rivestimenti e i tubi in PVC siano una fonte locale di inquinamento, inficiando i risultati analitici. Il fenomeno infatti non prefigura allarmi ambientali, anche se studi di fisica o scienza dei materiali avranno in futuro il compito di definire i tassi e processi di invecchiamento del PVC con una quantificazione del possibile rilascio di microplastiche».

Viaroli  conclude: «I pozzi essendo un accesso per raggiungere direttamente le falde possono essere un canale preferenziale di contaminazione, sia di microplastiche che di qualsiasi altro contaminante proveniente dalla superficie. Per questo motivo, è importante che siano correttamente protetti con particolare cautela nel caso di campionamento, per ottenere un dato più significativo sul reale stato dell’intera falda acquifera e non solo del singolo punto».

Redazione Greenreport

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