Greenwashing 1,5° C per gli obiettivi climatici?
In un evento collaterale alla conferenza climatica dellle parti che si è conclusa a Bonn, in preparazione della della 29esima Conferenza delle parti dell’United Nations framework convention on climate change (COP29 Unfccc), la “Troika” delle presidenze della COP Unfccc è stata molto chiara sul fatto che la prossima tornata di Nationally Determined Contributions (NDC) dovrà essere allineata con un limite di riscaldamento globale di 1,5°C. I capi delegazione dei 3 Paesi che hanno ospitato la COP Unfccc nel 2023 (Emirati Arabi Uniti) e la ospiteranno nel 2024 e 2025 (Azerbaigian e Brasile), hanno tutti promesso di dare l’esempio pubblicando «Piani allineati all’1,5 entro l’inizio del prossimo anno».
Ma quello su cui i negoziatori non sono stati molto chiari è cosa voglia dire per un NDC essere allineato allobiettivo di ’1,5° C dell’Accordo di Parigi.
Catherine Abreu, fodatrice e direttrice esecutiva di Destination Zero ha chiesto al capo della delegazione brasiliana Liliam Chagas cosa ne pensi del rischio di “1.5 washing” e Chagas ha ammesso che «Non esiste una metodologia concordata a livello internazionale e multilaterale per definire cosa sia un NDC allineato agli 1.5. Sta a ciascuno decidere».
La moderatrice dell’evento collaterale, Fernanda Carvalho, responsabile clima del Wwf International, ha ricordato che «Gli scienziati dell'IPCC affermano che l'allineamento a 1,5°C significa tagliare le emissioni a livello globale del 43% entro il 2030 e del 60% entro il 2035, ma senza fornire disaggregazioni nazionali. Climate Action Tracker ha una metodologia. Questo dimostra che finora nessuna delle principali nazioni ha piani climatici allineati con gli 1,5°C».
Alden Meyer, un esperto di E3G, ha fatto notare ai negoziatori emiratini, azeri e brasiliani che «Potremmo anche avere alcuni disaccordi su cosa esattamente un NDC deve includere per essere allineato all'1.5, ora sappiamo cosa deve escludere: deve escludere qualsiasi piano per espandere la produzione e l'esportazione dei combustibili fossili». Ma far questo è come parlare di corda in casa dell’impiccato, visto che tutti e tre i Paesi della Troika sono produttori di petrolio e gas e non hanno intenzione di smettere di trivellare, estrarre, produrre o esportare i loro combustibili fossili e di fatto ne stanno aumentando la produzione .
Il brasiliano Claudio Angelo, coordinatore delle politiche internazionali per l' Observatório do Clima, ha sottolineato che «Spetta ai Paesi ricchi agire per primi, ma questa non è una scusa per non fare nulla. Anche ieri, ha osservato, il presidente Lula parlava con gli investitori sauditi dell'apertura di una nuova frontiera petrolifera sulla costa settentrionale del Brasile».
Aprendo la conferenza di Bonn la scorsa settimana, il segretario esecutivo dell’Unfccc, Simon Stiell, si era si era lamentato per il fatto che «Finora solo 57 governi hanno messo insieme un National Adaptation Plans (NAP) per adattarsi agli impatti del cambiamento climatico. Quando ci incontreremo a Baku, questa cifra dovrà crescere sostanzialmente. Abbiamo bisogno che ogni Paese abbia un piano entro il 2025 e faccia progressi nella sua attuazione entro il 2030».
Ma, che sia allineato o meno all’1,5, nessun governo ha sfruttato la conferenza Bonn per rilasciare anticipatamente un NDC. Il leader azero della Troika, Rovshan Mirzayev, ha ammesso che «Alcuni, ma non più di 10 NDC dovrebbero essere pubblicati entro la COP29 a novembre».
Alla conferenza pre CO29 di Bonn i Paesi in via di sviluppo hanno spinto affinché i negoziati sui NAP includessero i "mezzi di attuazione" – che in codice significa denaro contante - per pianificare e attuare misure di adattamento, ma non è stato raggiunto alcun accordo concreto.
Anche i colloqui sul Global Goal on Adaptation sono incentrati sulla finanza. I Paesi in via di sviluppo vogliono tenere traccia dei finanziamenti forniti per ciascun obiettivo, mentre i Paesi sviluppati vogliono evitare la quantificazione e qualsiasi forma di obiettivo di finanziamento di adattamento autonomo per l’obiettivo. Inoltre, Paesi ricchi e poveri sono divisi su come i negoziatori stessi dovrebbero gestire il processo per elaborare gli indicatori rispetto agli esperti indipendenti. I Paesi sviluppati vogliono un ruolo maggiore per l’ Adaptation Committee, un organismo composto principalmente da negoziatori governativi, mentre i Paesi in via di sviluppo vogliono che siano specialisti non governativi, con un equilibrio che rispetti la rappresentanza regionale. a gestire tutto il processo.
Il Suriname è uno dei 57 Paesi ad avere un NAP, anche perché la sua costa viene mangiata dal mare che invade i centri abitati costieri e l’acqua salate rende impossibile coltivare terreni prima fertili. Il NAP del piccolo e poverissimo Paese sudamericano spiega come vuole minimizzare questo fenomeno. Tiffany Van Ravenswaay, una negoziatrice climatica dell’Alliance of Small Island (AOSIS) che lavorava per il governo del Suriname, ha detto a Climate Home che per le piccole isole e i Paesi più poveri è molto difficile mettere a punto questi piani: «Abbiamo una persona che ricopre 5 o 7 ruoli nello stesso governo. Questi funzionari pubblici molto impegnati spesso non hanno il tempo di compilare un NAP di 200 pagine e poi una richiesta di denaro al Green Climate Fund o all’Adaptation per implementarlo, accompagnato da una tesi sul motivo per cui questi impatti sono sicuramente causati dal cambiamento climatico. Ci vogliono molti dati, molto lavoro e anche molte risorse umane. Quel che serve, sono fondi per il rafforzamento delle capacità, per assumere e formare le persone».
L’argentina Cecilia Quaglino si è trasferita a Palau, per scrivere, insieme a un solo collega, il NAP di questo un piccolo Stato insulare del Pacifico e ha detto a Climate Home: «Stiamo lottando per prepararlo entro il prossimo anno. Abbiamo bisogno di competenze, finanziamenti e risorse umane».