Con l’acqua è a rischio anche il 40% del Pil italiano, Proger: «Quella riciclata deve avere un suo valore»
La siccità avanza nel Paese, eppure ad oggi l’Italia riesce a riutilizzare solo il 4% dell’acqua che depura. Un tema che è stato oggi al centro del convegno che ha lanciato il nuovo rapporto Water Intelligence, affrontato di petto dal responsabile del dipartimento Ambiente e geologia di Proger, Marco Sandrucci.
«Le risorse idriche italiane ad oggi vengono gestite in termini emergenziali, che ne minimizzano l’efficacia e ne aumentano i costi di intervento e di gestione – spiega Sandrucci – È necessario cambiare gestione dell’acqua dove lo scarto di un uso possa essere l’approvvigionamento di un altro. È una logica propria di una cultura dell’economia circolare, dove l’acqua riciclata deve avere un suo valore economico, aspetto che non a caso sta attirando l’attenzione del mondo della finanza (green bond e altri asset finanziari). L’acqua, ancor più se trattata e riciclata, è un bene economico e come tale deve avere un suo valore che ne consenta l’inserimento nell’ambito di investimenti finanziari a supporto delle idroesigenze pubbliche e private».
Del resto l’acqua è una risorsa indispensabile alla vita, ma anche all’economia italiana. «L'intelligenza artificiale, coi suoi algoritmi e la sua capacità predittiva, ha già un ruolo importante nel contrasto alle perdite idriche che però, a causa della vetustà delle reti, continuano a rappresentare uno dei principali problemi delle infrastrutture italiane ed europee – argomenta nel merito Enrico Pezzoli, responsabile sviluppo business idrico del gruppo Acea – La water intelligence, infatti, non è in grado di “riparare” sistemi idrici ormai obsoleti: nuovi investimenti, oltre alle nuove tecnologie, restano l’unica soluzione. Serve un piano nazionale per l’acqua con una strategia unica che coniughi economia e ambiente, riduca la frammentazione delle gestioni, prolunghi le concessioni e punti alla raccolta e al riuso dell’acqua, una risorsa che “abilita”, non solo le nostre vite, ma anche circa il 40% del Pil nazionale».
Non a caso il rapporto Water Intelligence delinea gli investimenti necessari a sostenere la sicurezza idrica e idrogeologica italiana, da finanziarsi con 17,7 mld di euro l’anno in dieci anni. Una programmazione però ancora molto distante dall’orizzonte delle policy nazionali come anche dell’opinione pubblica.
Come osserva nel merito il presidente dell’associazione nazionale che riunisce i Consorzi di bonifica (Anbi), Francesco Vincenzi, la siccità in corso «in Sicilia, ma che progressivamente sta risalendo dal Meridione all'Italia centrale, ha caratteristiche peggiori delle scorse, grandi siccità del nord, ma sta incontrando una minore attenzione dell'opinione pubblica: mai era successo di dover abbattere capi animali per l'impossibilità di alimentarli e dissetarli! Purtroppo ci stiamo assuefacendo alla cultura del disastro».
Secondo quanto pubblicato dall'Autorità di bacino del distretto idrografico della Sicilia al 27 maggio, dei 288,95 milioni di metri cubi allora trattenuti dalle 29 dighe dell'Isola, l'acqua realmente disponibile nei bacini (dalla capacità già ridotta dall'incuria per la grande presenza di sedime sui fondali) era poco più della metà (154,23 mln mc), dovendo sottrarre, ad esempio, i volumi destinati alla sopravvivenza dell'ittiofauna, quelli di sicurezza dell'invaso e quelli destinati ad un'accelerata evaporazione; nel dettaglio, in 11 dei 29 grandi serbatoi siciliani, il volume utilizzabile oscillava tra 0 ed 1 milione di metri cubi, mentre in altri cinque era tra 1 e 2 milioni.
«Considerato che dal 27 Maggio non ci sono state piogge significative sulla Sicilia – aggiunge Massimo Gargano, dg Anbi – è presumibile che l'acqua rimanente in oltre la metà dei bacini dell'Isola sia di fatto inutilizzabile. Al netto delle responsabilità della politica, incapace di rispondere adeguatamente all'incedere della crisi climatica, lo scenario, avvalorato dall'European drought observatory, è di un allarme rosso per la grande aridità, anticipatrice della desertificazione, su oltre il 50% dei territori in Sicilia, Puglia e Basilicata, cui aggiungere zone costiere di Calabria e Sardegna, nonché zone localizzate lungo la dorsale appenninica e la fascia adriatica».