Poca trasparenza e poca concorrenza nei servizi pubblici locali
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) fa sentire la sua voce sul funzionamento dei servizi pubblici locali, a poche settimane da un analogo intervento della Corte di conti. Ne emerge un quadro problematico, che descrive una tenace resistenza degli enti locali a promuovere concorrenza e mercato, resistenza che si esprime in vari modi, tutti denunciati con forza dall’Agcm nelle sue “osservazioni” alla Ricognizione SPL 2023. Vediamo quali.
Tutto nasce dal recente D.lgs. n. 201/2022 (Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica) che “costringe” le amministrazioni locali (almeno quelle più grandi) a pubblicare su un sito specifico dell’Anac (Autorità nazionale anticorruzione), le relazioni annuali sullo stato dei servizi pubblici locali e degli affidamenti.
L’Agcm cosi ha potuto esplorare una nuova fonte di informazioni per analizzare questo settore. Ne emerge un quadro già descritto da altri studi, ma questa volta la fonte è nuova (è la prima volta che si applica quel decreto del 2022), estesa (1.633 relazioni pubblicate sul portale di Anac), e dettagliata (si parla di affidamenti, contratti di servizio, performance economiche).
Scarsa trasparenza e reticenza
Il primo dato scoraggiante è il tasso di risposta delle amministrazioni all’obbligo di trasmettere relazioni e ricognizioni: solo il 58 % degli enti lo fa, il 36 % nel sud Italia. Forse dovuto alla novità della procedura, ma di sicuro esiste una Italia che sfugge a meccanismi di trasparenza minimi e c’è da scommettere che chi non dichiara non abbia performance dei servizi eccellenti, a partire dalle Regioni che in molti casi non dichiarano niente, convinte di non doverlo fare (Agcm ha spiegato che devono, anche quelle a statuto speciale).
La “resistenza” degli enti a fornire informazioni non si traduce solo in mancate comunicazioni. Molti enti infatti limitano le risposte solo ad alcuni servizi pubblici locali e non a tutti e ai soli affidamenti in house e non a quelli affidati a spa miste o a soggetti terzi. L’Agcm nella sua nota segnala con forza questa criticità, richiamando tutte le amministrazioni a fornire tutte le informazioni, senza reticenze o arbitrarie interpretazioni. Un richiamo estremamente utile perché se venissero forniti dati su tutte le gestioni, non solo quelle in house, si potrebbero fare dei confronti utili, comparando le performance dei gestori pubblici con quelle dei gestori privati.
L’Antitrust poi entra nel merito delle criticità emerse dall’analisi delle (solo parziali) relazioni visionate.
In house non motivate
Emerge prima di tutto una scarsa motivazione economica e tecnico-gestionale alla base della scelta di mantenere o attivare affidamenti in house, come richiesto dalla legge italiana.
“Proprio rispetto ai servizi di gestione dei rifiuti, l’Autorità ha riscontrato, per molti affidamenti disposti dai Comuni, la mancata indicazione, nei piani di revisione (…) delle ragioni che, sul piano economico e della qualità dei servizi, giustificassero il mantenimento dell’affidamento del servizio alle società partecipate in house”.
Più in generale scarse sono le informazioni fornite sulla qualità dei servizi, l’andamento economico, la distanza fra risultati ottenuti rispetto a quelli previsti. La nota è chiarissima:
“Questa diffusa mancanza di informazioni è apparsa tanto più preoccupante in relazione a servizi centrali quali il servizio idrico, il servizio di gestione dei rifiuti e il servizio di trasporto pubblico locale, che impattano in maniera decisiva e articolata il vissuto quotidiano dei residenti (e dei non residenti) e, più in generale, l’organizzazione della società in una determinata località”.
Mancato rispetto di standard e obblighi di servizio e pochi controlli
Dall’analisi dell’Autorità emerge con chiarezza la frequente mancanza di rispetto degli obblighi dei contratti di servizio da parte dei gestori, la scarsa attività degli enti affidatari di porre in atto azioni correttive, il trasferimento di queste criticità in insoddisfazione manifestata dai consumatori. Scarsa anche la rispondenza dei servizi erogati agli standard di qualità previsti dell’Autorità di regolazione (Arera), specie nel settore del servizio idrico e della gestione dei rifiuti urbani.
Eccessiva e immotivata durata dei contratti, proroghe ingiustificate
Un’altra criticità riscontrata da Agcm riguarda l’eccessiva durata dei contratti di appalto e concessione, non giustificata da investimenti con lunghi periodi di rientro. Cosi come diffuso appare il ricorso a proroghe non giustificate di affidamenti in essere. Due fenomeni che tendono a alterare il mercato e deprimere la concorrenza.
Commistione fra comune regolatore e gestore
Infine l’Antitrust rileva una ancora diffusa “commistione” fra ruolo degli Enti di regolazione (Enti di ambito) e ruolo di socio dei gestori in house, opzione chiaramente proibita dalla legge ma ancora in parte praticata, specie al sud.
Criticità diverse ma tutte segnate dalla stessa volontà: evitare al minimo il ricorso al mercato e alle procedure concorrenziali, in una difesa della gestione pubblica spesso immotivata, che scarica poi sui cittadini inefficienze e costi.
Non a caso è intervenuta l’Autorità garante della concorrenza e del mercato.