Il nuovo "modello Barcellona" contro il turismo degli affitti brevi partirà (forse) dal 2029
Questa volta si fa sul serio. A Barcellona già nel 2017 era stata vietata l’apertura di nuovi alloggi turistici (hotel, pensioni e appartamenti) nel centro storico, mentre nei quartieri limitrofi al centro nuovi posti letto erano possibili solo in sostituzione di quelli dismessi.
Ora però di mira sono i soli affitti brevi e si vuole letteralmente cancellarli. Il sindaco Jaume Collboni ha annunciato che non solo non verranno rilasciate nuove licenze, ma non verranno nemmeno rinnovate le licenze attuali per oltre 10mila appartamenti.
Mentre anche in Italia qualcuno già evoca il “modello Barcellona”, a sostituzione del “modello New York” di moda qualche mese fa, domandiamoci quali potranno essere gli effetti.
Innanzi tutto, la decisione, annunciata con tanto clamore, riuscirà veramente a diventare operativa? Le attuali licenze scadono entro il novembre 2028 e quindi la data di applicazione, ossia il 2029, non è proprio dietro l’angolo.
“A pensar male”, si può anche ipotizzare la volontà di diluire e rinviare oltre le prossime scadenze elettorali le inevitabili controversie legali e politiche. Certamente a Barcellona molti vedono i turisti come “locuste” e da anni il tema dell’overtourism ha influito sulla politica locale. Ma non si può nemmeno dimenticare che il turismo a Barcellona nel 2023 occupava più di 155 mila persone e gli affitti brevi rappresentavano una fetta importante, stimata attorno al 40% dell’offerta ricettiva.
Il turismo a Barcellona diventerà più sostenibile? Guardiamo quello che è successo a New York.
Nel breve termine, la regolamentazione restrittiva ha causato un vero e proprio crollo del mercato, con annunci diminuiti di oltre l'80%, passando dagli oltre 22mila in agosto ai 3mila al 1° ottobre. Si è trattato di un danno significativo per molti proprietari, ma marginale per le piattaforme,se consideriamo che l’offerta globale della sola Airbnb è di 7,7 milioni di annunci.
In compenso, la caduta degli affitti brevi ha rappresentato una vera e propria manna per gli albergatori. I tassi di occupazione sono stati da record, ma i prezzi sono diventati inavvicinabili per le fasce di popolazione a reddito medio: la tariffa media giornaliera per una notte ha superato i 300 dollari nel 2023, con un aumento dell’8,5% rispetto all’anno precedente.
Se fermare gli affitti brevi vuol dire sostenibilità, allora ci troviamo di fronte ad una “sostenibilità per ricchi”, in cui la “massa” viene selezionata in ragione della sua capacità di essere – come si dice oggi per essere politicamente corretti – “altospendente”: è quello che vogliamo?
D’atra parte gli affitti brevi hanno ormai un ruolo insostituibile in un’offerta di destinazione. Sono richiesti non solo per i prezzi che possono (non sempre) garantire, ma per il tipo di ospitalità che offrono. Non è un caso che ormai tutte le grandi catene alberghiere posseggano un brand specializzato. E, per citare un esempio di casa nostra, la bozza di nuova legge quadro sul turismo della Regione Toscana prevede saggiamente che gli alberghi, a determinate condizioni, possano “associare nella gestione civili abitazioni che sono nella disponibilità della struttura alberghiera”.
Tra le conseguenze delle restrizioni a New York spicca poi la rapida crescita di un mercato nero online, che opera, su piattaforme alternative come Craigslist, ma anche su Facebook, Instagram etc., ai margini della legalità e con una problematica deregolamentazione dei rapporti.
Un’alternativa è lo sviluppo delle location periurbane e delle città vicine, più a buon mercato. Si tratta di un fenomeno che conosciamo anche noi, come a Venezia col suo entroterra divenuto dormitorio del turismo lagunare, o a Firenze col patrimonio di stanze delle decadute città termali. Quindi l’effetto di una contrazione di offerta e di un innalzamento dei prezzi rischia di essere l’aumento di un turismo che questa volta è veramente sì “mordi e fuggi”, dato che non pernotta, spende meno e mette a dura prova parcheggi e infrastrutture di accesso alla città.
Insomma, tutto meno che un turismo governato e sostenibile.
A Barcellona però l’argomentazione principale ora proposta è quella relativa agli affitti, che negli ultimi dieci anni sono aumentati del 68%, rendendo proibitivo risiedere in città alle fasce meno abbienti della popolazione. Cancellare gli affitti brevi e rimettere sul mercato qualcosa come 10mila appartamenti è la soluzione?
A New York gli effetti delle restrizioni sono stati finora contenuti. La transizione dal breve al lungo termine si realizza solo parzialmente e progressivamente. I prezzi calano ma nell’ultimo anno in media non abbiamo più di un modesto -4% a Manhattan e -2% a Brooklyn.
Un recente lavoro apparso sull’autorevole Harvard Business Review ci mette allora in guardia sulla fallacia del senso comune, argomentando come gli affitti brevi non siano la causa dell’aumento degli affitti e certamente non per quelle tipologie di appartamenti rilevanti per le fasce più deboli. Ne consegue che estinguere il mercato degli affitti brevi non può fare il miracolo e soprattutto non può essere un surrogato efficace di una politica di sviluppo edilizio a prezzi calmierati.
Questo è ciò che sappiamo. Quanto a Barcellona, aspettiamo con pazienza il 2029.