Come far pagare il conto della crisi climatica all’1% degli europei più ricchi

Aumentare la progressività delle tasse su grandi patrimoni, plusvalenze finanziarie e profitti delle multinazionali permetterebbe di coprire tutti gli investimenti per la transizione ecologica

[23 Agosto 2023]

Per vincere la lotta contro la crisi climatica in corso si stima occorra investire, in Europa, almeno 230 mld di euro annui in più sul fronte della mitigazione insieme ad altri 35-200 mld l’anno in politiche di adattamento.

Si tratta dell’opzione più economica e sensata nostra disposizione, considerando che solo la recente alluvione in Emilia-Romagna ha provocato 9 miliardi di euro di danni, e che nel corso della scorsa estate in Italia sono morte 18mila persone a causa delle ondate di calore.

Ciò non toglie che le risorse da mettere in campo per alimentare la transizione ecologica siano elevate. Da dove prelevarle? Un nuovo studio pubblicato dalla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, presentato ieri direttamente dai suoi autori sulla rivista il Mulino, suggerisce di andare a prenderle direttamente dai principali responsabili della crisi climatica: i più ricchi.

I ricercatori propongono di affrontare due grandi problemi in un colpo solo: da una parte la continua crescita delle disuguaglianze economiche, particolarmente grave in Italia, dall’altra la crisi climatica.

Un primo passo in tal senso è già arrivato da parte della Commissione Ue, che a luglio ha dato il via libera all’iniziativa dei cittadini europei (Ice) volta a “Tassare i grandi patrimoni per finanziare la transizione ecologica e sociale”, che ora è chiamata a raccogliere 1 milione di firme per andare avanti.

Ma lo studio pubblicato dalla Sant’Anna è ben più articolato, suggerendo di ampliare la progressività delle tasse su grandi patrimoni, plusvalenze finanziarie e profitti delle multinazionali.

«Diversi studi hanno dimostrato che i tagli alle imposte beneficiano solamente la crescita dei redditi più elevati», evidenziano gli autori, mentre «alcuni studi del Fondo monetario internazionale suggeriscono che una minore disuguaglianza si associa a una crescita più sostenuta e che la redistribuzione non danneggia la crescita dell’economia».

Al contempo «recenti studi del World inequality Labme di Oxfam hanno stimato che quasi la metà delle emissioni di CO2 è attribuibile al 10% più ricco della popolazione a livello globale». Sempre Oxfam osserva che il l’1% più ricco degli europei è responsabile del 7% delle emissioni climalteranti.

Appare dunque logico, oltre che etico, pensare di prelevare le risorse necessarie a finanziare la transizione ecologica dalle fasce più abbienti della popolazione.

Lo spazio per agire del resto è ampio: come documenta lo studio The concentration of personal wealth in Italy 1995-2016, la ricchezza dello 0,1% degli italiani più ricchi è raddoppiata (e quella dello 0,01% triplicata) dalla metà degli anni ’90, mentre quella posseduta dalla metà più povera del Paese è calata dell’80%.

In concreto, gli autori della ricerca In search of lost time: An ensemble of policies to restore fiscal progressivity and address the climate challenge – ovvero Demetrio Guzzardi, Elisa Palagi, Tommaso Faccio e Andrea Roventini – propongono di agire a livello Ue seguendo tre linee d’azione complementari.

In primis «un’aliquota modesta, dell’1%, sui patrimoni dell’1% più ricco della popolazione, quelli oltre il milione e mezzo di euro a livello europeo, avrebbe un forte potenziale di aumentare il grado di progressività» oltre a garantire un gettito pari allo 0,6% del Pil dell’Ue, pari a 155 mld di euro annui.

La seconda misura fiscale considerata è un’imposta sulle plusvalenze finanziarie e immobiliari: «Le nostre prime stime – argomentano i ricercatori – mostrano che l’introduzione di un’imposta sulle plusvalenze latenti dell’1% più ricco della popolazione Ue (considerandole realizzate ogni cinque anni, come suggerito da Saez e Zucman in un recente studio) produrrebbe un gettito annuo di 62 miliardi di euro, pari allo 0,4% del Pil dell’Ue».

Come terzo pilastro fiscale, lo studio propone infine un’imposta sui profitti delle multinazionali. Partendo dal risultato già conseguito nel 2021, quando più di 130 Paesi hanno firmato un accordo per realizzare un’imposta minima del 15% sui profitti delle multinazionali, i ricercatori osservano che «variando l’aliquota tra 15% e 25% il gettito generato andrebbe da 90 a 255 miliardi di euro, dunque tra lo 0,5% e l’1,5% del Pil dell’Unione».

In totale, si tratta dunque di ridurre le disuguaglianze drenando dai più ricchi del continente – con tasse più che sostenibili per le loro tasche – dai 307 ai 472 miliardi di euro l’anno, quanto basta per finanziare interamente la lotta alla crisi climatica.

Una strategia che permetterebbe di dare una risposta concreta al 66% degli italiani che chiede di accelerare la transizione ecologica e di dissipare le incertezze che ancora resistono su questo fronte, a causa di un’informazione (e di una politica) che non riesce a rappresentare adeguatamente il problema e le sue soluzioni.