Avanza il water grabbing, l’accaparramento dell’acqua mina la stabilità sociale del mondo

Globalmente il 70% dell'acqua viene utilizzato per scopi agricoli, mentre il 22% è destinato all'industria e solo l'8% all'uso domestico

«La pratica del water grabbing – conosciuta anche come “accaparramento dell’acqua” – emerge come una delle sfide più significative che minacciano le risorse idriche globali e il benessere delle comunità che ne dipendono», scrive Marirosa Iannelli, presidente del Water grabbing observatory sulla rivista Babel di Cospe.

Stando ai dati raccolti dall’Ipcc, ogni anno la temperatura media del pianeta continua a segnare nuovi record, evidenziando il profondo legame tra il cambiamento climatico e la crescente crisi idrica mondiale. Questa crisi non solo si manifesta attraverso eventi estremi come alluvioni e siccità, ma anche attraverso un graduale esaurimento delle risorse idriche disponibili, mettendo a dura prova la capacità di adattamento delle società umane.

«La distribuzione disuguale dell’acqua è un problema centrale», evidenzia Iannelli. Nonostante il pianeta sia ricoperto da una vasta quantità di acqua, solo una piccola frazione di essa è dolce e potabile, e questa è distribuita in modo estremamente disuguale tra le diverse regioni del mondo.

In aggiunta, il consumo e l’accesso all’acqua sono influenzati da una serie di fattori sociali, politici ed economici, con alcune popolazioni che hanno accesso limitato o addirittura nessun accesso all’acqua potabile, mentre altre ne fanno un uso eccessivo e spesso inefficiente.

Cospe si impegna da sempre per il diritto all’acqua. Nel 2023, ha lanciato la campagna “Emergenza Angola” in risposta alla grave crisi che sta affrontando il paese, soprattutto nelle province meridionali di Namibe, Huila e Cunene, dove Cospe è attiva da oltre 30 anni nel fornire acqua a 4.000 persone in pericolo di carestia e nel supportare le comunità agropastorali con la piantumazione di alberi e la realizzazione di infrastrutture idriche aggiuntive.

Globalmente, il 70% dell’acqua viene utilizzato per scopi agricoli, mentre il 22% è destinato all’industria e solo l’8% all’uso domestico.

Questa crescente domanda di acqua da parte di settori come l’agricoltura e l’industria ha portato a una serie di conflitti per il controllo delle risorse idriche, sia a livello locale che internazionale.

La privatizzazione e la commercializzazione del servizio idrico hanno ulteriormente complicato la situazione, portando spesso a una gestione non sostenibile delle risorse idriche e a una maggiore marginalizzazione delle comunità più vulnerabili.

Il fenomeno del water grabbing non riguarda solo l’appropriazione diretta delle risorse idriche da parte di attori statali o privati, ma anche la privatizzazione dei diritti di sfruttamento e concessione, che vengono negoziati e scambiati sui mercati finanziari globali.

«Questo fenomeno mina non solo i diritti umani e la sicurezza alimentare delle comunità locali, ma anche la stabilità economica e sociale dei Paesi, soprattutto quelli più vulnerabili», sostiene la presidente del Water grabbing observatory.

Organizzazioni e osservatori come il Wgo sono impegnati nella documentazione e nella sensibilizzazione riguardo a queste violazioni dei diritti umani e ambientali legate all’acqua.

«Questo sforzo richiede una collaborazione globale e un impegno condiviso per affrontare le sfide legate alla gestione delle risorse idriche e mitigare gli impatti del cambiamento climatico sulle comunità più vulnerabili», conclude Iannelli.