La svolta green della BP di fronte al calo a lungo termine dei prezzi del petrolio

Le multinazionali europee hanno capito che l’emergenza climatica renderà il petrolio meno prezioso, quelle Usa no

[16 Giugno 2020]

A metà febbraio, il gigante petrolifero BP  aveva annunciato di voler «Reimmaginare l’energia per le persone e il nostro pianeta», con l’ambizione di diventare una compagnia net zero entro il 2050 e si è quindi concentrata su tre aree chiave: «Sviluppare la sua strategia per creare un’azienda energetica più diversificata, resistente e a basse emissioni di carbonio, Reinventare la BP in un’organizzazione più snella, più veloce e più economica, Rafforzare le sue finanze in risposta al un ambiente difficile».

La BP era già convinta che, nel lungo termine, i combustibili fossili avessero un futuro difficile e ora ne è ancora più convinta con la pandemia di Covid-19, continuata nel secondo trimestre del 2020, «che ha un impatto duraturo sull’economia globale, con il potenziale di una domanda più debole di energia per un periodo prolungato». Inoltre, il vertice della BP è convinto che «Le conseguenze della pandemia accelereranno il ritmo della transizione verso un’economia e un sistema energetico low-carbon, poiché i Paesi cercano di “ricostruire meglio” in modo che le loro economie siano più resilienti in futuro».

Come risultato di tutto questo, BP ha rivisto le sue ipotesi sui prezzi a lungo termine, «abbassandole ed estendendo il periodo coperto fino al 2050 in modo che ora sia coerente con il suo orizzonte di ambizione». Per questo, la multinazionale sta anche rivedendo i suoi progetti di esplorazione di giacimenti di idrocarburi.

In un comunicato, Bernard Looney, amministratore delegato della BP, spiega che «A febbraio abbiamo deciso di diventare una net zero company entro il 2050 o prima. Da allora abbiamo agito, sviluppando la nostra strategia per diventare una compagnia più diversificata, resiliente e lower carbon. Nell’ambito di tale processo, abbiamo rivisto le nostre ipotesi sui prezzi su un orizzonte più lungo. Tale lavoro è stato informato dalla pandemia di Covid-19, che sembra avere sempre più un impatto economico duraturo. Quindi, abbiamo rivisto le nostre previsioni sui prezzi per riflettere tale impatto e la probabilità di maggiori sforzi per “ricostruire meglio” per un mondo coerente con l’Accordo di Parigi. Stiamo anche rivedendo i nostri piani di sviluppo. Tutto ciò comporterà un peso significativo nei nostri prossimi risultati, ma sono fiducioso che queste difficili decisioni – radicate nella nostra ambizione net zero e confermate dalla pandemia – ci consentiranno di competere meglio  nella transizione energetica».

Le ipotesi a lungo termine  – dal 2021-2050 – rivedute della valutazione degli investimenti della  BP sono ora in media di circa 55 dollari al barile per il Brent e di 2,90 per mmBtu per l’Henry Hub gas ($ 2020 reali e la BP considera queste ipotesi di prezzo a lungo termine più «Sostanzialmente in linea con una serie di percorsi di transizione coerenti con gli obiettivi climatici di Parigi. Tuttavia, non corrispondono ad alcuno specifico scenario coerente di Parigi». La BP ha anche rivisto i suoi prezzi del carbonio fino al 2050 e ora li stima in 100 dollari/teCO2 nel 2030.

Commentando il comunicato della BP, L’analista ambientale della BBC, Roger Harrabin, ha detto che «Il Mare del Nord è difficile e costoso da sfruttare, quindi, da parte di BP, questa è una decisione chiaramente basata sul business. Ma le conseguenze per il clima sono potenzialmente molto significative. Gli esperti hanno avvertito per anni che le compagnie avevano già scoperto molto più petrolio di quello che possiamo permetterci di bruciare se vogliamo proteggere il clima. Questo, in parte, è un riflesso di quella nuova realtà. Vedremo come risponderanno le altre compagnie».

Charlie Kronick, consulente senior per il clima di Greenpeace UK, ha commentato: «Questa enorme falla nel bilancio di BP suggerisce che alla fine BP ha capito che l’emergenza climatica renderà il petrolio meno prezioso. BP deve proteggere la sua forza lavoro e fornire formazione per aiutare le persone a spostarsi in lavori sostenibili nella disattivazione e nell’eolico offshore».

Secondo Carbon Tracker, che recentemente ha pubblicato il  rapporto Decline and Fall: The Size & Vulnerability of the Fossil Fuel System”,  «Total, Repsol, Shell e BP hanno effettuato significative revisioni al ribasso delle loro ipotesi di riduzione dei prezzi nell’ultimo anno, guidate almeno in parte dalla transizione energetica». Per esempio, Total e Repsol ipotizzano prezzi del petrolio in base agli scenari degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) con cali a lungo termine; Shell e BP ipotizzano scenari paragonabili.

Ma a Carbon Tracker credono che i prezzi utilizzati dalle grandi multinazionali energetiche siano più alti di quanto darebbe loro davvero la convinzione per un allineamento con gli obiettivi di Parigi: «Secondo la nostra stima, i livelli della domanda di petrolio per gli SDG possono essere soddisfatti da progetti che producono un tasso di rendimento interno (IRR) del 15% per il prezzo del petrolio alla fine degli anni ’40».

Le multinazionali europee sono molto più avanti rispetto a quelle statunitensi: ExxonMobil, Chevron o ConocoPhillips non prevedono affatto ipotesi di riduzione dei prezzi e non tentano nemmeno di allinearsi agli impegni internazionali sul clima. Carbon Tracker evidenzia. «Riteniamo che il principio secondo cui la transizione energetica viene incorporata nei rendiconti finanziari e nei processi di audit sia uno sviluppo positivo . Speriamo di vedere nei prossimi anni un’integrazione più diffusa, più profonda e più coerente dei vincoli climatici in tutte le pratiche aziendali».