Presentato a Roma lo studio commissionato da Greenpeace, Legambiente e Wwf

L’Italia può produrre il 100% dell’elettricità da fonti rinnovabili al 2035: ecco come

«L’Italia ha tutte le caratteristiche per diventare un hub strategico delle rinnovabili, e non del gas come invece vuole il Governo Meloni, ma per farlo deve trovare il coraggio»

[12 Giugno 2023]

Nell’ultimo anno, le energie rinnovabili hanno coperto appena il 31% della domanda italiana di elettricità: un dato che nonostante tutto può salire al 100% entro il 2035, con grandi benefici sia per le tasche dei cittadini sia per il clima.

A documentarlo è un nuovo studio, con le relative raccomandazioni di policy, commissionato dalle tre principali associazioni ambientaliste attive in Italia – Greenpeace, Legambiente e Wwf – ad Artelys e Ecco, il think tank italiano per il clima.

Finora la «mancanza di un governance sul clima, di meccanismi di monitoraggio e correzione delle politiche, a partire dal processo autorizzativo, ha determinato uno sviluppo ridicolo delle rinnovabili negli ultimi anni. Le perdite di tale ritardo sono cifre a nove zeri», come sottolinea il co-fondatore di Ecco, Matteo Leonardi. Non a caso nel triennio 2019-21 l’Italia si è posizionata 22esima in Europa per nuova potenza rinnovabile installata. Ma non è troppo tardi per invertire la rotta.

«L’Italia ha tutte le caratteristiche per diventare un hub strategico delle rinnovabili, e non del gas come invece vuole il Governo Meloni, ma per farlo – argomenta il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani – deve trovare il coraggio di archiviare gli ingenti sussidi alle fonti fossili e deve essere capace di autorizzare in pochi mesi i nuovi impianti a fonti pulite».

Le indicazioni principali emerse dallo studio mostrano la necessità di un incremento di oltre 90 GW di rinnovabili rispetto alla capacità installata del 2021, una cifra di poco superiore agli 85 GW già prefigurati da Elettricità futura per traguardare gli obiettivi RePowerEu al 2030 (e creare al contempo 540mila posti di lavoro).

All’atto pratico, questo significa moltiplicare per 8 il ritmo d’installazione di nuova capacità rinnovabile, andando ad incidere su tutti i maggiori elementi di freno dei percorsi autorizzativi: dalla burocrazia alle Soprintendenze, dalle sindromi Nimby e Nimto ai colli di bottiglia nelle Regioni.

L’obiettivo delineato nello studio è arrivare al 2035 a circa 250 GW di capacità installata rinnovabile (circa 160 nel 2030), per quasi 450 TWh di produzione nazionale (quasi 350TWh nel 2030). Un obiettivo tutt’altro che impossibile: già oggi in attesa ci sono 340 GW di proposte impiantistiche che hanno fatto richiesta di connessione a Terna (ma almeno 1.300 progetti sono bloccati nelle Regioni in attesa di valutazione).

«L’analisi che presentiamo dimostra come, anche in Italia, la transizione energetica verso una base completamente rinnovabile del sistema elettrico sia ampiamente possibile e con tecnologie già disponibili – sottolinea Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace – Combattere la crisi climatica implica soprattutto un cambio di paradigma energetico».

Questo richiederà un mix di tecnologie, inclusi accumuli, reti ed elettrolizzatori; non invece la Carbon capture and storage (Ccs), una tecnologia valutata nello studio come eccessivamente onerosa e dipendente da sinergie con la filiera di petrolio e gas. Al contempo, l’analisi prefigura che il contributo della generazione a gas fossile nel 2035 sarà pressoché nullo (54 TWh nel 2030) e pone limiti alla quantità di energia importata, in coerenza con gli obiettivi di sicurezza energetica.

Dato che la transizione ecologica passa da un’elettrificazione spinta dei consumi finali, una rapida decarbonizzazione del settore elettrico produrrebbe infine effetti a cascata sul raggiungimento degli obiettivi climatici.

Le principali linee d’intervento prefigurate nello studio, per arrivare ad un futuro prossimo al 100% rinnovabile, spaziano dunque da interventi nel processo autorizzativo degli impianti rinnovabili e delle infrastrutture abilitanti, alla facilitazione della diffusione dei contratti di lungo termine di commercializzazione dell’energia di nuovi impianti rinnovabili (Ppa), fino all’abilitazione dell’efficienza energetica e della demand response dei consumatori (industriali, commerciali, domestici) attraverso prezzi dinamici e segnali coerenti in bolletta che includono l’eliminazione di sussidi alle energie fossili.

«Le fonti rinnovabili, soprattutto fotovoltaico ed eolico, garantiscono indipendenza, sicurezza energetica, maggiore resilienza agli impatti ormai in atto del cambiamento climatico.  Nel contempo – conclude Luciano Di Tizio, presidente del Wwf – dobbiamo accelerare la dismissione delle infrastrutture fossili, dal carbone e al gas. La ricetta c’è, gli ingredienti anche, ora serve la volontà politica: è questo che serve nel prossimo Pniec».

Ovvero il Piano nazionale integrato energia e clima, la cui nuova versione – dopo quella pubblicata già vecchia dal Governo nel 2020 – è attesa a Bruxelles entro la fine di questo mese. Dopo l’avvio di una consultazione pubblica (un semplice questionario online) da parte del ministero dell’Ambiente lo scorso maggio, del documento si sono però perse le tracce.