Siccità, la Sicilia chiede lo stato di emergenza nazionale e mezzo miliardo di euro

Schifani: «Sta diventando drammatica, servono urgenti interventi statali». La Protezione civile prospetta razionamenti dell'acqua, dissalatori e autobotti

[4 Aprile 2024]

Dopo aver dichiarato lo stato di calamità naturale a febbraio e lo stato di crisi in sei province a marzo, la Sicilia ha chiesto adesso al Governo Meloni di riconoscere lo stato di emergenza nazionale per la siccità.

Come spiega la Regione, lo scopo è quello di garantire acqua potabile ai cittadini e l’approvvigionamento idrico ai settori agricolo e zootecnico, oltre che alle altre imprese.

«La siccità in Sicilia sta diventando drammatica – dichiara il presidente Renato Schifani – La Regione ha già messo in campo una serie di azioni per mitigare la crisi, aiutando i settori produttivi e limitando i disagi ai cittadini, ma servono anche urgenti interventi statali per operare su reti e sistemi di approvvigionamento idrico e per sensibilizzare i cittadini a un uso più razionale della risorsa. Inoltre, sono necessari sgravi fiscali e contributivi, moratorie e sospensione di adempimenti per le imprese del settore agricolo e zootecnico che sono in gravissima difficoltà».

Per le azioni da poter mettere in campo nel breve termine servono 130 mln di euro, nel medio termine si arriva a oltre mezzo miliardo di euro: 590 milioni. Per fare cosa?

Una relazione della Protezione civile regionale indica molteplici interventi: riduzione dei consumi delle utenze idropotabili, interventi sugli invasi, campagne di informazione e sensibilizzazione per il risparmio, interventi per reperire risorse alternative (come dissalatori mobili e navi con moduli dissalativi, anche se sarebbe forse più sensato pensare a dissalatori fissi e meno impattanti a terra), acquisto di autobotti e silos per la distribuzione in luoghi pubblici, utilizzo di pozzi e sorgenti, riparazione di reti idriche, ammodernamento degli impianti di dissalazione nei siti dismessi di Porto Empedocle, Paceco-Trapani ed eventualmente anche Gela.

In attesa che il Consiglio dei ministri approvi la richiesta di stato d’emergenza nazionale per la siccità in Sicilia, lo stesso Governo latita però nell’affrontare la causa ultima del problema: la crisi climatica in corso. Un problema che non riguarda certo la sola Sicilia.

«Di fronte all’estremizzazione degli eventi atmosferici, dettata dalla crisi climatica – argomenta nel merito Massimo Gargano, dg dell’associazione nazionale che riunisce i Consorzi di bonifica (Anbi) – Siamo fortemente preoccupati dalla grande quantità d’acqua, che stiamo rilasciando verso il mare per l’assenza di un’adeguata rete di bacini. Il timore è che possano seguire settimane senza pioggia e speriamo allora di non dover rimpiangere la ricchezza idrica, che oggi tratteniamo solo in piccola parte. Il territorio ha bisogno manutenzione straordinaria, nonché di nuove e adeguate infrastrutture idrauliche».

Nuovi invasi restano dunque necessari, ma non sufficienti. Perché se non piove a sufficienza, come sta accadendo in Sicilia, semplicemente non possono riempirsi.

Nell’aggiornamento comunicato oggi dal Servizio informativo agrometeorologico siciliano (Sias), si documenta che le piogge di marzo «non hanno portato in Sicilia ad un recupero del deficit pluviometrico accumulato fin dall’autunno, ma hanno semmai accentuato le condizioni di siccità in alcune aree dove di nuovo gli apporti delle piogge sono stati pesantemente inferiori a quelli attesi».

Nel medio termine, la prospettiva su gran parte del territorio regionale è di siccità severa o addirittura estrema.

«Una conseguenza di tale quadro – aggiunge il Sias – è che le precipitazioni cadute nel primo trimestre 2024 sono state in genere assorbite quasi interamente dai suoli, originando deflussi nulli o poco significativi verso gli invasi. Le ripercussioni più gravi in questo momento, più ancora che i danni all’agricoltura, sono rappresentate dalla mancata ricostituzione di riserve idriche adeguate nel sistema degli invasi e nei corpi idrici sotterranei».

Da qui la necessità di affiancare ai nuovi invasi una molteplicità di soluzioni: da quelle basate sulla natura, come le Città spugna – a Milano sta sorgendo la più vasta d’Italia –, a riuso delle acque reflue, ammodernamento degli acquedotti, rimozione sedimenti dagli invasi esistenti. Oltre a dare un taglio alle emissioni di CO2 e dunque all’uso di combustibili fossili, la causa ultima della siccità in corso.