Onu: l’Ue dovrebbe rivedere gli impatti commerciali del suo nuovo meccanismo per il cambiamento climatico

Il meccanismo potrebbe aiutare a evitare la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, ma l’impatto sui cambiamenti climatici sarebbe limitato, con costi più elevati per i Paesi in via di sviluppo

[15 Luglio 2021]

In concomitanza con l’approvazione (anzi, un minuto dopo l’approvazione ufficiale) del pacchetto “Fit for 55” dell’Unione europea, che comprende il  carbon border adjustment mechanism (CBAM), l’United Nations Conference on Trade and Development (UNCTAD) ha presentato il rapporto “A European Union Carbon Border Adjustment Mechanism: Implications for developing countries” che avverte che il CBAM annunciato il 14 luglio «Potrebbe modificare i modelli commerciali a favore dei Paesi in cui la produzione è relativamente efficiente in termini di emissioni di carbonio ma fa poco per mitigare i cambiamenti climatici»

Il rapporto UNCTAD  mostra le potenziali implicazioni del CBAM sul commercio internazionale, le emissioni di anidride carbonica (CO2), il reddito e l’occupazione per i paesi all’interno e all’esterno dell’Ue, con un’attenzione particolare ai paesi in via di sviluppo e vulnerabili. Il CBAM dovrebbe introdurre nuove misure di riduzione delle emissioni di CO2 in via transitoria nel 2023 e finalizzarle prima del 2026.

La segretaria generale ad interim dell’UNCTAD, Isabelle Durant, ha sottolineato che «Le considerazioni sul clima e sull’ambiente sono in prima linea nelle preoccupazioni politiche e il commercio non può essere l’eccezione. Il CBAM è una di queste opzioni, ma è necessario considerare anche il suo impatto sui Paesi in via di sviluppo». Il rapporto conferma che «L’introduzione del CBAM ridurrebbe parte della rilocalizzazione delle emissioni di carbonio prodotta dalle diverse ambizioni sul cambiamento climatico tra l’Ue e gli altri Paesi».

L’UNCTAD spiega che per rilocalizzazione delle emissioni di carbonio «Si intende la delocalizzazione della produzione in altri Paesi con vincoli di emissioni più lassisti per motivi di costi legati alle politiche climatiche, che potrebbero portare ad un aumento delle loro emissioni totali».

Il rapporto ricorda che molti dei partner commerciali dell’UE che esportano beni in settori ad alta intensità di carbonio – tra cui cemento, acciaio, alluminio, petrolio raffinato, carta, vetro, prodotti chimici e fertilizzanti – «Hanno sollevato preoccupazioni sul fatto che il CBAM ridurrebbe sostanzialmente le loro esportazioni, ma questi cambiamenti potrebbe non essere così drastici come si teme. Le esportazioni dei Paesi in via di sviluppo nei settori mirati ad alta intensità di carbonio sarebbero ridotte dell’1,4% se il CBAM fosse implementato con un prezzo di 44 dollari per tonnellata di emissioni di CO2 incorporate e del 2,4% se fosse implementato con un prezzo di 88 dollari per tonnellata».

L’UNCTAD fa notare che «Tuttavia, gli effetti varierebbero significativamente da Paese a Paese a seconda della struttura delle esportazioni e dell’intensità della produzione di carbonio. In entrambi gli scenari, i Paesi sviluppati, come gruppo, non subirebbero cali delle esportazioni poiché molti tendono ad impiegare metodi di produzione a minore intensità di carbonio nei settori interessati rispetto a molti Paesi in via di sviluppo.  In termini di benessere, il CBAM genererebbe un divario simile tra Paesi in via di sviluppo e Paesi sviluppati. In entrambi i casi, i Paesi sviluppati se la caverebbero meglio di quelli in via di sviluppo».

Infatti, secondo l’UNCTAD. «Con un CBAM basato su un prezzo del carbonio di 44 dollari per tonnellata, il reddito dei Paesi sviluppati aumenterebbe di 2,5 miliardi di dollari, mentre quello dei Paesi in via di sviluppo diminuirebbe di 5,9 miliardi di dollari. Tuttavia, i Paesi sviluppati subirebbero una maggiore perdita di benessere di 51 miliardi di dollari dall’introduzione iniziale di un prezzo del carbonio di 44 dollari per tonnellata, guidata dalle perdite nell’Ue, mentre i Paesi in via di sviluppo guadagnerebbero 1 miliardo di dollari in assenza del CBAM».

Il rapporto dimostra anche che «I potenziali effetti sull’occupazione sarebbero modesti per la maggior parte delle economie».

Per quanto riguarda gli effetti sull’economia dell’Unione europea, l’UNCTAD conferma che «L’aumento dei prezzi del carbonio ridurrebbe significativamente le emissioni di carbonio nell’Ue, ma le esportazioni del più grande blocco commerciale del mondo diminuirebbero»-

Dal rapporto viene anche fuori che «Un CBAM basato su un prezzo del carbonio di 44 dollari per tonnellata di emissioni incorporate di CO2 ridurrebbe di oltre la metà la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio derivante dall’attuazione delle politiche climatiche nell’Ue, dal 13,3% al 5,2%. Ma il meccanismo non compenserebbe completamente gli effetti negativi della carbon tax sull’economia dell’Ue».

Il rapporto evidenzia che la misura avrebbe anche un impatto limitato sulla mitigazione del cambiamento climatico: «Sebbene il CBAM sarebbe efficace nel ridurre la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, il suo valore nella mitigazione dei cambiamenti climatici è limitato, poiché il meccanismo ridurrebbe solo lo 0,1% delle emissioni globali di CO2. Mentre il meccanismo cerca di evitare la fuoriuscita della produzione e delle emissioni di CO2 verso i partner commerciali dell’Ue con obiettivi di emissione meno rigorosi, non è ancora chiaro come possa supportare la decarbonizzazione nei Paesi in via di sviluppo.  La riduzione efficace di queste emissioni richiederà processi di produzione e trasporto più efficienti».

Per questo l’UNCTAD esorta l’Ue a «Prendere in considerazione l’adozione di politiche di accompagnamento al CBAM in grado di ridurre, ed eventualmente eliminare, il divario tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo».

La Durant conclude: «L’Ue potrebbe prendere in considerazione l’utilizzo di parte delle entrate generate dal CBAM per accelerare la diffusione e l’adozione di tecnologie di produzione più pulite nei Paesi in via di sviluppo. Questo sarà vantaggioso in termini di ecologia dell’economia e promozione di un sistema commerciale più inclusivo».