Per gli ambientalisti i risultati del summit dell’Amazzonia lasciano a desiderare

Preoccupazione per la mancanza di obiettivi per porre fine alla deforestazione e all’estrazione di idrocarburi

[10 Agosto 2023]

Si è conclusa la Cúpula da Amazônia, il vertice amazzonico di Belém fortemente voluto del presidente del Brasile Luiz Inácio Lula da Silva ma, come scrive Lu Sudré di Greenpeace Brasil «Sebbene sia stato avviato poco dopo i Diálogos Amazônicos, durante i quali il problema dell’esplorazione petrolifera nella regione è stato ampliamente sollevato dalla società civile, dagli attivisti e da alcuni rappresentanti politici, i risultati dell’incontro hanno lasciato a desiderare. La Declaração de Belém, una lettera di intenti per la cooperazione regionale firmata dai capi di Stato, non menzionava nemmeno il termine combustibili fossili, ignorando l’intensa mobilitazione dei giorni precedenti. E’, come minimo, una grande contraddizione che i governanti della Panamazzonia non abbiano ascoltato le voci che sono risuonate in vari forum e proteste nella capitale del Pará. Considerando che il documento – pubblicato un giorno prima della fine del Summit – affronta le azioni per frenare il cambiamento climatico, come non opporci o almeno mettere in discussione il suo principale errore a livello globale?»

Per Greenpeace e altre associazioni ambientaliste, «Il Brasile e gli altri paesi hanno perso l’occasione di mettere in pratica azioni che rispondano agli avvertimenti della scienza: la combustione di combustibili fossili è responsabile dell’aggravarsi della crisi climatica e il modo per evitare che l’umanità e il pianeta subiscano conseguenze ancora più gravi è, appunto, la riduzione dei combustibili fossili e una giusta transizione energetica».

Marcelo Laterman, portavoce del  frente de Oceanos di Greenpeace Brasil, critica questa omissione da parte dei leader della Panamazzonia e sotolia che «Se davvero il presidente Luiz Inácio Lula da Silva vuole consolidare il Paese come leader climatico,  è essenziale lasciarsi alle spalle l’esplorazione petrolifera. E’ urgente investire in un modello socioeconomico che rispetti i limiti della natura e valorizzi le attività economiche che garantiscano il benessere della popolazione amazzonica. Per questo, è essenziale che la conoscenza delle popolazioni indigene, dei quilombolas e delle comunità tradizionali, che promuovono la cura e l’uso responsabile del territorio, sia valorizzata. Oltre a causare danni alla più grande foresta tropicale del pianeta e a tutte le sue forme di vita, l’esplorazione petrolifera in Amazzonia è una minaccia diretta per le comunità di pescatori e fluviali che hanno nelle acque che bagnano la costa amazzonica una fonte di cibo e reddito. I Diálogos Amazônicos a Belém hanno evidenziato la storia della lotta contro il petrolio in tutta l’Amazzonia, non solo nel bacino  della foce del Rio delle Amazzoni. Il Brasile deve allinearsi con il movimento dei Paesi sudamericani, come la Colombia e l’Ecuador, che stanno mettendo in discussione l’esplorazione petrolifera in Amazzonia. Si tratta di nazioni in cui le popolazioni tradizionali lottano da decenni contro gli impatti brutali dell’attività petrolifera nei loro territori, con costanti e gravi episodi di fuoriuscita e contaminazione».

Fuori dalla Dichiarazione di Belém è rimasto anche un forte impegno per la deforestazione zero che sarebbe stato il più grande contributo del Brasile alla lotta alla crisi climatica. Per Greenpeace Brasil, «Senza la deforestazione zero concordata tra i paesi della Panamazzonia, la protezione del bioma e dei suoi popoli esce indebolita dall’incontro. Inoltre, la non posizione contro la prospezione petrolifera, che lascia da parte il principio di precauzione e conservazione, ha causato la frustrazione della società civile alla fine del vertice». Per Laterman, «Non possiamo misurare gli sforzi per proteggere l’Amazzonia. La deforestazione zero è urgente, così come l’interruzione di nuovi progetti di esplorazione petrolifera nel bioma e la promozione di una transizione energetica giusta e popolare che consideri gli aspetti geografici, sociali ed economici dei territori. Iniziare a superare la politica anti-ambientale degli ultimi anni è stato un passo molto importante per l’ambiente e per la storia del Brasile. Tuttavia, incoraggiare l’esplorazione petrolifera, che genera disuguaglianze e minaccia la biodiversità del bacino amazzonico, è un indebolimento di questo processo. Siamo di fronte a una realtà che non può essere ignorata: con il petrolio, il futuro dell’Amazzonia è compromesso!».

Anche secondo l’Observatório do Clima, la dichiarazione finale del Vertice dell’Amazzonia ha frustrato le aspettative sull’adozione congiunta di misure energiche per difendere il bioma, i suoi popoli e il clima: «Confermando quanto indicato dalla versione preliminare trapelata alla stampa, il testo non presenta un obiettivo comune dei Paesi per la deforestazione zero entro il 2030 e tralasciava la discussione sull’eliminazione dello sfruttamento dei combustibili fossili nella regione, ignorando le richieste della società formulate nei Diálogos Amazônicos. Per quanto riguarda la deforestazione, il documento riconosce solo la necessità di avanzare verso obiettivi comuni, senza adottarli. Il testo sottolinea “l’urgenza di concordare obiettivi comuni per il 2030 per combattere la deforestazione”, ma, nelle sue risoluzioni, si limita ad affermare che i Paesi uniranno gli sforzi per lo sviluppo sostenibile del bioma, creando l’Alleanza Amazzonica per Combattere la Deforestazione tra gli Stati Parti».

Secondo il documento approvato, «L’obiettivo di promuovere la cooperazione regionale nella lotta alla deforestazione e impedire che l’Amazzonia raggiunga il punto di non ritorno, riconoscendo e promuovendo il raggiungimento degli obiettivi nazionali, tra cui la deforestazione zero». Per l’Observatório do Clima, «Il testo finale è una sconfitta per il Brasile che, durante i negoziati, ha difeso l’adozione di un obiettivo comune per la deforestazione zero».

Nonostante un durissimo discorso del presidente della Colombia, Gustavo Petro, che aveva cercato di far passare la proposta di una moratoria, i combustibili fossili sono stati praticamente ignorati: altri Paesi, compreso il Brasile, hanno respinto l’idea.  L’unico riferimento ai fossili è un vago passaggio che parla di adeguare lo sfruttamento di queste risorse agli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile dell’Onu: «Avviare un dialogo tra gli Stati parte sulla sostenibilità di settori come l’estrazione mineraria e gli idrocarburi nella regione amazzonica, nel quadro dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e delle loro politiche nazionali sovrane».

Il ministro degli esteri del Brasile, Mauro Vieira, ha detto che «La posizione della Colombia non è divergente. Insisto su questo: non abbiamo una posizione diversa, è convergente e ogni Paese avrà il ritmo che è alla sua portata». Ma Petro aveva detto chiaramente che «Il rinvio dell’estinzione dei combustibili fossili è un tipo di negazionismo adottato dai governi progressisti».

Un recente rapporto dellObservatório do Clima ha denunciato che molti Paesi latinoamericani continuano a investire nell’industria dei combustibili fossili: il brasile vuole passare dalla nona alla quarta posizione come produttore mondiale di petrolio; la Guyana vuole entrare nella classifica dei grandi produttori di greggio grazie alle grandi riserve petrolifere scoperte di recente; la Bolivia, che ha riserve di gas in via di esaurimento, ha avviato nuovi progetti di esplorazione che includono la ricerca di petrolio in Amazzonia; anche Perù, Ecuador e Venezuela hanno loro piani attivi.

Secondo Marcio Astrini, segretario esecutivo dell’Observatório do Clima, «La dichiarazione ha il merito di essere un primo passo di fronte a uno scenario di smantellamento dell’Organizzazione del Tratado de Cooperação Amazônica (OTCA – ACTO). Ma manca di forza. E’ un accordo molto iniziale. Un primo passo, ma che ancora non indirizza alcuna risposta concreta al mondo in cui viviamo. Il pianeta si sta sciogliendo, stiamo battendo record di temperatura ogni giorno. Non è possibile che, in uno scenario come questo, otto Paesi amazzonici non possano affermare, in grassetto, che la deforestazione deve essere zero e che cercare petrolio nel mezzo della foresta non è una buona idea. In sintesi, il documento mancava di vigore. E’ una lista dei desideri e i desideri non sono sufficienti».

Per il Wwf Brasil,  «La dichiarazione firmata questo martedì (8) dai governi degli 8 Paesi amazzonici porta un importante messaggio politico: dobbiamo agire ora per evitare che il bioma raggiunga il punto di non ritorno. La scienza ha già dimostrato che siamo pericolosamente vicini a quel punto: se continuiamo a perdere foreste e altri ecosistemi della regione al ritmo attuale, in meno di 10 anni la vegetazione potrebbe entrare in un processo di degrado irreversibile, con gravi conseguenze economiche e conseguenze sociali per tutta l’America Latina e il mondo. E’ motivo di soddisfazione che i leader dei paesi della regione abbiano ascoltato la scienza e compreso l’appello della società: l’Amazzonia è in pericolo e non abbiamo molto tempo per agire».

Ma anche il Wwf si rammarica che i Paesi amazzonici non abbiano raggiunto un consenso per porre fine alla deforestazione: «Brasile e Colombia si sono impegnati a fermare la deforestazione entro il 2030, ma questo obiettivo non è stato accettato dagli altri Paesi. I presidenti hanno deciso di creare una “Alleanza amazzonica per combattere la deforestazione”, ma non si sono trovati d’accordo su un obiettivo unitario, fondamentale per evitare il punto di non ritorno».

Nel testo, i governi di Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname e Venezuela hanno convenuto di «Lavorare in modo articolato nell’attuazione di azioni per sradicare lo sfruttamento illecito dei minerali e i reati connessi, compreso il riciclaggio di denaro» .  Per il Wwf è una misura necessaria e urgente: «Studi recenti mostrano che gran parte della popolazione amazzonica, comprese le popolazioni indigene e le comunità tradizionali, ma anche coloro che vivono nelle aree urbane, è esposta alla contaminazione da mercurio. Pertanto, è necessario adottare politiche e meccanismi transnazionali per la prevenzione, la regolamentazione, il controllo, l’allarme, la risposta e la riparazione dei crimini ambientali e di altre attività illecite, compresa l’estrazione illegale dell’oro».

Il Wwf vede il bicchiere mezzo pieno: «Riconosciamo l’importanza di questa Dichiarazione come momento politico a favore dell’Amazzonia. Anche se non hanno definito obiettivi concreti per alcune criticità della regione, va celebrato il fatto che i presidenti si siano incontrati per discutere su come evitare il punto di non ritorno».

Mauricio Voivodic, direttore esecutivo del Wwf Brasil, conclude: «E’ positivo che i capi di Stato abbiano riconosciuto il punto di non ritorno dell’Amazzonia e l’urgenza di evitarlo. Occorre però adottare misure concrete e robuste che siano in grado di eliminare la deforestazione il più rapidamente possibile. Eliminare l’oro illegale e la conseguente contaminazione da mercurio, divenuto un problema ambientale e di salute pubblica nella regione, richiede pari attenzione e urgenza. Inoltre è essenziale aumentare le aree protette e i territori indigeni. Cos’ come è stato rafforzato, l’ACTO iuta nella rapida attuazione di azioni efficaci nella lotta alla deforestazione, al mercurio e all’estrazione illegale e nell’espansione delle aree protette e dei territori indigeni».