Riceviamo e pubblichiamo

Coltivare la canapa in Toscana per migliorare la tutela delle acque

Inserendola in un ciclo rotativo con altre colture, favorisce sia la riduzione dei prodotti chimici impiegati dalle attività agricole sia il miglioramento delle rese produttive

[18 Aprile 2024]

La redazione del Piano di tutela delle acque (Pta) della Regione Toscana può rappresentare un’occasione per evidenziare meglio gli aspetti interdisciplinari che caratterizzano le diverse pianificazioni regionali di settore.

Sarebbe infatti superfluo preoccuparsi solo di aumentare la disponibilità della risorsa idrica, se la stessa poi non possedesse i requisiti qualitativi necessari.

Il documento preliminare del Pta indica tra i macro obiettivi strategici (Mos) e le relative misure una serie di azioni denominate Ktm – Key type measures; in particolare, l’azione Ktm2 viene indicata come “Riduzione dell’inquinamento da nutrienti di origine agricola”, mentre la Ktm3 come “Riduzione dell’inquinamento da fitofarmaci di origine agricola”.

Nel documento viene ampiamente illustrato come le attività agricole, e in particolare le sostanze di origine sintetica ampiamente utilizzate nelle stesse, siano una delle cause principali dell’inquinamento delle acque superficiali e successivamente di quelle sotterranee.

Le azioni prospettate si limitano però, sostanzialmente, a prefigurare un miglioramento nella distribuzione ed utilizzo delle acque di irrigazione. Niente viene indicato sulla opportunità di modificare alcuni cicli colturali per ridurre gli impatti che ne derivino sulla qualità delle acque.

In questo contesto, anche per garantire un reddito adeguato per i coltivatori, il consorzio Con.CanapaTu.Val.I. – il consorzio per la tutela e la valorizzazione della canapa sativa della tradizione italiana – da alcuni anni promuove lo sviluppo della filiera di coltivazione e utilizzo della canapa sativa per scopi industriali.

Sono ben noti i benefici ambientali della coltivazione della canapa sativa, specie che non richiede quantitativi eccessivi di acqua nel periodo di coltivazione (da marzo a luglio), trattamenti antiparassitari o forti interventi di concimazione, riuscendo anche a concentrare nel suolo significative quantità di sostanza organica e di CO2.

La coltivazione della canapa sativa può tranquillamente rientrare in un ciclo rotativo con altre colture, favorendo sia la riduzione dei prodotti chimici necessari che il miglioramento delle rese produttive delle stesse coltivazioni.

Ovviamente la redditività di queste coltivazioni di canapa sativa è correlata allo sviluppo della successiva fase di trasformazione e di utilizzo dei prodotti ottenuti. Sono numerose le applicazioni che oramai vedono fondamentale la presenza di fibra macerata o di canapulo ottenuti dalla trasformazione della canapa sativa: basti citare, per la Toscana, il settore cartario e il settore tessile, fortemente presenti nella regione.

Ma anche il settore conciario, che potrebbe utilizzare i positivi effetti del canapulo, rilevati recentemente anche dall’Università di Pisa, sulla riduzione del cromo esavalente in cromo trivalente (basti ricordare gli effetti derivati dall’utilizzo del Keu).

Tornando al Piano di tutela delle acque, l’azione Ktm1 è invece indicata come “Costruzione ed adeguamento di impianti di trattamento di acque reflue”, mentre l’azione Ktm16  richiama “l’Ammodernamento e miglioramento degli impianti di acque reflue industriali (incluse le aziende agricole)”.

Nel documento viene più volte richiamata la necessità di promuovere il riutilizzo delle acque reflue prodotte dagli impianti di depurazione.

Il Regolamento Ue 2020/741, entrato in vigore lo scorso anno, stabilisce prescrizioni minime per il riutilizzo dell’acqua: la finalità prioritaria del recupero è quella agricola, anche se gli Stati membri possono anche ampliarla a scopi diversi, come quello civile o industriale.

Nel Regolamento vengono previste diverse classi di qualità dell’acqua, con diverse concentrazioni dei microinquinanti o dei patogeni, in funzione dell’effettivo utilizzo successivo.

Ad esempio alcune forme di irrigazione o alcune coltivazioni richiedono acque di qualità diversa, non necessariamente frutto di una trattamento spinto.

Ciò però identifica un unico sistema di riutilizzo, a partire dal depuratore e fino all’utilizzo finale, in cui tutti i soggetti sono consapevoli sia della qualità delle acque che del loro effettivo utilizzo.

Vengono pertanto previste valutazioni dei rischi e precise indicazioni di utilizzo, con responsabilità ripartite tra i vari attori della filiera.

Un’impostazione evidentemente innovativa, ma che rende facilmente perseguibile il recupero delle acque reflue anche intervenendo sugli attuali depuratori, proprio grazie alle nuove tecnologie e ai nuovi processi messi a punto anche in Toscana.

Una ulteriore attenzione va poi posta sulla questione della gestione dei fanghi di depurazione. Come lo stesso documento ricorda, alcune esperienze importanti svolte anche in Toscana, hanno evidenziato come la digestione anaerobica dei fanghi, in codigestione con altre matrici organiche come ad esempio la componente organica dei rifiuti (Forsu), consente di ottimizzare la gestione dei digestori già presenti, e spesso sottoutilizzati, nei depuratori toscani.

Questa tecnica di codigestione anaerobica ha sia il vantaggio di ottenere prodotti stabilizzati da utilizzare per la concimazione organica dei suoli agricoli sia il vantaggio di recuperare fonti di energia rinnovabile come il biometano o la biomassa.

Ancora una volta diventa importante recuperare e valorizzare le esperienze che ci sono state in Toscana in questi ultimi anni, anche sostenuti da specifici progetti regionali.

Una soluzione di questo tipo avrà effetti positivi, oltre che sulla qualità delle acque superficiali, anche sulla riduzione della produzione dei rifiuti, sull’avviamento di una economia circolare e sulla riduzione delle emissioni di CO2 in atmosfera.

di Giuseppe Vitiello, presidente Consorzio Con.CanapaTu.Val.I.