Pubblicato il rapporto 2023

A che punto è (e da dove proviene) l’inquinamento atmosferico in Italia, spiegato dal Snpa

I progressi sulla qualità dell’aria conquistati nell’ultimo decennio stanno rallentando, lontanissimi gli obiettivi Oms e della nuova direttiva Ue: resta il record di morti

[18 Marzo 2024]

Il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa), costituito dall’Ispra e dalle varie Arpa regionali, ha presentato il nuovo “Rapporto qualità dell’aria in Italia 2023”.

Dal report emerge che il 2023 è stato l’anno migliore da quando sono disponibili dati di Pm10 e Pm2,5 (metà degli anni ’90, dal 2007 con la rete completa), sia in termini di superamenti della soglia giornaliera del Pm10 sia nei valori medi annuali.

Più in generale, le concentrazioni d’inquinanti atmosferici nel decennio 2013-2022 mostrano dati in miglioramento, seppur il risultato finale sia ancora molto lontano dal potersi dire sicuro per la salute umana. Inoltre, i progressi stanno rallentando dato che si «registra una sostanziale stabilità dei livelli di Pm10 e Pm2,5 rispetto a quanto osservato negli ultimi 3-4 anni».

Il rapporto Snpa si concentra in primis su tre inquinanti principali: polveri sottili (Pm10 e Pm2.5), biossido di azoto (NO2) e ozono (O3).Le principali fonti di provenienza per le polveri sono riscaldamento degli edifici, allevamenti e trasporti stradali; per il biossido d’azoto, il traffico veicolare; per l’ozono, trasporto su strada, riscaldamento e produzione di energia.

Nel 2022 i valori limite annuali del Pm10 (40 µg/mc) e del Pm2,5 (25 µg/mc) sono rispettati su quasi tutto il territorio nazionale (rispettivamente nel 99,6% e 98,7% dei punti di misura), con pochissime localizzate eccezioni.

Nell’80% delle stazioni è rispettato anche il valore limite giornaliero del Pm10 (50 µg/mc per la media giornaliera da non superare per più di 35 giorni in un anno), tuttavia si registrano superamenti diffusi in molte zone del Paese: quasi tutto il bacino padano, gli agglomerati di Roma e Napoli-Caserta, la zona della Valle del Sacco (in provincia di Frosinone), la zona della Piana lucchese e della pianura Venafrana (in provincia di Isernia), in Puglia, in provincia di Brindisi e nelle aree industriali in Sicilia.

Anche il valore limite annuale del biossido di azoto è rispettato nella larga maggioranza delle stazioni di monitoraggio (98%), sebbene sia da registrare il superamento in un numero limitato di stazioni, localizzate in grandi aree urbane in prossimità di importanti arterie stradali: Torino, Milano, Bergamo, Genova, Firenze, Roma, Napoli, Catania e Palermo. Il valore limite orario è invece rispettato ovunque.

Infine, l’inquinamento da ozono: solo l’11,3% delle stazioni rispetta l’obiettivo di legge a lungo termine (120 µg/mc come valore più alto della media mobile giornaliera su otto ore); a causa delle condizioni meteorologiche estive, con condizioni di caldo estremo e assenza di precipitazioni che hanno caratterizzato l’estate 2022, sono stati registrati anche diffusi superamenti della soglia di informazione (180 µg/mc per la media oraria) prevista a tutela della popolazione dall’esposizione acuta.

Soprattutto, per gli inquinanti Pm10, Pm2,5, NO2 e O3 la distanza dei livelli italiani registrati nel 2022 dai valori guida Oms (aggiornati nel 2021 e molto più bassi rispetto ai valori limite attualmente vigenti) è «piuttosto ampia nella larga maggioranza dei punti di misura», come sottolinea il rapporto.

Ad esempio il valore di riferimento annuale del Pm2,5 (5 μg/mc) dettato dall’Organizzazione mondiale della sanità è stato superato in 298 stazioni su 299 (99,7% dei casi); l’interim target 4 annuale (10 μg/mc) è stato superato in 240 stazioni su 299 (80% dei casi).

Non va meglio confrontando i dati italiani con la qualità dell’aria prevista dalla nuova direttiva europea di settore, ormai a un passo dall’approvazione definitiva. Guardando al 2023, il più recente rapporto Mal’aria di Legambiente mette chiaramente in evidenza che solo il 31% dei capoluoghi di provincia italiani è in linea con i nuovi limiti normativi previsti al 2030 per il Pm10, percentuale che scende addirittura al 16% per quanto riguarda il Pm2.5; in altre parole il 69% e l’84% dei capoluoghi sarebbe oggi fuorilegge.

Cosa significa tutto questo in termini d’impatto sulla salute? L’Agenzia europea dell’ambiente documenta che l’Italia ha il record europeo di morti premature dovute all’inquinamento atmosferico, con ben 46.800 decessi all’anno da Pm2.5, altri 11.300 da NO2 e 5,100 da O3.

Uno stato dell’arte che non è sfuggito neanche alla Corte di giustizia europea. Come ricorda il rapporto Snpa, a luglio 2014 è stata aperta una procedura di infrazione per i superamenti del Pm10 (procedura 2014/2147). A maggio 2015 è stata aperta una procedura di infrazione anche per i superamenti dell’NO2 (procedura 2015/2043). Per entrambe, la Corte di giustizia Ue ha già emesso sentenza contro l’Italia.

Ma non basta: nel 2020 è stata aperta anche una terza procedura di infrazione contro l’Italia per i superamenti del Pm2,5, ad oggi ancora allo stato di messa in mora, e infine la scorsa settimana la Commissione Ue ha aperto un quarto “pre-contenzioso” sull’inquinamento atmosferico, inviando all’Italia una lettera di costituzione in mora «per la persistente mancata esecuzione della sentenza della Corte di giustizia dell’Ue del 10 novembre 2020» sulla qualità dell’aria (direttiva 2008/50/CE).