Chi sostiene la guerra: mille miliardi di dollari per l’industria bellica

Al summit mondiale della finanza etica, il Manifesto per una finanza di pace

[28 Febbraio 2024]

Secondo il rapporto “Finanza di pace. Finanza di guerra” commissionato da  Fondazione Finanza Etica (Gruppo Banca Etica) e dalla Global Alliance for Banking on Values (GABV) a  Merian Research, sono «Oltre 959 i miliardi di dollari utilizzati dalle istituzioni finanziarie nel mondo per sostenere la produzione e il commercio di armi, di questi, quasi mezzo trilione di dollari – più della metà dell’investimento totale stimato nel settore – sono forniti dagli USA, mentre 79 miliardi provengono dai primi 10 investitori europei. Non solo. Le 15 maggiori banche europee investono in aziende produttrici di armi per un importo pari a 87,72 miliardi di euro».

Il rapporto è stato presentato al 16esimo incontro annuale della GABV, il primo in Italia, che si tiene a Padova e a Milano dal 26 al 29 febbraio, e ha  rapporto ha l’obiettivo di «Esaminare l’esposizione del settore finanziario verso la produzione e il commercio di armi utilizzate in conflitti su larga scala e di mettere a confronto le politiche e le pratiche delle banche mainstream con quelle delle banche etiche fondate sui valori».

Da questo esame viene fuori «Nel 2023 la spesa globale per la difesa è cresciuta del 9%, per raggiungere la cifra record di 2,2 trilioni di dollari». Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), «Le risorse stanziate dai governi, a livello globale, per le forze armate ammontano a 2.240 miliardi di dollari, pari al 2,2% del PIL mondiale».

Fondazione Finanza Etica e GABV denunciano che «In questo scenario, le banche, come tutto il settore finanziario, sono partecipanti attive: tra il 2020 e il 2022, le istituzioni finanziarie – tra cui le principali banche, le grandi compagnie assicurative, i fondi di investimento, i fondi sovrani, i fondi pensione – hanno sostenuto l’industria della difesa con almeno 1 trilione di dollari, cifra probabilmente sottostimata rispetto alla realtà, perché non esiste un database ufficiale che raccolga tutti gli investimenti, i prestiti e i servizi di tutte le istituzioni bancarie e finanziarie del mondo nel settore degli armamenti».

Mauro Meggiolaro di Merian Research che ha curato il rapporto, sottolinea che «Nonostante gli scarsi dati disponibili e la scarsa trasparenza in questo campo, appare chiaro che il settore finanziario globale è fondamentale nel sostenere la  produzione e il commercio di armi, facilitando, per estensione, i conflitti militari».

Il rapporto conferma che «Lo scoppio della guerra in Ucraina nel 2022 e in Palestina nel 2023 ha fatto salire alle stelle il valore delle azioni delle imprese produttrici di armi. Un’analisi del Financial Times ha mostrato che il portafoglio ordini per nuovi armamenti ha raggiunto livelli record nel 2022 e nella prima metà del 2023. La spesa pubblica sostenuta ha stimolato l’interesse degli investitori nel settore: il benchmark globale di MSCI (società USA che fornisce servizi finanziari) per i titoli del settore è aumentato del 25% nel 2023, mentre l’indice azionario europeo del settore aerospaziale e della difesa, Stoxx, è aumentato di oltre il 50% nello stesso periodo».

Un’analisi condotta dall’International Peace Bureau traduce il costo di specifici armamenti in beni e servizi sanitari e mostra come «Una fregata multiruolo europea (FREMM) vale lo stipendio di 10.662 medici all’anno (media dei paesi OCSE), un aereo da caccia F-35 equivale a 3.244 posti letto di terapia intensiva e un sottomarino nucleare di classe Virginia costa quanto 9.180 ambulanze. La metà dei fondi stanziati dai governi a livello globale per le forze armate (oltre 2 miliardi) sarebbe sufficiente per fornire assistenza sanitaria di base a tutti gli abitanti del pianeta e per ridurre significativamente le emissioni di gas serra».

Fondazione Finanza Etica e GABV ricordano che «Oggi l’esclusione del settore degli armamenti è comune a molti fondi di investimento che si definiscono “sostenibili” e adottano “criteri di esclusione”, decidendo cioè di escludere alcuni settori per ragioni etiche. Esistono vari modi per escludere le armi dagli investimenti: la maggior parte dei fondi esclude soltanto le armi “controverse”, cioè le mine antiuomo, le bombe a grappolo, le armi chimiche e biologiche. Questi tipi di armi d’altra parte sono ampiamente vietate da molteplici legislazioni e accordi nazionali o internazionali. Alcuni investitori estendono questo divieto anche alle aziende che producono armi nucleari, armi all’uranio impoverito e fosforo bianco, date le difficoltà nel controllarne l’impatto, soprattutto sui civili, indipendentemente dall’uso previsto. L’ultimo ambito di esclusione riguarda le aziende produttrici di equipaggiamenti e servizi militari che comprende armi, forniture militari ed equipaggiamenti che possono essere utilizzati per scopi militari, compreso il software utilizzato dagli eserciti».

Negli ultimi anni le aziende del settore della difesa si sono trovate tagliate fuori da alcuni grandi fondi pensionistici e sovrani perché gli investitori si sono allontanati da questo settore controverso ma il rapporto fa notare che «Tuttavia, la guerra in Ucraina ha gettato una nuova luce sull’industria degli armamenti, in particolare nel Nord del mondo. La lobby degli armamenti e alcune istituzioni finanziarie stanno cogliendo l’occasione per sostenere la tesi secondo cui le aziende del comparto bellico dovrebbero essere incluse nei quadri di investimento ESG. A questo proposito, nel novembre 2023 i ministri della Difesa dell’Ue hanno approvato una dichiarazione congiunta sul rafforzamento dell’accesso dell’industria della difesa ai finanziamenti, in nome della sua presunta capacità di contribuire alla pace, alla stabilità e alla sostenibilità in Europa. Così, alcune istituzioni finanziarie che avevano escluso gli armamenti dai loro investimenti, hanno modificato le loro politiche di investimento per accogliere questi sviluppi. Sono a oggi casi isolati, ma dimostrano che l’esclusione delle armi dagli investimenti e dai prestiti non è scontata, nemmeno tra gli investitori sostenibili».

Ma ci sono anche banche che hanno scelto di non finanziare la produzione o il commercio di armi e che si concentrano, intenzionalmente, sul mettere la finanza al servizio di un cambiamento positivo per le persone e per il pianeta: le 71 banche aderenti alla GABV non hanno alcuna esposizione materiale alla produzione o al commercio di armi e la grande maggioranza adotta politiche chiare per escludere le armi dai prestiti e dagli investimenti. Le banche basate sui valori escludono anche le armi dai prestiti e dalle attività bancarie in generale.

Il rapporto sottolinea che «Esistono molti modi per escludere le armi dalla finanza e dalle banche. Ognuno di questi genera almeno due impatti. In primo luogo, l’esclusione, se resa nota, sensibilizza l’opinione pubblica sul fatto che investire in armi non è come investire in un’industria convenzionale, perché i cosiddetti “sistemi d’arma” hanno un effetto catastrofico sulle persone, sulla società, sull’economia e sull’ambiente, provocando migliaia di vittime civili e di fatto amplificando le guerre. In secondo luogo, l’esclusione rende più difficile per le aziende produttrici di armi acquisire capitali».

Per condannare qualsiasi tipo di conflitto e chiedere a tutte le istituzioni finanziarie mainstream di smettere di finanziare la produzione e il commercio di armi, all’incontro annuale di GABV è stato presentato, il Manifesto per una finanza di pace nel quale si legge: «Condanniamo fermamente ogni tipo di violenza, combattimento o guerra, in qualsiasi circostanza e ovunque avvenga. La risoluzione duratura dei conflitti può avvenire solo attraverso un dialogo aperto e una collaborazione sincera, come mezzi per costruire la fiducia che sottende alla pace. Per questo, invitiamo l’industria finanziaria a smettere di finanziare la produzione e il commercio di armi, incoraggiamo le istituzioni a introdurre o ampliare politiche esistenti che limitino il finanziamento all’industria delle armi e chiediamo di divulgarle in modo trasparente. Infine, invitiamo gli istituti finanziari a unirsi a GABV ed esprimere sostegno a questa Dichiarazione».

Anna Fasano, presidente di Banca Etica, aggiunge: «La finanza etica in molte aree del mondo, tra cui l’Italia, è nata dai movimenti pacifisti e per il disarmo. Nel 25° anno dalla nascita di Banca Etica abbiamo voluto ospitare l’assemblea della GABV e abbiamo scelto di connotare questo appuntamento con un forte appello per la pace e il disinvestimento dall’industria delle armi. Dai tempi della guerra fredda, mai il mondo aveva assistito a una corsa al riarmo come quella che stiamo vivendo. Da ogni parte arrivano spinte per aumentare le spese militari mentre consulenti finanziari in tutto il globo esultano per le impennate dei profitti e dei rendimenti registrate negli ultimi mesi dal comparto bellico. E’ nostro dovere incoraggiare persone e istituzioni finanziarie a chiedersi fin dove è lecito fare profitti con le catastrofi. L’illusione che un mondo più armato sarà un modo più sicuro e più in pace è smentita dai fatti: alla crescita della spesa militare globale ha sempre corrisposto un aumento dei conflitti. Oggi sentiamo parlare con disinvoltura addirittura del possibile utilizzo di armi nucleari: è un passo indietro che non possiamo accettare. La finanza può cambiare il corso degli eventi e le banche della GABV sono in prima linea insieme ai milioni di persone e organizzazioni che le hanno scelte per non essere complici di questa deriva».

Martin Rohner, direttore generale della GABV, conclude: «La pace è una precondizione per realizzare qualunque cambiamento sociale e ambientale positivo. Ecco perché il finanziamento dell’industria degli armamenti è in contrasto con qualsiasi definizione di finanza sostenibile. Ed è per questo che il movimento bancario basato sui valori ha scelto di non finanziare le armi. Chiediamo al settore finanziario di smettere di alimentare la produzione e il commercio di armamenti. E’ tempo di trarre profitto dalla pace, non dalla guerra»