In Spagna moratoria contro i maxi allevamenti

Greenpeace: serve subito anche in Italia, a partire dalle aree a maggiore densità di animali allevati

[12 Gennaio 2023]

Il 27 dicembre il governo di sinistra spagnolo ha approvato il “Real Decreto por el que se establecen Normas Básicas de Ordenación de las Granjas Bovinas” che stabilisce nuove norme per la gestione degli allevamenti di bovini, tra le quali un tetto massimo al numero di animali allevati per i progetti di nuova costruzione o per l’ampliamento di allevamenti già esistenti. Un primo effetto è stato quello di bloccare un nuovo maxi-allevamento che avrebbe portato a Novierca (piccolissimo comune agricolo della Regione Castilla y Leon) oltre 20.000 bovini da latte, che aveva già visto l’opposizione di associazioni e delle comunità locali. In Spagna nuovi limiti prevedono infatti un massimo di capi pari a 725 vacche adulte (850 capi di bestiame).  La macroazienda agricola Valle de Odieta chiedeva i un numero di capi di bestiame oltre 20 volte superiore a quello stabilito dal regio decreto. sarebbe stata la più grande macro-azienda agricola in Spagna e in Europa e tra le 5 più grandi al mondo

Per Luís Ferreirim, responsabile agricoltura di Greenpeace España è stato un grande giorno: «Alla fine, il faraonico progetto di macro-fattoria che Valle de Odieta voleva costruire a Noviercas dovrà essere definitivamente respinto”,  ha dichiarato Greenpeace.  Stavamo lavorando da più di cinque anni per fermare questo macro-fattoria e per questo, da Greenpeace plaudiamo alle norme approvate dal Governo».

Il nuovo regolamento stabilisce anche che, al di sopra di quel massimo, non dovrebbe essere consentita l’espansione degli allevamenti attualmente in esercizio,  e per questo Greenpeace España ritiene che «Il governo della Navarra dovrebbe respingere la richiesta che la stessa società ha recentemente fatto per ampliare la sua macroazienda agricola Caparroso L’attuale richiesta renderebbe questa macroazienda agricola quasi 12 volte più grande della normativa approvata».

Greenpeace España fa però notare che «Nonostante il regio decreto sia un chiaro segnale per il settore, questa normativa non è ancora l’impegno per un modello di allevamento veramente sostenibile e su piccola e media scala. La capacità massima stabilita di 850 capi di bestiame adulto è ancora molto elevata. Sì, impedirà l’installazione di allevamenti di dimensioni esagerate, tuttavia, consentirà l’installazione di allevamenti piuttosto grandi che, sommati tra loro, continueranno a rappresentare un grande impatto ambientale. Insomma,  la normativa approvata non tiene conto dell’effetto cumulativo dei futuri allevamenti. Per questo motivo, da Greenpeace abbiamo proposto nelle nostre osservazioni che la capacità massima dovrebbe avere un limite di 180 capi di bestiame. Pertanto, chiediamo che il governo, parallelamente a questo regolamento, sviluppi un piano zootecnico strategico che consenta una visione d’insieme e che prevenga le conseguenze negative della somma di tante piccole aziende agricole. Questo piano deve contemplare anche  la graduale riduzione del patrimonio zootecnico intensivo fino a raggiungere il 50% in meno nel 2030, poiché solo così potremo affrontare molte delle sfide che si presentano oggi, come il cambiamento climatico, l’uso dell’acqua e la sua contaminazione, emissioni di ammoniaca, spopolamento o sofferenze animali».

Proprio in virtù degli impatti ambientali degli allevamenti intensivi, all’inizio del 2022 anche la Regione di Castiglia-La Mancha aveva varato una moratoria sugli allevamenti di suini in base alla quale non possono essere accettate nuove domande o concesse nuove autorizzazioni fino al 31 dicembre 2024, in attesa di regolare adeguatamente il settore.

Si tratta comunque di passi avanti  che per Greenpeace, «In Italia non sembrano essere neanche presi in considerazione dai decisori politici nazionali o locali, sebbene la situazione dei territori a maggiore densità di allevamenti intensivi, come la Pianura Padana, avrebbe immediato bisogno di uno stop all’aumento del numero dei capi allevati. Per tutelare non solo l’ambiente, ma anche la salute dei residenti.  Gli allevamenti intensivi sono infatti la seconda causa di formazione di polveri fini (PM 2,5) e, in alcuni periodi dell’anno, nelle regioni padane possono causare la formazione di quasi il 50% di questo pericoloso inquinante».

Un tipo di inquinamento che, secondo l’European environment agency (EEA), nel 2019 è stato responsabile di quasi 50 mila morti premature in Italia, in particolare proprio in Pianura Padana, e che deve essere contenuto anche attraverso la riduzione del numero dei capi allevati, essendo strettamente connesso ai loro processi fisiologici.

Greenpeace Italia ricorda che «Ciò nonostante, in quegli stessi territori già al limite per il carico zootecnico presente, vengono rilasciate autorizzazioni per allevamenti di nuova costruzione o, sempre più spesso, per ampliamenti di allevamenti già esistenti, a volte dismessi da anni. È il caso di piccoli comuni come Schivenoglia in provincia di Mantova, che già “ospita” oltre due suini per abitante e dove il grande gruppo Cascone ha ricevuto i permessi per un allevamento di 4 mila suini, nonostante la centralina locale registri già alte concentrazioni di polveri sottili in atmosfera. O quello nel comune di Tromello (Pavia), dove lo stesso gruppo ha recentemente ricevuto i permessi per l’ampliamento di un allevamento già esistente che porterà nel territorio altri 30 mila suini. Ma se i maxi allevamenti crescono, le piccole realtà, che spesso usano metodi più sostenibili, arrancano; tra il 2004 e il 2016 l’Italia ha perso il 38 per cento delle sue aziende agricole, ma ha visto aumentare il numero di quelle grandi e molto grandi. Del resto sono queste ultime a ricevere la maggior parte dei fondi pubblici destinati a sostenere il settore, dal momento che l’80% dei fondi europei per l’agricoltura italiana finisce nelle casse del 20% dei beneficiari».

Greenpeace Itali conclude: «Nel festeggiare questa importante vittoria ottenuta in Spagna, non possiamo quindi che denunciare l’urgenza di cambiare un sistema iniquo e inquinante, costruito su misura di grandi aziende a discapito delle comunità locali. Un’immediata moratoria che anche in Italia impedisca la realizzazione o la crescita di nuovi allevamenti intensivi, a partire dalle aree a maggiore densità di animali allevati, è un passo necessario e non più rimandabile».