Nuovo preoccupante report del Wwf

Stop al consumo di suolo, o entro trent’anni ci mangeremo quasi tre “Rome”

L'associazione ambientalista: "Incombe una colata di cemento pari a 800 chilometri quadrati"

[5 Ottobre 2020]

Sull’Italia – e in particolare sulle sue aree libere – incombe una colata di cemento pari a 800 chilometri quadrati. Ne è sicuro il Wwf, che riprendere i dati elaborati da Ispra dal gruppo di ricerca dell’Università dell’Aquila, storico collaboratore dell’associazione ambientalista.

Per quantificare visivamente cosa voglia dire quella cifra,  il Wwf spiega che “rischiamo al 2050 che le aree urbanizzate in Italia (dove già oggi vive più di 1/3 della popolazione)  un’area equivalente a 2,5 “Rome” delimitate dal GRA (interamente edificate) e che l’assedio dei Siti Natura 2000  – le aree di pregio tutelate dall’Europa – localizzati nelle nostre pianure non si arresti, invadendo le aree di stretta adiacenza e arrivando così a cancellare quasi altri 10.000 ettari di pregio (considerando che sono già 140mila gli ettari delle aree buffer dei siti comunitari già urbanizzate in tutte le aree del paese)”.

Uno scempio, ben evidenziato nel Report WWF per Urban Nature 2020 dal titolo significativo “Safe Cities in armonia con la Natura: per città più verdi, più sane e più sicure”, contro il quale è arrivato il momento di riprogettare le nostre città, realizzando piani e progetti di trasformazione e rigenerazione urbana che diano più spazio alla natura, garantendo, già da ora, la resilienza dei sistemi naturali e, nelle città attraversate dai corsi d’acqua, interventi realizzati con “nature based solutions”.

Il grido di dolore non è certo nuovo, la battaglia contro il consumo di suolo (non solo in Italia), va avanti con scarsi risultati va detto, da moltissimi anni. Da noi solo qualche sindaco di piccoli paesi è riuscito a tenere testa a qualche grande insediamento, ma il punto non è solo dire no, bensì recuperare tutte le aree – che sono tantissime – dove gli insediamenti soprattutto industriali sono abbandonati da anni.

Per il Wwf, quindi, ora è il tempo delle scelte, incalzati anche dai fenomeni estremi causati dai cambiamenti climatici, e lancia la sua proposta internazionale “One Planet City Challange”, che ha già raccolto l’adesione di 600 città che stanno già facendo scelte sostenibili per contenere i cambiamenti climatici in tutte le parti del mondo: come Città del Messico, che sta realizzando un grande progetto per la tutela dei boschi vicini alla città o Hyderabad in India che sta favorendo l’agricoltura urbana, e poi Nairobi, in Kenya, Hanoi in Vietnam e Abbotsford che è la città canadese dove si registrano le maggiori precipitazioni che sta intervenendo sul Parco Naturale di Fishtrap Creek per favorire il deflusso delle acque.

In Europa – segnala sempre il Panda – con il Progetto CLEVER Cities, è stata costruita dal giugno 2018 un’alleanza di tre città leader quali Londra, Amburgo e Milano per sperimentare interventi di co-progettazione (amministrazioni e cittadini), attuazione e gestione di soluzioni su misura per le nostre città Basate sulla Natura(Nature Based Solutions). A Milano, – grazie al partenariato con il Comune (capofila del progetto), il Politecnico di Milano, Rfi e Italferr, AMAT, Ambiente Italia e Coop Eliante – si sta intervenendo per la realizzazione del nuovo parco urbano del Giambellino 129, nell’ambito del piano di rigenerazione del quartiere Lorenteggio;  per il rinverdimento della Fermata ferroviaria Tibaldinella zona sud della città; e con un diffuso progetto di pareti e tetti verdi in tutta l’area urbana.

I professori Bernardino Romano e Francesco Zullo dell’Università dell’Aquila – DICEAA, sostengono che bisogna procedere ad un’equilibrata e corretta interazione tra iniziative di densificazione urbana (infilling) e deimpermeabilizzazione (de-sealing) – grazie anche all’uso dello strumento del “Bilancio Zero” di consumo di suolo – tenendo conto che i tessuti urbani italiani sono pieni di superfici ad uso precario/dimesso idonee per nuove funzioni che, oltre a rispondere alle esigenze delle comunità residenti, devono essere occasione di riqualificazione ambientale. Ed è Davide Bazzini, vicepresidente dell’associazione IUR – Innovazione Urbana e Rigenerazione, che rileva come ci sia bisogno, innanzitutto, di una infrastrutturazione sociale per pianificare e progettare città resilienti, basata da un approccio relazionale che favorisca la governance condivisa delle nostre aree urbane.

Vedremo, come sempre si tratta di battaglie che, dal nostro punto di vista devono avere la sostenibilità ambientale, economica e sociale come criterio direttore. Bisogna insomma che la politica faccia delle scelte, che sono certamente dei no, come ad esempio nuove costruzioni in aree densamente abitate, ma anche dei si ai criteri di recupero per quelle abbandonate. E con iniziative costanti sul recupero delle stesse a mezzo incentivi o sgravi.