Trovato l’anello mancante dei cerchi delle fate?

La spiegazione potrebbe venire da un insieme di modelli spaziali e cambiamenti fenotipici

[15 Dicembre 2023]

I cerchi delle fate, strutture circolari di terreno nudo disseminate nelle praterie, sono stati inizialmente scoperti in Namibia, ma poi ci si accorse che erano presenti anche in altre parti del mondo e da allora hanno affascinato e sconcertato gli scienziati che per spiegarne la formazione e l’aspetto hanno fatto ipotesi che a vanno dall’autorganizzazione spaziale indotta dal feedback della vegetazione – disponibilità d’ acqua ai nidi di termiti.

lo studio “Phenotypic plasticity: A missing element in the theory of vegetation pattern formation” pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) da Jamie Bennett, Bidesh Bera, Michel Ferré, Hezi Yizhaq ed Ehud Meron dell’università Ben-Gurion del Negev e  da Stephan Getzin dell’Universität Göttingen, propone  un nuovo modello che comprende sia la modellazione spaziale mediante un feedback acqua-vegetazione dipendente dalla scala, sia i cambiamenti fenotipici che coinvolgono la crescita delle radici profonde per raggiungere uno strato di terreno più umido.

Confrontando le previsioni dei modelli con le osservazioni empiriche, i ricercatori israeliani dimostrano che «L’accoppiamento tra questi due meccanismi è la chiave per risolvere due enigmi in sospeso che la teoria classica della formazione dei modelli di vegetazione non riesce a spiegare: la comparsa di modelli di cerchi delle fate multiscala, dove la matrice tra i cerchi delle fate  è costituita da macchie di vegetazione su piccola scala e dall’assenza di motivi a strisce e macchie, oltre a modelli di spazi vuoti, lungo il gradiente delle precipitazioni, come prevede la teoria classica».

Inoltre, lo studio ha scoperto che «La combinazione di cambiamenti fenotipici a livello di pianta e di modelli spaziali a livello di popolazione può dar luogo a molti ulteriori percorsi di risposta dell’ecosistema allo stress idrico, dando come risultato diversi modelli multiscala, tutti significativamente più resistenti allo stress idrico. rispetto a quelli che coinvolgono un singolo fenotipo».

Meron, un fisico del Jacob Blaustein Institutes for Desert Research (BIDR) e dello Swiss Institute for Dryland Environmental and Energy Research e che recentemente si è aggiudicato un ERC Synergy Grant per studiare i percorsi di resilienza nelle zone aride e in altri biomi, conclude: «Identificare questi percorsi alternativi è essenziale per spostare gli ecosistemi fragili già su binari destinati al collasso verso percorsi di resilienza. Questo studio evidenzia l’importanza di considerare più elementi della complessità dell’ecosistema quando si affronta il modo di evitare il ribaltamento verso stati disfunzionali dell’ecosistema man mano che si sviluppano climi più caldi e secchi».