L’Homo sapiens raggiunse l’Europa a nord delle Alpi già più di 45.000 anni fa

L'arrivo dei sapiens nelle fredde latitudini settentrionali avvenne diverse migliaia di anni prima della scomparsa dei Neanderthal nell'Europa sud-occidentale

[2 Febbraio 2024]

Nature e Nature Ecology & Evolution pubblicano  3 studi – “Homo sapiens reached the higher latitudes of Europe by 45,000 years ago” (Dorothea Mylopotamitaki et al.); “The ecology, subsistence and diet of ~45,000-year-old Homo sapiens at Ilsenhöhle in Ranis, Germany” (Geoff Smith et al.); “Stable isotopes show Homo sapiens dispersed into cold steppes ~45,000 years ago at Ilsenhöhle in Ranis, Germany” (Sarah Pederzani et al.) – che illustrano la scoperta di fossili di Homo sapiens nel sito della grotta Ilsenhöhle a Ranis, in Germania. Il team di ricerca internazionale autore dei 3 studi spiega che «Datati direttamente a circa 45.000 anni fa, questi fossili sono associati a punte di pietra allungate parzialmente sagomate su entrambi i lati (note come punte di lama bifacciali parziali), caratteristiche del Lincombiano-Ranisiano-Jerzmanowiciano (LRJ). Questo tecnocomplesso archeologico è temporalmente situato tra il Paleolitico medio associato al Neanderthal e il Paleolitico superiore dell’Homo sapiens. Inoltre, a Ranis, l’LRJ contiene anche punte di foglie bifacciali, che sono completamente lavorate su entrambi i lati, e sono state interpretate da alcuni ricercatori come prova di un collegamento con i Neanderthal locali».

Le nuove scoperte documentano i primi fossili di Homo sapiens conosciuti nell’Europa centrale e nordoccidentale e rivelano per la prima volta i creatori del LRJ. I ricercatori ricordano che «Le punte bifacciali parziali trovate a Ranis – uno dei principali siti tipo del LRJ – sono state scoperte anche in altre località in tutta Europa, dalla Moravia e dalla Polonia orientale fino alle Isole britanniche, e possono ora essere collegate a un arrivo anticipato di piccoli gruppi di Homo sapiens nell’Europa nordoccidentale diverse migliaia di anni prima che i Neanderthal scomparissero nell’Europa sudoccidentale».

I tre studi descrivono i fossili di Homo sapiens rinvenuti a Ilsenhöhle a Ranis e il contesto ad essi associato (Mylopotamitaki et al.), la dieta e lo stile di vita di questi primi pionieri (Smith et al.) e le condizioni ambientali che affrontarono nell’Europa centrale e nordoccidentale. (Pederzani et al.). Uno dei principali autori della ricerca. Jean-Jacques Hublin, professore al Collège de France di Parigi e direttore emerito al Max-Planck-Institut für evolutionäre Anthropologie  di Lipsia, evidenzia che «Il sito della grotta di Ranis fornisce la prova della prima dispersione dell’Homo sapiens alle latitudini più elevate d’Europa. Si è scoperto re che i manufatti in pietra che si pensava fossero stati prodotti dai Neanderthal facevano in realtà parte del primo kit di strumenti dell’Homo sapiens. Questo cambia radicalmente le nostre conoscenze precedenti su questo periodo di tempo: l’Homo sapiens raggiunse l’Europa nordoccidentale molto prima della scomparsa dei Neanderthal nell’Europa sudoccidentale»

Il team di ricerca internazionale guidato da Hublin, Shannon McPherron (Max-Planck-Institut für evolutionäre Anthropologie), Tim Schüler (Thüringisches Landesamt für Denkmalpflege und Archäologie) e Marcel Weiss (Friedrich-Alexander-Universität Erlangen-Nürnberg e Max-Planck-Institut für evolutionäre Anthropologie) hanno riesumato i reperti di Ranis tra il 2016 e il 2022 con gli obiettivi erano individuare i depositi rimanenti degli scavi degli anni ’30, chiarire la stratigrafia e la cronologia del sito e identificare i creatori del LRJ. Nella parte inferiore della sequenza profonda 8 metri, i ricercatori hanno scoperto strati contenenti LRJ. Wiss sottolinea che «La sfida era scavare l’intera sequenza di 8 metri dall’alto al basso, sperando che alcuni depositi fossero rimasti dallo scavo degli anni ’30. Abbiamo avuto la fortuna di trovare una roccia spessa 1,7 metri che gli scavatori precedenti non erano riusciti a superare. Dopo aver rimosso la roccia a mano, abbiamo finalmente scoperto gli strati LRJ e trovato anche fossili umani. Questa è stata una grande sorpresa, poiché prima non si conoscevano fossili umani del LRJ, ed è stata una ricompensa per il duro lavoro svolto sul sito».

E’ così che sono stati recuperati migliaia di pezzi di ossa molto frammentati. Uno dei ricercatori, lo zooarcheologo  Geoff Smith dell’università del Kent e del Max-Planck-Institut für evolutionäre Anthropologie, spiega a sua volta che «L’analisi zooarcheologica mostra che la grotta di Ranis veniva utilizzata in modo intermittente da iene, orsi delle caverne in letargo e piccoli gruppi di esseri umani. Mentre questi umani usavano la grotta solo per brevi periodi di tempo, consumavano carne di una vasta gamma di animali, tra cui renne, rinoceronti lanosi e cavalli. Sebbene le ossa fossero rotte in pezzi più piccoli, erano eccezionalmente ben conservate e ci hanno permesso di applicare i metodi più all’avanguardia della scienza archeologica, della proteomica e della genetica».

I ricercatori hanno utilizzato le proteine ​​estratte dai frammenti ossei morfologicamente non identificabili per identificare i resti animali e umani rinvenuti negli strati LRJ. Dorothea Mylopotamitaki, ex dottoranda PUSHH-Marie Sklodowska-Curie Actions al Collège de France e del Max-Planck-Institut für evolutionäre Anthropologie evidenzia che «La paleoproteomica è uno strumento relativamente nuovo per eseguire identificazioni tassonomiche di resti scheletrici precedentemente non identificabili recuperati da siti archeologici. A Ranis, questo ci ha permesso di identificare i primi resti umani associati agli strati LRJ, che sono stati poi analizzati ulteriormente con i metodi più recenti nel DNA antico, nella datazione al radiocarbonio e nell’analisi degli isotopi stabili».

Oltre a questi nuovi scavi, il team di scienziati  ha anche intrapreso nuove analisi dei frammenti ossei della vecchia collezione Ranis (scavi dal 1932 al 1938), che sono curati e conservati all’Ufficio statale per la gestione del patrimonio e l’archeologia della Sassonia-Anhalt. E’ stato realizzato anche uno studio che ha esaminato le ossa una ad una per identificare potenziali resti umani ed  Hélène Rougier, paleoantropologa della California State University – Northridge fa notare che «Questo lavoro scrupoloso è stato ricompensato dalla scoperta di diverse nuove ossa umane. Trovare resti umani mescolati con ossa di animali conservati per quasi un secolo è stata una sorpresa inaspettata e fantastica». Un ulteriore lavoro su queste collezioni è in corso da parte della Rougier e dei ricercatori dell’Ufficio statale per la gestione del patrimonio e l’archeologia della Sassonia-Anhalt e mette in luce l’enorme valore delle collezioni museali.

Una volta identificati i 13 resti scheletrici umani provenienti sia dal vecchio che dal nuovo scavo, da questi fossili è stato estratto e analizzato il DNA ed Elena Zavala, dell’università della California – Berkeley e del Max-Planck-Institut für evolutionäre Anthropologie sottolinea che «Abbiamo confermato che i frammenti scheletrici appartenevano all’Homo sapiens. E’ interessante notare che diversi frammenti condividevano le stesse sequenze di DNA mitocondriale, anche frammenti provenienti da scavi diversi.   Questo indica che i frammenti appartenevano allo stesso individuo o erano parenti materni, collegando questi nuovi ritrovamenti con l’Homo sapiens a quelli di decenni fa»,

Un altro obiettivo importante del team di ricerca internazionale era ottenere il DNA dai sedimenti del sito, in particolare dagli strati LRJ. Quindi, oltre alla ricerca di frammenti di ossa umane, il team ha anche estratto il DNA di antichi mammiferi da campioni di sedimenti per completare l’analisi zooarcheologica. Inoltre, sono in corso analisi del DNA nucleare in collaborazione con Arev Sümer al Max Planck.

Per capire quando gli esseri umani occuparono la grotta, è stata utilizzata la datazione al radiocarbonio e le ossa di Homo sapiens degli scavi degli anni ’30 e del 2016-2022 sono state datate direttamente utilizzando quantità molto piccole di ossa per preservare il materiale per ulteriori analisi. Le datazioni dimostrano che «Questi individui furono alcuni dei primi Homo sapiens ad abitare in Europaz.

La datazione al radiocarbonio delle ossa di animali provenienti da diversi strati del sito si è concentrata su quelle con tracce di modifiche umane, collegando le datazioni alla presenza umana nella grotta.  a Helen Fewlass, ricercatrice al Francis Crick Institute di Londra, dice che «Abbiamo trovato un ottimo accordo tra le date al radiocarbonio delle ossa di Homo sapiens di entrambe le collezioni di scavo e con le ossa di animali modificate degli strati di LRJ del nuovo scavo, creando un collegamento molto forte tra i resti umani e LRJ. Le prove suggeriscono che l’Homo sapiens occupava sporadicamente il sito già 47.500 anni fa».

Le analisi degli isotopi stabili su denti e ossa di animali consentono di comprendere le condizioni climatiche e gli ambienti che i gruppi di Homo sapiens pionieri trovarono  intorno a Ranis. Il team ha combinato informazioni provenienti da un’ampia gamma di diversi rapporti isotopici stabili ed è stato in grado di dimostrare che «Durante il periodo della LRJ prevalevano un clima continentale molto freddo e paesaggi steppici aperti, simili a quelli che si trovano oggi in Siberia o nella Scandinavia settentrionale. le condizioni si raffreddarono ulteriormente durante l’occupazione di Ranis da parte di LRJ». Per Sarah Pederzani dell’Universidad de La Laguna e del Max-Planck-Institut für evolutionäre Anthropologie, che ha condotto lo studio sul paleoclima. del sito, «Questo dimostra che anche questi primi gruppi di Homo sapiens che si disperdevano in tutta l’Eurasia avevano già una certa capacità di adattarsi a condizioni climatiche così rigide. Fino a poco tempo fa si pensava che la resilienza alle condizioni climatiche fredde non fosse comparsa fino a diverse migliaia di anni dopo, quindi questo è un risultato affascinante e sorprendente. Forse le steppe fredde con branchi più grandi di animali da preda erano ambienti più attraenti per questi gruppi umani di quanto precedentemente apprezzato».

Al Max-Planck-Institut für evolutionäre Anthropologie evidenziam no che «Questo studio completo, che integra scavo archeologico, identificazione tassonomica morfologica e proteomica, analisi del DNA mitocondriale, datazione al radiocarbonio di materiale archeologico appena scavato e di resti umani, zooarcheologia e analisi isotopiche, segna una pietra miliare significativa nella comprensione delle incursioni iniziali dell’Homo sapiens nell’Europa a nord delle Alpi durante la transizione dal Paleolitico medio al Paleolitico superiore».

Inoltre, il team internazionale di ricercatori ha scoperto che l’Homo sapiens si è avventurato in Europa in condizioni climatiche rigide e fredde e che «Spostandosi in piccoli gruppi, condividevano il loro ambiente e i loro siti con grandi carnivori, come le iene, e producevano elaborati strumenti di pietra a forma di foglia».

Schüler conclude: «I risultati dell’Ilsenhöhle di Ranis cambiano radicalmente le nostre idee sulla cronologia e sulla storia degli insediamenti dell’Europa a nord delle Alpi. E’ particolarmente emozionante che ora abbiamo il più antico H. sapiens qui in Turingia, in Germania».