Ma molti scienziati considerano il progetto una distrazione pericolosa

Il livornese che vuole ricongelare il mare dell’Artico (VIDEO)

Andrea Ceccolini al lavoro con Real Ice per rendere più spesso il ghiaccio marino artico che sta scomparendo

[18 Marzo 2024]

BBC News  ha dedicato l’apertura della sua pagina Science & Environment dell’ultimo weekend  al reportage “Climate change: The ‘insane’ plan to save the Arctic’s sea-ice” a firma dell’editorialista climatico Mark Poynting che si occupa di un progetto per impedire lo scioglimento del ghiaccio marino.

Si tratta di  Real Ice, del quale il livornese Andrea Ceccolini è co-amministratore delegato insieme al fondatore Cían  Sherwin, e che punta a trovare metodi per ripristinare e preservare il ghiaccio marino artico utilizzando energia rinnovabile.

Lo staff di Real Ice ricorda che «Chiamato “il frigorifero della Terra”, il ghiaccio marino nell’Artico è il principale strumento di prevenzione per evitare che le temperature dell’oceano salgano alle stelle e, in definitiva, creando un effetto di raffreddamento sulle temperature globali. Sfortunatamente, l’Artico si sta riscaldando molto più velocemente che altrove sulla terra, provocando lo scioglimento del ghiaccio marino. Quando il ghiaccio marino scomparirà  completamente dall’Artico in una giornata estiva, si innescherà un Blue Ocean Event – un punto di non ritorno catastrofico che si tradurrà in un rapido riscaldamento ed espansione degli oceani, nel rallentamento delle correnti di acqua fredda, nell’acidificazione degli oceani e in un aumento della violenza. tempeste e inondazioni delle città costiere.  Contribuendo a uno sforzo su larga scala, il nostro obiettivo è garantire che il ghiaccio marino rimanga nell’Artico tutto l’anno».

Ecco come dovrebbe funzionare la cosa secondo lo staff del progetto di geoingegneria che Ceccolini e soci definiscono incoraggiamento del processo naturale di generazione del ghiaccio marino artico: «Real Ice utilizzerà la generazione di energia rinnovabile (energia eolica o solare) per creare idrogeno verde. Su larga scala, questo può essere utilizzato per alimentare i droni sottomarini per ripristinare e preservare il ghiaccio marino artico nelle regioni remote dell’Oceano Artico. La comunicazione satellitare sarà utilizzata anche per facilitare la pianificazione del re-icing su scala oceanica. Il sistema di pompaggio dell’acqua per operazioni su larga scala sarà fornito da un drone sottomarino con un sistema energetico a celle a combustibile a idrogeno. A seconda della funzione (produzione di ghiaccio o innevamento) e delle condizioni del ghiaccio (ad esempio, quanto bene si diffonde l’acqua nella zona), rimarranno in posizione da poche ore a pochi giorni. All’inizio dell’inverno, inonderemo il ghiaccio marino con acqua di mare per creare un ulteriore strato di ghiaccio marino e rimuovere lo strato isolante di neve. Alla fine dell’inverno ricreeremo lo strato di neve per proteggere il ghiaccio marino dalle radiazioni solari, aiutandolo a durare più a lungo durante i mesi estivi».

I ricercatori hanno sfidato le dure condizioni della baia di Cambridge, un piccolo villaggio canadese nel circolo polare artico e, al riparo di una tenda svolazzante, durante un problematico  collegamento via Zoom  con BBC News, Ceccolini ha detto che «Fa piuttosto freddo. Ci sono circa -30° C con un forte vento, che porta la temperatura a -45° C con il fattore wind chill».

Poynting  spiega che quelli di Real Ice «Stanno scavando un buco nel ghiaccio marino che si forma naturalmente in inverno e pompando circa 1.000 litri di acqua di mare al minuto attraverso la superficie. Esposta alla fredda aria invernale, l’acqua di mare congela rapidamente, contribuendo ad addensare il ghiaccio sulla superficie. L’acqua compatta anche la neve. Poiché la neve fresca funge da buon strato isolante, ora il ghiaccio può formarsi più facilmente anche sul lato inferiore a contatto con l’oceano».

Ceccolini aggiunge: «L’idea è che quanto più spesso è il ghiaccio [alla fine dell’inverno], tanto più a lungo sopravviverà quando entreremo nella stagione dello scioglimento». La missione nell’Artico canadese per quest’anno è quasi finita ma i ricercatori di Real Ice dicono di aver già visto il ghiaccio addensarsi di qualche decina di centimetri nella loro piccola zona di studio. Nei prossimi mesi lo spessore del ghiaccio marino sarà monitorato dagli abitanti di Cambridge.

Lo scetticismo – anche di BBC news – è altissimo e  Martin Siegert, un esperto glaciologo dell’università di Exeter che non è coinvolto nel progetto, ha detto a Poynting che «La stragrande maggioranza degli scienziati polari pensa che questo non funzionerà mai».  BBC news evidenzia che «Un problema è che il ghiaccio più salato potrebbe sciogliersi più rapidamente in estate. E poi c’è l’enorme sfida logistica di portare il progetto a un livello significativo: una stima suggerisce che potrebbero essere necessarie circa 10 milioni di pompe eoliche per addensare il ghiaccio marino in appena un decimo dell’Artico».

Julienne Stroeve, professoressa di osservazione e modellazione polare all’University College di Londra è ancora più tranchant di  Siegert: «Secondo me è piuttosto folle che ciò possa essere fatto su larga scala per l’intero Oceano Artico».

La geoigegneria come quella proposta da Ceccolini vede molti scienziati – e la stessa World meteorological organization – contrari per i gravi rischi che potrebbe comportare, compresa l’interruzione dei modelli meteorologici globali. Molti ricercatori chiedono di bandire la geoingegneri.

Lili Fuhr, direttrice del Fossil Economy Program del Center for International Environmental Law, avverte che «Le tecnologie di geoingegneria comportano enormi incertezze e creano nuovi rischi per gli ecosistemi e le persone. L’Artico è essenziale per sostenere i nostri sistemi planetari: pompare acqua di mare sul ghiaccio marino su larga scala potrebbe cambiare la chimica degli oceani e minacciare la fragile rete della vita».

Shaun Fitzgerald, a capo del team del Centre for Climate Repair  dell’università di Cambridge che è dietro al progetto Real Ice, ribatte che «Non siamo qui a promuoverlo come la soluzione al cambiamento climatico nell’Artico. Stiamo dicendo che potrebbe essere parte, ma dobbiamo andare e scoprire molto di più prima che la società possa decidere se è una cosa sensata o meno».

Gli scienziati del Centre for Climate Repair/Real Ice  sono d’accordo sul fatto che la geoingegneria non è la soluzione miracolosa per affrontare il cambiamento climatico e che tagli drastici ai combustibili fossili e alle emissioni di carbonio sono molto importanti per evitare le peggiori conseguenze del riscaldamento globale, ma ricordano che «Anche con un’azione rapida, il mondo si troverà ancora di fronte a un futuro difficile».

Ceccolini ha detto al Polar Journal: «Stiamo almeno cercando di preservare il ghiaccio che ancora abbiamo, che a fine estate ammonta a circa 4 milioni di chilometri quadrati. E se potessimo, vorremmo riportarlo com’era negli anni ’80, ovvero, oltre 7 milioni di Km2. Gli studi più recenti mostrano che entro i prossimi 10 – 20 anni sperimenteremo il primo evento di Blue Ocean in cui non ci sarà ghiaccio marino nell’Artico durante il periodo estivo. Sarà per la prima volta in 2 milioni di anni».

Ceccolini aggiunge: «La tecnologia di Real Ice funziona inviando droni sottomarini che perforano il ghiaccio dal basso. I droni sono alimentati a idrogeno verde e lanciati da piattaforme galleggianti» e smentisce  che Raeal Ice abbia a che fare con la geoingegneria:  «Siamo attivi nel campo della geomimetica. Non diffondiamo sostanze chimiche. Non creiamo nulla che la natura non abbia già creato prima».

E a Real Ice aggiungono: «Attraverso il nostro lavoro miriamo a proteggere le comunità globali e locali dagli effetti drastici del riscaldamento dell’Artico e, inoltre, a contribuire a preservare la biodiversità naturale di un ecosistema critico. Riconosciamo che saranno necessari molti gruppi che lavoreranno su molteplici strategie per invertire completamente il catastrofico scioglimento. Il nostro  ruolo è progettare e testare sistemi di ripristino scalabili, sostenibili e adattabili in stretta collaborazione con le comunità locali artiche».

Jacob Pantling, un ricercatore del Center for Climate Repair che ha lavorato con Ceccolini nel gelido Artico canadese, conclude: «Abbiamo bisogno di altre soluzioni. Dobbiamo ridurre le emissioni, ma anche se lo facciamo il più rapidamente possibile, l’Artico continuerà a sciogliersi».

Ma Siegert  non è per niente convinto ed evidenzia un altro grosso rischio di questo tipo di progetti che riguarda proprio la necessità di intervenire rapidamente e concretamente: «Il vero pericolo è che fornisce una distrazione e le persone con interessi acquisiti la useranno come scusa per continuare a bruciare combustibili fossili. Francamente, è una cosa folle e deve essere fermata. Il modo per risolvere questa crisi è decarbonizzare: è la nostra migliore e unica via da seguire».

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