Da dove arriva la microplastica nell’Artico?

Potrebbero contribuire circolazione oceanica, scioglimento dei ghiacci, turismo, gestione inadeguata dei rifiuti, trasporto marittimo e pesca

[18 Ottobre 2023]

Numerosi studi hanno dimostrato che le quantità globali di microplastiche nell’ambiente marino stanno aumentando, anche in località remote come l’Artico. Il Mare di Barents, che confina con l’Oceano Artico, è una delle aree oceaniche più produttive del mondo e ospita un’enorme biodiversità, è anche una via chiave per il flusso dell’acqua dell’Atlantico verso l’Oceano Artico ed è stata considerato un potenziale hot spot per la microplastica.

Il nuovo studio “Microplastics in the Arctic: a transect through the Barents Sea”, pubblicato su Frontiers in Marine Science da scienziati del Plymouth Marine Laboratory e del Centre for Ecology and Conservation dell’università di Exeter ha misurato le concentrazioni di microplastiche nel Mare di Barents e suggerisce che «La circolazione oceanica, lo scioglimento dei ghiacci, il turismo, la gestione inadeguata dei rifiuti, il trasporto marittimo e la pesca sono tutti probabili fattori che contribuiscono».

Per quantificare, caratterizzare e determinare la distribuzione delle microplastiche in questa regione, con particolare attenzione al potenziale impatti sullo zooplancton, i ricercatori britannici hanno analizzato campioni di grandi volumi di acqua sotterranea raccolti sotto la superficie  del Mare di Barents.

All’università di Exeter spiegano: «Dato che il Mare di Barents è un’area ad alta produttività primaria e che le dimensioni delle microplastiche si sovrappongono alla dimensione ottimale delle prede dello zooplancton, si ritiene probabile che lo zooplancton all’interno di questa regione consumi microplastiche, facilitando l’ingresso di queste particelle di origine antropica nelle reti alimentari polari». Precedenti studi hanno dimostrato che l’ingestione di microplastica da parte dello zooplancton può influenzarne negativamente la fertilità e la crescita oltre ad alterare la velocità di affondamento delle feci; un processo importante che aiuta il trasporto di carbonio e nutrienti nelle acque più profonde e nei fondali marini».

Dallo studio è emerso che «Nel complesso, la quantità media di microplastiche nel Mare di Barents orientale è stata di 0,011 microplastiche per metro cubo (intervallo: 0,007 – 0,015 m3). Le microplastiche sono state trovate in maggiore abbondanza più vicino alla massa terrestre all’estremità meridionale dei  transetti e a nord verso il bordo del ghiaccio, registrando 0,015 microplastiche m3 durante entrambi i lati del transetto. Le microplastiche erano prevalentemente fibrose (92,1%) e solitamente di colore blu (79%) o rosso (17%). E’ stata identificata una gamma di polimeri tra cui poliestere (3,8%), miscele di copolimeri (2,7%), elastomeri (7,1%) e acrilici (10,6%), con la stragrande maggioranza osservata da cellulosa modificata antropogenicamente, come il rayon».

I ricercatori fanno notare che, «Sebbene non sia possibile determinare la fonte della plastica attraverso questo studio, le concentrazioni più elevate sono state trovate vicino a fonti di inquinamento di origine antropica e di scioglimento dei ghiacci, che sono noti depositi di microplastica marina. E’ anche probabile la possibilità di input locali; poiché il turismo alle Svalbard continua ad aumentare, la mancanza di infrastrutture adeguate per i rifiuti si tradurrà in un aumento delle perdite nelle acque circostanti. L’aumento del turismo, abbinato ad altre fonti locali tra cui l’immissione di acque reflue, le attività di navigazione e la pesca, potrebbero spiegare i livelli più elevati di abbondanza di microplastica verso la costa rispetto a quelli più al largo».

La principale autrice dello studio, Heather Emberson-Marl, studentessa master all’università di Exeter e al Plymouth Marine Laboratory,  sottolinea che «E’ evidente che i dati sulla microplastica provenienti dall’Artico sono limitati e questo studio fungerà da punto di riferimento per ulteriori ricerche. Inoltre, i metodi di campionamento tra gli studi sulle microplastiche nell’Artico variano e le diverse unità di misura utilizzate nelle ricerche precedenti rendono difficile effettuare confronti. Raccomandiamo che gli studi futuri si adoperino per un protocollo di campionamento standardizzato per consentire confronti diretti e conclusioni più solide sugli effetti ecologici e tossicologici sulla biologia marina dell’Artico».

Una coautrice dello studio, Rachel Coppock, ecologista marina del Plymouth Marine Laboratory,  conclude: «La regione artica è remota e la maggior parte di noi potrebbe immaginare che sia una meraviglia naturale incontaminata. Ma una volta che le microplastiche entrano nell’ambiente marino vengono trasportate dalle correnti, spesso da aree popolate a molte migliaia di chilometri di distanza, finendo lontano dalla fonte e, nel caso dell’alto Artico, possono rimanere intrappolate nel ghiaccio marino e rilasciate durante la primavera quando si scioglie. Il riscaldamento dei mari sta causando un maggiore scioglimento del ghiaccio marino, rilasciando potenzialmente ulteriori microplastiche e aggiungendo un ulteriore livello di complessità alla vita marina che si adatta a un mondo in cambiamento».