Pfas, la Regione Lombardia non risponde a Greenpeace sulla richiesta di accesso agli atti

«Serve più trasparenza per la sicurezza e tranquillità della cittadinanza»

[6 Giugno 2023]

Greenpeace Italia ha presentato al Responsabile per la prevenzione e la trasparenza della Regione Lombardia un’istanza di riesame della richiesta di accesso agli atti (FOIA) presentata più volte dall’organizzazione ambientalista e alla quale la Regione non ha mai dato riscontro.

Gli ambientalisti spiegano che «Nei mesi scorsi, nello specifico il 27 ottobre 2022 e il 21 dicembre 2022, Greenpeace Italia ha inviato alla Regione due richieste ufficiali per conoscere gli esiti delle analisi effettuate allo scopo di individuare la presenza di PFAS nelle acque potabili lombarde. La richiesta di riesame arriva dopo che il termine di legge di trenta giorni dalla presentazione dell’istanza concesso alla Regione affinché si pronunci in merito è abbondantemente scaduto».

Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia, aggiunge: «La Regione Lombardia, insieme a pochi altri gestori, non ha mai risposto alle nostre istanze di accesso agli atti riguardo la presenza di PFAS nelle acque potabili, violando le normative vigenti. Se per la Regione è tutto sotto controllo, perché non fa un’operazione di trasparenza, così come da anni avviene in Veneto per garantire a tutta la cittadinanza l’accesso alle informazioni? Ricordiamo che siamo stati costretti a fare una richiesta di accesso agli atti proprio perché alcuni enti preposti non hanno pubblicato spontaneamente i risultati delle analisi, come si dovrebbe fare per garantire la trasparenza amministrativa».

Inoltre, oggi Greenpeace Italia ha pubblicato il briefing “PFAS nelle acque a uso potabile della Lombardia: facciamo chiarezza”, nel quale fa il punto dopo le seguite alla pubblicazione dei dati sulla presenza di PFAS nelle acque lombarde a uso potabile e sottolinea che «Da un attento riesame di tutti i dati consegnati a Greenpeace da ATS e dai gestori emerge che 262 campioni (ovvero il 6,5% del totale di circa 4 mila) possono essere considerati con ragionevole certezza assimilabili alle acque di rubinetto, e quindi destinate al consumo umano, e indicavano la presenza di PFAS da un minimo 5 nanogrammi per litro (ng/l) a un massimo di 1146 ng/l. Questi dati, secondo le informazioni fornite dagli enti stessi (ATS e gestori), sono accompagnati da diciture come ad esempio “acqua destinata al consumo umano: potabile”, “acqua pozzo post trattamento” “acqua trattata”, “post trattamento”, “uscita filtro” o “uscita impianto”. Il conteggio effettuato da Greenpeace è molto conservativo ed esclude non solo campioni per cui si ha la ragionevole certezza che si tratti di acqua di rubinetto (ad esempio “rete” o “acquedotto”), ma anche campioni etichettati come “miscela”, “pozzo”, “uscita vasca”, “serbatoio”, “grezza”, “pompa”, “falda”, “sorgente” o, in moltissimi casi, addirittura non etichettati».

Inoltre. Greenpeace Italia evidenzia che «In base alle più recenti evidenze scientifiche, i PFAS sono pericolosi per la salute umana anche a concentrazioni molto basse; pertanto, l’unico valore cautelativo è la loro completa assenza nell’acqua destinata al consumo umano, negli alimenti, nel suolo e nell’aria. Un approccio di questo tipo ha di recente indotto l’Agenzia per la protezione dell’ambiente statunitense (EPA) a indicare come limite lo zero tecnico, ovvero il valore più basso che le attuali strumentazioni sono in grado di rilevare, mettendo in pratica il concetto che per i PFAS non esistono soglie di sicurezza. Anche la Danimarca ha adottato da alcuni anni valori estremamente cautelativi per l’acqua potabile pari a 0,002 microgrammi per litro e 2 nanogrammi per litro per la somma di quattro PFAS. Si tratta di valori limite ricavati partendo dall’indicazione dell’Agenzia europea sulla sicurezza alimentare (EFSA), che ha stimato una soglia massima di ingestione di PFAS pari a 4,4 nanogrammi per chilo di peso corporeo alla settimana (ovvero 0,0044 microgrammi per chilo) per la somma di quattro molecole (PFOA, PFOS, PFNA e PFHxS)».

Per questo, Greenpeace chiede al governo Meloni, al Parlamento e ai ministeri competenti di «Assumersi le proprie responsabilità e varare in tempi brevi un provvedimento che vieti l’uso e la produzione di tutti i PFAS in Italia, insieme all’adozione di adeguati provvedimenti di bonifica delle aree contaminate e all’individuazione di tutti i responsabili dell’inquinamento».