Il gas mette a rischio la salute di milioni di persone in Medio Oriente

Studio BBC: gli inquinanti tossici rilasciati dal gas flaring sono più pericolosi di quanto si temesse in precedenza

[29 Novembre 2023]

Il flaring, cioè la combustione dei gas di scarico emessi durante le trivellazioni petrolifere, è avviene in tutto il Golfo Persico/Arabo, anche mentre si terrà la COP28 Unfccc che inizia domani proprio negli Emirati Arabi Uniti. E una nuova ricerca realizzata da BBC Arabic suggerisce che l’inquinamento si diffonde per centinaia di chilometri, peggiorando la qualità dell’aria in tutta la regione.

Secondo David R. Boyd, relatore speciale Onu sui diritti umani e l’ambiente, «I risultati della BBC molto inquietante. Le grandi compagnie petrolifere e gli stati del Medio Oriente stanno violando i diritti umani di milioni di persone non riuscendo a contrastare l’inquinamento atmosferico da combustibili fossili. Nonostante l’enorme sofferenza umana, le grandi compagnie petrolifere e i petrostati continuano a fare business as usual nella totale impunità e con zero responsabilità».

Eppure, il flaring è evitabile e il gas può essere catturato e utilizzato per produrre elettricità o riscaldare le case, ma continua ad avenire in tutto il mondo. Gli inquinanti derivanti dal flaring comprendono PM2,5, ozono, NO2 e benzo(a)pirene (BaP) che, anche secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, a livelli elevati o con un’esposizione continuata, causano ictus, cancro, asma e malattie. Il flaring è anche una delle principali fonti di gas serra, CO2 e metano, a livello globale.

20 anni fa, la compagnia petrolifera nazionale degli Emirati Arabi Uniti, Adnoc – diretta dal presidente della COP28 Sultan al-Jaber – si è impegnata a porre fine al “flaring di routine”, ma la valutazione delle immagini satellitari della BBC mostra che il flaring continua ad avvenire quotidianamente nei siti offshore.

Misurare in modo affidabile l’inquinamento atmosferico causato dal flaring sul territorio è impegnativo e ci sono pochi dati ufficiali. E’ noto che ogni volta che il gas viene bruciato viene rilasciata una certa quantità di inquinamenti. Lavorando con BBC Arabic, gli scienziati ambientali hanno combinato queste informazioni con i volumi di gas bruciato – pubblicati dalla Banca Mondiale – per calcolare l’inquinamento totale. Una simulazione basata sulle attuali condizioni meteorologiche ha poi stimato il modo in cui il gas si spsta i nella regione.Ne è emerso, per esempio, che 3 giacimenti offshore negli Emirati Arabi Uniti stavano aumentando l’inquinamento atmosferico a Dubai e Abu Dhabi, a centinaia di chilometri di distanza.

Secondo lo studio “Air pollution and family related determinants of asthma onset and persistent wheezing in children: nationwide case-control study”, pubblicato nel 2020 su BMJ da un team di ricercatori danesi,«I bambini esposti a livelli più elevati di PM2,5 hanno maggiori probabilità di sviluppare asma e respiro sibilante persistente rispetto ai bambini non esposti». E nella regone del Golfo Psrsico/Arabico,  le malattie respiratorie sono una delle principali cause di morte nella regione, con i tassi di asma negli Emirati Arabi Uniti che sono tra i più alti al mondo.

L’analisi della BBC indica che, nel caso del Kuwait, parte di questo inquinamento causato dall’uomo proviene da ciminiere del flaring a 140 km di distanza, in Iraq. Secondo i dati della Banca Mondiale, l’Iraq è il secondo Paese al mondo per volume di flaring, dopo la Russia, che brucia quasi 18 miliardi di m3 di gas all’anno, quanto basterebbe per alimentare quasi 20 milioni di case europee ogni anno. La più grande fonte di flaring al mondo è il gigantesco giacimento petrolifero di Rumaila, nel sud dell’Iraq, a poco più di 30 km dal confine con il Kuwait  che è gestito da BP e Petrochina. Si trova.

Lo studio della BBC suggerisce che «Un inquinante cancerogeno chiamato benzoapirene sia 10 volte più elevato nel nord del Kuwait rispetto agli standard di sicurezza europei».

Anche nei villaggi vicini alle torce del flaring nello stesso Iraq, i livelli di PM2,5 erano estremamente alti, raggiungendo picchi orari di 100 microgrammi per m3. Il limite di sicurezza raccomandato dall’Oms è di 5 microgrammi per m3. Anche a 100 chilometri di distanza, a Kuwait City, i livelli di di PM2,5 raggiungevano ancora dai 5 ai 10 microgrammi per m3.

L’aria sporca in alcune parti del Golfo viene spesso attribuita alle i tempeste di polvere, ma Barrak Alahmad, dell’Harvard TH Chan School of Public Health, ha scoperto che non è necessariamente così. Il suo team ha passato 2 anni ad analizzare l’aria e la polvere del Kuwait per scoprire da dove provenisse l’inquinamento e ora dice che «In realtà quello che abbiamo scoperto è che solo il 40% proviene dal deserto. Il 42% proviene da fonti che coinvolgono le centrali elettriche, l’industria petrolifera e tutta l’industria che si trova in Kuwait e fuori dal Kuwait». Secondo lo studio del suo team, l’inquinamento residuo deriva dagli elevati livelli di traffico nel Kuwait e Alahmad ha detto alla BBC che «Si tratta di inquinamento atmosferico causato dall’uomo che possiamo regolare, possiamo ridurre, possiamo di fatto eliminare. Le particelle PM2.5 entrano nel flusso sanguigno di coloro che le inspirano e possono quindi rapidamente penetrare nei loro organi. Inostri reni, il nostro o cervello, il nostro cuore, ovunque. Questo può portare a un attacco asmatico acuto. Ad un certo punto, potrebbe essere molto pericoloso per la vita».

Akshaya Bhagavathula, professore associato di epidemiologia alla North Dakota State University, che non è stato coinvolto nello studio della BBC, ha esaminato i risultati della ricerca e ha detto che «Questo studio di modellazione preliminare evidenzia impatti potenzialmente sostanziali del flaring sulla qualità dell’aria nella regione del Golfo, ma sono necessarie ulteriori misurazioni e analisi per quantificare in modo completo gli oneri sanitari».

Le strutture proprietarie dei giacimenti petroliferi in Iraq e Kuwait sono intricate e la BBC scrive che «Consentono alle compagnie petrolifere internazionali come Eni, Lukoil e BP che lavorano qui di non dichiarare tutte le emissioni derivanti dalle loro attività».

La BP è un appaltatore leader che lavora nel giacimento petrolifero di Rumaila e per la Kuwait Oil Company, responsabile dell’82% del flaring nella piccola petromonarchia. Nel 2022 la Bp ha dichiarato di aver realizzato lo scorso anno un profitto di 53 milioni di sterline dalle sue operazioni in Kuwait.

Rispondendo alle domande della BBC sui risultati del suo studio sul flaring, la BP ha detto: «Come abbiamo affermato in precedenza, la BP non è e non è mai stata l’operatore del campo di Rumaila. Tuttavia, continuiamo a sostenere attivamente l’appaltatore principale nel suo lavoro per aiutare l’operatore del campo a ridurre il suo flaring e le sue emissioni». Rumaila è gestita da Rumaila Operating Organization, un consorzio al quale partecipa la Basra Energy Company, una partnership tra BP e PetroChina.

Secondo la Banca Mondiale, Invece di bruciarlo col flaring, il  gas potrebbe essere catturato e utilizzato per alimentare le abitazioni, ma il costo iniziale per installare la tecnologia necessaria è elevato: 100 miliardi di dollari a livello globale, ma se catturato e venduto, il gas potrebbe fruttare 16 miliardi di dollari all’anno. Un impegno finanziario comunque facilmente affrontabile da multinazionali che negli ultimi anni hanno fatto guadagni record grazie alla speculazione energetica.

Nel 2013, il governo iracheno e la Shell hanno creato la Basrah Gas Company per catturare il gas nei tre giacimenti più grandi, Rumaila, Qurna e Zubair. Ma da allora, i livelli complessivi di flaring sono rimasti stabili e, in realtà, sono aumentati in due dei giacimenti.

La Shell ha dichiarato alla BBC che «L’unico scopo della Basrah Gas Company è quello di catturare il gas che altrimenti verrebbe bruciato dai tre giganteschi giacimenti petroliferi, gestiti da altre compagnie. Cattura più del 63% del gas da questi giacimenti, ma non ha la capacità di catturarlo tutto».

La multinazionale russa Lukoil ha detto alla BBC che opera «In conformità con la legge irachena» e l’italiana Eni ha assicurato che «Collabora per ridurre e minimizzare il gas flaring», mentre PetroChina ha detto alla BBC che sta lavorando con la BP per sostenere la riabilitazione di Rumaila. Tutte le compagnie petrolifere si d sono dette naturalmente o estremamente preoccupata per le questioni sollevate dallo studio della BBC.

Anche se gli Emirati Arabi Uniti non hanno risposto alle domande della BBC, la loro compagnia petrolifera nazionale, Adnoc, ha dichiarato: «In tutte le nostre operazioni, siamo concentrati sul nostro obiettivo di eliminare il flaring di routine entro il 2030. Effettuiamo il flaring a un ritmo inferiore rispetto alla media del settore globale».