Libia: la guerra di Ferragosto

Il piano Mattei della Meloni ostaggio delle milizie. A Tripoli calma precaria dopo violenti scontri tra Radaa e Brigata 444

[17 Agosto 2023]

Mentre i migranti che Giorgia Meloni prometteva – quando era all’opposizione –  di fermare con il blocco navale e i respingimenti superveloci hanno raggiunto il numero record di sempre, mentre la dittatura Tunisina ha incassato soldi e riconoscimenti europei senza muovere un dito per fermali, del Piano Mattei sbandierato ai 4 venti dalla premier Giorgia Meloni nelle sue missioni africane restano solo gli interessi di Eni, mente il bastione del Niger è finito nelle mani dei militari golpisti e la Libia del governo di Tripoli – che l’Italia aveva giurato di rafforzare – sprofonda sempre più nel caos, questa volta innescato da milizie governative che l’Italia arma e finanzia per interposto governo. I feroci combattimenti scoppiati alla periferia di Tripoli il 14 e 16 agosto tra due milizie governative, la Brigata 444 e l’al-Radaa Special Deterrence Force (Radaa), hanno provocato almeno 55 morti e 146 feriti.

Il distretto di Souk el Jomaa è la roccaforte della Radaa e lì i combattimenti hanno colpito aree densamente popolate, costringendo i civili a fuggire dall’area.  234 famiglie, oltre a diverse dozzine di medici o infermieri stranieri che erano rimasti bloccati, hanno potuto essere soccorse ed evacuate dalle zone di combattimento a sud di Tripoli,. L’aeroporto, chiuso in seguito ai combattimenti, è stato riaperto ma non sono ancora stati registrati voli commerciali.

L’accordo di cessate il fuoco tra le due potenti milizie governative era stato raggiunto nella tarda serata di martedì, quando un “Consiglio sociale” formato da anziani e notabili del quartiere Souk al Jomaa, ha annunciato che Mahmoud Hamza, leader della milizia Brigata 444 che era stato rapito il giorno prima dai miliziani della Radaa. La Reuters ha citato fonti anonime di ciascuna delle fazioni secondo le quali  Hamza è stato consegnato a un terzo gruppo che non era coinvolto nei combattimenti. Dopo, a Tripoli è dunque tornata la calma e il cessate il fuoco sembra rispettato, ma la tensione è ancora palpabile.

Come ricorda Jeune Afrique, «Questi scontri tra opposte milizie sono ricorrenti a Tripoli. Derivano dalla competizione tra gruppi armati che cercano di estendere la loro influenza e il loro potere. I vari governi di transizione non sono riusciti a disarmare le milizie e a integrarle nell’apparato di sicurezza dello Stato, come previsto dall’accordo di pace del 2015».

Le nuove violenze sono state condannate anche da chi – di fatto – finanzia le milizie filo-governative per impedire (senza successo) che i migranti arrivino in Europa e per proteggere gli impianti di estrazione e distribuzione degli idrocarburi: l’Unione europea e le ambasciate di cinque Paesi europei a Tripoli hanno condannato le violenze.

Il problema è che l’Italia e l’Europa (e l’intero Occidente) sostengono un governo fantoccio e fantasma che è ostaggio della brigata 444 e della Radaa, le fazioni armate più potenti della capitale libica. La brigata 444 è sostenuta dal ministero dell’Interno di  Tripoli, la al- Radaa Special Deterrence Force controlla l’aeroporto di Mitiga, l’unico della capitale.

Il governo di unità nazionale (sic!) di Tripoli, riconosciuto dall’Onu si oppone a quello della Camera dei rappresentanti di Tobruk che controllo l’est del Paese, mentre gran parte del territorio libico è sotto il controllo di milizie tribali o settarie che trattano direttamente con le compagnie petrolifere straniere e gestiscono parte del traffico di carne umana. Ognuno è sostenuto da un certo numero di milizie locali e potenze straniere, e ognuno ha cercato e cerca di strappare il controllo del territorio all’altro. Nonostante questo, negli ultimi tempi la violenza era diminuita in vista di un possibile accordo tra i due governi libici.

L’United Nations Support Mission in Libya (UNSIMIL) ha detto di seguire  con preoccupazione gli scontri armati e gli sviluppi a Tripoli e il loro impatto sulla popolazione civile e ricorda che «Tutte le parti coinvolte la loro responsabilità ai sensi del diritto internazionale di proteggere i civili.  La Missione è inoltre preoccupata per il possibile impatto di questi sviluppi sugli sforzi in corso per coltivare un ambiente di sicurezza che favorisca l’avanzamento del processo politico, compresi i preparativi per le elezioni nazionali.  L’UNSMIL chiede un’immediata riduzione dell’escalation e la fine degli scontri armati in corso. La violenza non è un mezzo accettabile per risolvere i disaccordi. Tutte le parti devono preservare i progressi in termini di sicurezza ottenuti negli ultimi anni e affrontare le divergenze attraverso il dialogo. La Missione ricorda a tutti gli attori la loro responsabilità di preservare la relativa stabilità prevalente e di creare un ambiente favorevole allo svolgimento di elezioni per soddisfare le aspirazioni del popolo libico».

Ma le elezioni sono un miraggio che balena da anni nel deserto insanguinato della Libia.

La confusione è grande sotto il cielo e il groviglio di interessi e rivalità sembra inestricabile. Le forze speciali della Radaa, guidate dal pingue trentenne Abdel Raouf Kara, sono in prima linea nella lotta contro le milizie dello Stato Islamico/Daesh e hanno praticamente annientato la rete tripolitana dell’organizzazione terroristica. La Raada è una milizia potentissima con  circa 1.500 uomini ed è  il braccio armato di un movimento ultraconservatore di obbedienza salafita. Oltre ad avere un’imponente flotta di berline con le quali pattugliano Tripoli, le Forze Speciali Raada gestiscono anche carcere nel quale sono stipati tossicodipendenti, migranti e sostenitori di Daesh.

L’esperto di Libia Mattia Toaldo, ricercatore del Consiglio europeo per le relazioni internazionali (Ceri), ha detto a Deutsche Welle (DW) che i prigionieri di al-Radaa a sono «Tutti i soggetti a rigidi programmi di rieducazione religiosa. Questa intransigenza nei confronti di tutte le persone sospettate di simpatizzare con Daesh ha dato loro una reputazione piuttosto buona presso alcuni occidentali».

Formalmente, le forze speciali della Rada restano legate al governo di accordo nazionale di Fayez al-Sarraj e rispondono agli ordini del ministero dell’Interno, ma in realtà non prendono ordini da nessuno e non sembrano ostili all’altro governo libico che fa capo al maresciallo Khalifa Haftar .

Se le forze speciali di Raada restano fedeli al governo del quale è alleata l’Italia è perché appartengono alla scuola religiosa “Madkhalist” che prende il nome da Rabii Al Madkhali, professore universitario islamico in Arabia Saudita – “Alem de cours” (esegeta), per usare le parole dell’islamologo Gilles Kepel – molto popolare in Libia. Al centro del pensiero del “salafita quietista” Madkhali, c’è infatti il ​​rispetto per l’autorità politica in carica. Non stupisce quindi che i suoi seguaci siano il bersaglio dei jihadisti e dei Fratelli Musulmani e che i vari leader lascino un certo margine di manovra ai Madkhalisti. Secondo Jalel Harchaoui, ricercatore libico di geopolitica all’Université  Paris 8, «Il sostegno al governo di al-Sarraj delle Forze speciali Raada è puramente tattico e circostanziale. In nessun momento si tratta di adesione ai suoi progetti politici».

Un altro analista ha fatto notare a DW che «Nelle fila del maresciallo Khalifa Haftar ci sono sostenitori di Rabii Al Madkhali. La linea religiosa di Alem, applicata alla situazione libica, porta a una sorprendente divisione in due del movimento quietista, una divisione che segue la mappa militare e amministrativa del momento».

E in Libia molti temono l’influenza ideologica dei Madkhalisti.  secondo Frederic Wehrey, autore di uno dei rari libri sull’argomento, «La loro tolleranza è abbastanza relativa. Sulla scia della rivoluzione libica hanno attaccato l’eredità sufi. E i madkhalisti sono abbastanza potenti da sfidare apertamente l’influente e molto conservatore mufti, Sadiq Al Ghariani, che finora ha riunito la maggior parte degli islamisti più radicali. Lo stesso Rabii Al Madkhali non trova parole abbastanza dure per condannare i Fratelli Musulmani, e il conflitto tra le due tendenze, ancora in parte dottrinario, potrebbe sfociare in un confronto aperto».

Un ricercatore libico spiega a DW: «In questo momento, gli islamisti sono detenuti nel carcere delle forze speciali di al-Radaa. A Tripoli, i sostenitori dell’esegeta saudita hanno anche molte moschee. La loro influenza è sempre in crescita, soprattutto negli ultimi due o tre anni».

Ecco con chi è alleato il governo di destra italiano che prometteva di combattere l’estremismo islamico e di far tornare la Libia a una democrazia che non ha mai visto e non conosce. Chissà cosa ne avrebbe pensato Enrico Mattei?