In Sudan la catastrofe umanitaria peggiore, più complessa e più crudele del mondo

Una guerra che dura da 5 mesi nell’indifferenza del mondo che ha fornito solo il 30% degli aiuti necessari

[25 Settembre 2023]

Aprendo l’evento collaterale ministeriale di alto livello dell’Assemblea generale dell’Onu “Il costo dell’inazione in Sudan” sulla risposta umanitaria in Sudan e nella regione confinante, la sottosegretaria generale dell’Onu per gli affari politici e di costruzione della pace, Rosemary DiCarlo, ha ricordato che «Sono trascorsi più di cinque mesi dallo scoppio del conflitto tra le Sudanese Armed Forces e le Rapid Support Forces. Nessuna delle parti in guerra è vicina alla vittoria, eppure continuano la loro battaglia brutale. I civili hanno pagato un prezzo alto per questa violenza insensata. Case, attività commerciali e sedi delle Nazioni Unite sono state distrutte e saccheggiate. Oltre 5.000 donne, uomini e bambini sono stati uccisi e milioni sono sfollati. Il Sudan ospita oggi il maggior numero di sfollati interni (IDP) al mondo, con almeno 7,1 milioni di persone – tra cui circa 3,3 milioni di bambini – sradicate dalle loro case. Oltre 6 milioni di sudanesi sono ad un passo dalla carestia. Questi numeri continueranno a crescere finché le armi continueranno a parlare. Condanno fermamente la violenza etnica nel Darfur. Le parti in guerra continuano a violare sistematicamente il diritto umanitario internazionale e i diritti umani. Civili e infrastrutture civili, comprese strutture sanitarie, luoghi di culto, impianti idrici ed elettrici, sono stati presi di mira, danneggiati e distrutti. Ci sono stati resoconti scioccanti di diffusi stupri e violenze sessuali. Deve esserci responsabilità per questi crimini, così come supporto medico e psicosociale per i sopravvissuti. Le parti devono inoltre mettere in atto meccanismi per prevenire il ripetersi di tale violenza. Come dimostra lo scoppio dei combattimenti nelle regioni del Nilo Azzurro e del Kordofan meridionale, il conflitto si sta espandendo e sta portando ad una crescente frammentazione del paese».

Ma la DiCarlo ha ricordato che «Le parti in guerra non operano nel vuoto. Il conflitto è alimentato dalla mobilitazione transfrontaliera, anche lungo i confini tribali, così come dal movimento dei combattenti e dal flusso di armi e munizioni dall’esterno del Paese. Questo rischia di far precipitare la regione in un conflitto più ampio. Tutte le comunità e gli attori regionali devono astenersi dallo schierarsi. Devono invece concentrare i loro sforzi sulla prevenzione di un’ulteriore escalation e sulla fine della violenza».

Np onostante yutto, l’Onu ha mantenuto la sua presenza in Sudan, ma la DiCarlo ha avvertito che  «L’inazione politica sul Sudan ha già avuto un costo elevato, con migliaia di civili uccisi, feriti e sfollati. Oltre all’azione umanitaria essenziale, abbiamo bisogno anche di un rafforzamento della diplomazia efficace. La comunità internazionale può – e deve – fare di più per contribuire a fermare i combattimenti e trovare una strada verso una soluzione politica.  Le parti sudanesi in guerra devono porre fine ai combattimenti e tornare a Jeddah per promuovere un cessate il fuoco significativo che porti a una cessazione duratura delle ostilità. Questo richiederà volontà politica, un solido meccanismo di monitoraggio e verifica e la capacità di ritenere responsabili le parti in conflitto. Invito inoltre le parti a evitare di intraprendere azioni unilaterali che potrebbero intensificare i combattimenti. Dobbiamo aumentare la pressione sulle parti in conflitto affinché pongano fine agli attacchi contro i civili e le infrastrutture civili, compresi i centri sanitari e gli ospedali, e garantiscano l’accesso sicuro e illimitato degli attori umanitari a coloro che ne hanno bisogno».

La sottodegretaria Onu ha concluso: «La guerra in Sudan ha distrutto le speranze e le aspirazioni delle donne e degli uomini sudanesi, la cui determinazione e i cui sacrifici hanno portato alla Rivoluzione di dicembre del 2018, che ha ispirato tutti noi in tutto il mondo. Molti ora temono che il conflitto riporterà il Paese ai giorni bui del vecchio regime. La comunità internazionale – compresi tutti noi qui oggi – deve stare al fianco del popolo sudanese per evitare che ciò accada e porre fine alla guerra con urgenza».

Al summit su Sudan è intervenuto anche il sottosegretario generale Onu per gli affari umanitari e coordinatore dei soccorsi di emergenza, Martin Griffiths, che ha aggiunto:  «Se volete conoscere il costo dell’inazione, basta guardare il prezzo che il popolo sudanese ha già pagato in soli 5 mesi: Almeno 5.000 persone uccise – è chiaro che si tratta di una sottostima – più di 12.000 feriti, e un bilancio reale probabilmente sarà molto più alto.  La violenza ha una base sempre più etnica, in particolare in Darfur, come ha sottolineato Rosemary, dove ci sono notizie agghiaccianti di almeno 13 fosse comuni in luoghi come El Geneina. Una delle crisi di sfollamento in più rapida crescita nel mondo, più di 5 milioni di persone costrette a fuggire dalle loro case, di cui oltre 4 milioni in Sudan e più di un milione, penso, nei  Paesi vicini e continuo a contare. Il collasso completo del sistema sanitario, con quasi l’80% dei servizi sanitari non funzionanti.  Crisi alimentare sempre più grave, con oltre 6 milioni di persone che si trovano ad affrontare livelli di emergenza di grave insicurezza alimentare. E 1.000 – forse questa è la peggiore di tutte queste statistiche agghiaccianti – 1.200 bambini che muoiono di malnutrizione e malattie prevenibili, come il morbillo e altre.  E la scorsa settimana abbiamo sentito al Consiglio di Sicurezza livelli orribili e pervasivi di violenza sessuale contro donne e ragazze».

Dall’inizio della guerra civile, le Agenzia Onu (quelle che Giorgia Meloni si è chiesta cosa facciano in Africa proprio all’Assemblea generale dell’Onu) hanno raggiunto i 3,5 milioni di persone. Ma Griffiths ha ricordato che «Questo ammonta solo al 19% dei 18 milioni di persone a cui ci rivolgiamo per ricevere assistenza e protezione umanitaria. La nostra capacità di operare è ostacolata dall’ambiente operativo altamente pericoloso e complesso – forse il più pericoloso al mondo oggi – nonché dalle restrizioni di accesso e dagli impedimenti burocratici. Siamo riusciti a ripristinare l’accesso da Port Sudan al Darfur attraverso intensi negoziati – e ringrazio coloro che hanno contribuito a fornire tali approvazioni – all’inizio di agosto, integrati dalla fornitura transfrontaliera di assistenza dal Ciad (…) In media, però – e siamo realisti – ci vogliono dalle 2 alle 6 settimane per spostare le forniture da Port Sudan al Darfur – una distanza di poco meno di 2.500 chilometri – e il tempo necessario è dovuto agli intensi negoziati necessari per garantire un certo livello di sicurezza e protezione. Stiamo cercando di portare aiuti nella capitale Khartoum, dove i bisogni sono enormi e lì l’accesso è ancora più limitato. Dalla fine di giugno sono riusciti a passare solo tre convogli. Garantire l’accordo per l’accesso transfrontaliero a Khartoum è la nostra priorità più critica».

Griffiths  ha sottolineato che «E’ inoltre necessario uno sforzo internazionale concertato per ottenere assistenza salvavita, l’attività in cui ci occupiamo, che è un’ancora di salvezza fondamentale per la popolazione del Sudan. Serve adesso, serviva ieri e servirà domani».  Il Piano di risposta umanitaria per il Sudan richiede 2,6 miliardi di dollari per aiutare 18 milioni di persone entro la fine di quest’anno. Attualmente è finanziato al 31%. Il Piano regionale di risposta ai rifugiati del Sudan richiede 1 miliardo di dollari per sostenere i rifugiati, i rimpatriati e le comunità ospitanti in cinque paesi confinanti con il Sudan. Attualmente è finanziato al 27%. Griffiths ha ribadito che «Oggi è un promemoria per ricordare di agire e di far sapere alle persone che sono lì che non le abbiamo dimenticate, che non sono state dimenticate. Per intraprendere le azioni urgenti, che sappiamo quali sono e sappiamo di cosa abbiamo bisogno. E decidiamoci di dire “non questa volta”, “non sotto la nostra sorveglianza”, alla catastrofe umanitaria peggiore, più complessa e più crudele che vediamo oggi».

L’Alto commissario Onu per i Rifugiati, Filippo Grandi,  ha aggiunnto: «Milioni di persone sono già state costrette ad abbandonare le proprie case a causa della guerra in Sudan, e ogni giorno sempre più persone devono fuggire per cercare sicurezza. Hanno bisogno di aiuto urgente: assistenza umanitaria per mantenerli in vita, ma anche interventi di sviluppo di emergenza per fornire condizioni e opportunità per vivere con dignità dove si trovano fino a quando non potranno tornare a casa. Ma soprattutto hanno bisogno che le armi tacciano e che questa guerra insensata finisca».

E al meeting Onu sono intervenuti anche rappresentanti di Paesi che nella guerra covile in Sudan – che in realtà è una guerra per il petrolio e le risorse minerarie e ambientali – hanno più di qualche responsabilità e complicità, a partire dal ministro aggiunto per la cooperazione internazionale del Qatar,  Lolwah Rashid Al-Khater,  che ha dichiarato: “Siamo profondamente preoccupati per il peggioramento della crisi umanitaria in Sudan. L’urgenza di questa situazione non può essere sopravvalutata. E’ fondamentale che la comunità internazionale aumenti immediatamente i propri sforzi per fornire assistenza e sostegno vitali al popolo sudanese, compresi gli sfollati e i rifugiati nei Paesi vicini. Chiediamo la cessazione immediata dei combattimenti e l’impegno di tutte le forze politiche nel dialogo e nell’adozione di mezzi pacifici per risolvere il conflitto. Lo Stato del Qatar sostiene gli sforzi regionali e internazionali in corso volti a porre fine al conflitto e stabilizzare il Sudan».

Il Ministro degli esteri dell’Arabia Saudita, Faisal Bin Farhan AlSaud, ha promesso che «Il Regno continuerà a stare al fianco del popolo del Sudan nelle difficoltà che deve affrontare. Ci auguriamo che questo incontro riesca a generare il sostegno necessario per la nostra risposta umanitaria collettiva. Sottolineiamo inoltre l’importanza di rispettare la Dichiarazione di Jeddah, compresa la protezione del personale umanitario, dei beni, delle forniture e di altre strutture, e di garantire la sicurezza dei corridoi per il trasporto e delle aree di stoccaggio e distribuzione. Ci auguriamo inoltre che l’attuale conflitto raggiunga una soluzione politica sostenibile, che inauguri un futuro più pacifico e prospero per il popolo del Sudan; manteniamo il nostro impegno a sostenere questo processo».

Il supervisore generale del Centro di aiuto e soccorso umanitario King Salman dell’Arabia Saudita, Abdullah Al Rabeeah, è stato più concreto: «Trovare soluzioni per la crisi umanitaria in Sudan significa garantire un accesso pieno e sicuro agli aiuti e ai lavoratori, aumentare i finanziamenti internazionali e sostenere una pace sostenibile. milioni di rifugiati e sfollati interni hanno bisogno di assistenza urgente in Sudan e nei Paesi vicini, e anche i Paesi ospitanti hanno bisogno del nostro sostegno per prendersi cura del flusso di coloro che fuggono dalla violenza. Ogni giorno che passa, sempre più persone sono a rischio, ma lavorando insieme possiamo fare una differenza positiva nella vita dei più vulnerabili del Sudan. E’ nostra responsabilità condivisa fare tutto il possibile per alleviare le sofferenze e lavorare per la pace e la stabilità in Sudan».

Il ministro degli esteri egiziano, Sameh Shoukry (l’Egitto ha forti responsabilità nel sostegno alla dittatura e nel precipitare della crisi),  ha detto che «I Paesi vicini al Sudan non dovrebbero sopportare da soli il peso della crisi. Il sovraccarico di questi Paesi e delle loro capacità di fornitura di servizi pubblici spinge l’immigrazione clandestina. Dobbiamo sostenere il principio di un’equa condivisione degli oneri e delle responsabilità come unica soluzione per alleviare il peso umanitario e rispondere alla crisi degli sfollati in modo efficace e sostenibile».”

L’unione europea è molto preoccupata per una guerra che potrebbe portare altri profughi sulle sponde del Mediterraneo e il commissario Ue per la gestione delle crisi, Janez Lenarčič,  ha concluso: «L’Ue resta impegnata a fornire assistenza umanitaria e protezione alle persone colpite dal conflitto in Sudan e a coloro che sono fuggiti nei paesi vicini. Tuttavia, affinché la nostra assistenza sia efficace, abbiamo bisogno di un accesso sicuro, tempestivo e senza ostacoli per le operazioni umanitarie. Questo dovrebbe essere garantito da tutte le parti in conflitto in ogni momento, in conformità con i principi umanitari».