Il nostro Paese valuta insieme all’Ue una missione militare nell’area

Un terzo dell’import italiano di petrolio e gas naturale liquefatto è a rischio Houthi nel Mar Rosso

Greenpeace: «Se avessimo investito massicciamente nelle fonti rinnovabili, oggi non rischieremmo una nuova crisi energetica»

[22 Gennaio 2024]

Il Consiglio Affari esteri dell’Unione europea sta discutendo oggi della possibilità di sostenere la missione militare navale Aspides nel Mar Rosso – con in prima fila Italia, Francia e Germania – per difendere i flussi commerciali nell’area dagli attacchi condotti dagli Houthi.

Dal Canale di Suez transita il 12% del commercio mondiale, mentre la quota dell’import-export marittimo italiano che attraversa questo stretto di mare è del 40%, per un totale di circa 154 miliardi di euro. La partita principale? Sono le fonti fossili, come evidenzia un’analisi diffusa oggi da Greenpeace.

«La missione militare europea a protezione della libertà di navigazione nel Mar Rosso discussa oggi dal Consiglio per gli Affari Esteri dell’Unione è l’ennesimo intervento armato del nostro Paese a tutela delle fonti fossili. La crisi in corso rivela il fallimento delle politiche di diversificazione avviate dal governo italiano sull’onda della guerra in Ucraina, che hanno continuato a puntare sul gas anziché sulle rinnovabili», afferma Alessandro Giannì, direttore delle Campagne di Greenpeace Italia.

Secondo i dati di FederPetroli, circa il 27% del nostro import di greggio transita dall’area interessata dal conflitto. Ancora maggiore la quota di gas naturale liquefatto (Gnl): dei circa 55 miliardi di metri cubi di gas importati dall’Italia nel 2023, 18-20 miliardi passano via nave per quella rotta, pari a circa il 34%. Insomma, circa un terzo del nostro approvvigionamento di gas e petrolio si trova oggi nel mirino degli Houthi.

E questo perché la “diversificazione” italiana in risposta all’invasione russa dell’Ucraina non ha puntato sulle energie rinnovabili, ma si è limitata a cambiare fornitore di gas e petrolio, ignorando i rischi ambientali e geopolitici connessi.

«Dal 2021, Greenpeace denuncia che circa il 64% della spesa per le missioni militari italiane è legato alla difesa di asset e rotte del petrolio e del gas, nonostante gli impegni per la decarbonizzazione annunciati dal nostro governo», continua Giannì: «Invece di lavorare per un futuro sostenibile, l’Italia ha puntato solo a fare scorta di gas e petrolio, senza preoccuparsi né dell’emergenza climatica in corso né dei rischi geopolitici in gioco. Se avessimo investito massicciamente nelle fonti rinnovabili, oggi non rischieremmo una nuova crisi energetica».