Risultati molto deludenti per l’impianto carbon capture and storage di Shell in Canada

Le emissioni nascoste dell’idrogeno blu: emette più gas serra di quanti ne catturi

[3 Febbraio 2022]

In pochi anni, la produzione di idrogeno è diventato uno dei possibili sistemi per affrontare la crisi climatica. Ora è uno degli argomenti energetici più discussi e una forma molto particolare di idrogeno, nota come idrogeno fossile (o “idrogeno blu”), viene spinta dall’industria dei combustibili fossili per ricevere sostegni governativi, presentandolo come rispettoso del clima e utile per la decarbonizzazione del sistema energetico perché è implica la contestata tecnologia carbon capture and storage (CCS) per intrappolare e stoccare le emissioni. Uno dei pochissimi impianti di  questo tipo è il “Quest” della Shell nella Provincia canadese dell’Alberta.

Shell ha pubblicizzato questo progetto come esempio di come sta affrontando il riscaldamento globale, sostenendo che «Dimostra che i sistemi di cattura del carbonio sono sicuri ed efficaci» e che Quest  «E’ un fiorente esempio di come questa tecnologia può ridurre significativamente le emissioni di carbonio».

Ma secondo il rapporto “Hydrogen’s hidden emissions – Shell’s misleading climate claims for its Canadian fossil hydrogen project”, pubblicato recentemente da Global Witness,  «Quest in realtà sta emettendo più di quanto stia catturando. Nonostante abbia catturato 5 milioni di tonnellate di carbonio in un periodo di 5 anni, ha emesso nello stesso periodo altri 7,5 milioni di tonnellate di gas climalteranti. Ogni anno, lo impianto  Shell ha la stessa impronta di carbonio di 1,2 milioni di auto a benzina».

A Global Witness  spiegano: «Abbiamo scoperto che solo il 48% delle emissioni di carbonio dell’impianto viene catturato, risultando tristemente al di sotto del tasso di cattura del carbonio del 90% promesso dall’industria per i progetti di idrogeno fossile. Questo tasso scende solo al 39% se si includono altre emissioni di gas serra del progetto Shell».

Dominic Eagleton, senior gas campaigner di Global Witness, ricorda che «Per anni Shell ha utilizzato ripetutamente questo progetto per dimostrare che sta agendo sui cambiamenti climatici, ma data la sua enorme impronta di carbonio è impossibile descrivere queste affermazioni se non come fuorvianti. Al di là delle pubbliche relazioni e del greenwashing, Il fatto è che semplicemente l’impianto a idrogeno di Shell sta creando più emissioni di quante ne stia catturando e quindi sta contribuendo alla crisi climatica. La promozione dell’idrogeno fossile da parte delle compagnie petrolifere e del gas è una foglia di fico per portare avanti le loro pratiche tossiche: l’estrazione e la combustione di combustibili fossili. L’unico modo migliore per compagnie come Shell di aiutare ad affrontare la crisi climatica è eliminare gradualmente tutte le operazioni sui combustibili fossili, piuttosto che trovare il modo di nascondere la loro attività di distruzione del clima dietro false soluzioni. La dolorosa dimostrazione di Shell è l’ennesimo chiodo nella bara per le affermazioni fatte dall’industria secondo cui l’idrogeno fossile è rispettoso del clima. I governi non possono lasciare che venga tirata sabbia sugli occhi per investire fondi pubblici vitali in progetti che non forniranno ciò che è necessario per evitare il disastro climatico. Invece, dovrebbero usare quei soldi per porre fine alla nostra dipendenza dai combustibili fossili e indirizzarla verso alternative rinnovabili».

Lo studio dimostra anche come il progetto della Shell fa parte delle controverse attività della multinazionale nelle sabbie bituminose in Alberta, note come una delle attività estrattive più dannose per l’ambiente al mondo e che è stata realizzata invadendo la terra delle popolazioni indigene, provocando deforestazione su vasta scala e disturbo del suolo, nonché inquinamento dell’aria e dell’acqua.

Lo studio rappresenta un duro colpo per i sostenitori dell’idrogeno fossile e del CCS che stanno premendo per ottenere ulteriori fondi pubblici dal governo canadese oltre i 654 milioni di dollari già ricevuti per rientrare in parte dalla spesa di 1 miliardo di dollari che sono stati necessari per realizzare Quest.  «Eppure – fa notare l’ONG – nonostante questa ingente spesa, il progetto della Shell non è riuscito a raggiungere neanche lontanamente il taglio delle emissioni necessario per affrontare il riscaldamento globale. La lezione di Quest dovrebbe essere forte e chiara per i governi di tutto il mondo. Non si deve investire in una tecnologia che non solo non riesce a fornire alcuna azione efficace nell’affrontare la crisi climatica, ma di fatto contribuisce alla crisi».