PetroStati in declino: rischi crescenti con la transizione energetica

I Petrostati destinati a perdere 8 trilioni di dollari per il calo della domanda e delle entrate del petrolio e del gas

[26 Febbraio 2024]

Il think tank energetico Carbon Tracker sta presentando  – anche con webbinar – l’aggiornamento del suo rapporto Beyond Petrostates del 2021 dal quale emerge che «i Petrostati si trovano ad affrontare rischi sostanziali derivanti dalla transizione energetica, poiché il calo della domanda di petrolio e gas è destinato a esercitare una pressione al ribasso sui prezzi delle materie prime e a mettere a repentaglio le future entrate pubbliche. Sebbene una manciata di paesi abbia ridotto la propria vulnerabilità, nel complesso i 40 Petrostati da noi analizzati sono altrettanto vulnerabili quanto nella nostra analisi originale e per molti versi affrontano rischi crescenti».

L’aggiornamento si basa su due fattori chiave: le crescenti sfide socioeconomiche che devono affrontare i Petrostati e la disponibilità di nuovi dati che riflettono l’impatto sui mercati energetici dei recenti eventi geopolitici.  Il risultato è che con una transizione energetica moderata, in linea con gli attuali impegni dei governi sul clima (rappresentati dallo scenario APS dell’International energy agency – Iea) 28 dei 40 Petrostati perderebbero più della metà delle entrate previste, con ben 8 trilioni di dollari di entrate previste che verrebbero spazzati via da qui al 2040 e le economie di diversi petrostati colpite significativamente.

L’aggiornamento di Carbon Tracker classifica la vulnerabilità dei Paesi in cinque livelli, che riflettono la combinazione del loro deficit di entrate e della dipendenza dei bilanci pubblici dalle entrate del petrolio e del gas. Timor Leste e Venezuela sono i più vulnerabili, ma i Petrostati africani – tra cui Nigeria, Angola e Ciad – costituiscono la maggioranza dei paesi di “livello più alto”. E il  think tank sottolinea che «Questo è particolarmente preoccupante se si considera la rapida crescita della popolazione del continente e le attuali sfide di sviluppo, aggravate dal crescente impatto climatico».

Anche se alcuni PetrostatI sembrano a basso rischio secondo i due parametri chiave del rapporto, Carbon Tracker  fa notare che «Potrebbero comunque essere vulnerabili in un contesto economico più ampio, come indicato dagli elevati prezzi di fiscal breakeven».

Mentre i produttori con i costi più elevati affrontano le maggiori perdite di entrate per barile, nello scenario di transizione a ritmo moderato anche i produttori con i costi più bassi – come i Paesi mediorientali – perderebbero entrate significative rispetto a qualsiasi aspettativa in una transizione lenta.

Il rapporto evidenzia che «Sebbene i Paesi esportatori di petrolio e gas in Europa e Nord America abbiano una dipendenza relativamente bassa dagli idrocarburi per le entrate pubbliche – e non siano, quindi, considerati Petrostati – i loro costi di produzione più elevati significano che dovranno affrontare maggiori perdite relative derivanti dalla transizione».

L’ultimo World Energy Outlook dell’Iea prevede che, grazie al calo dei costi delle energie rinnovabili, anche se non verranno introdotte ulteriori politiche climatiche, la domanda di petrolio, gas e carbone raggiungerà il picco entro la fine di questo decennio e l’aggiornamento del rapporto di Carbon Tracker aggiunge: «Anche se l’inflazione e i tassi di interesse attualmente elevati hanno interrotto la tendenza al ribasso di questi costi in calo, è probabile che si tratti di una battuta d’arresto temporanea di traiettorie sostenute a lungo termine. La crescente competitività economica delle tecnologie pulite ha dato ai governi (soprattutto nel Nord del mondo) la fiducia necessaria per annunciare futuri divieti sulla vendita di nuovi veicoli a benzina e diesel e di caldaie a gas, spazzando via in modo permanente una parte sostanziale della domanda di combustibili fossili. Intorno alla COP28 c’è uno slancio crescente affinché i governi concordino un obiettivo di triplicare la capacità di energia rinnovabile entro il 2030 e di raddoppiare le misure di efficienza energetica, stabilendo una chiara direzione di viaggio».

Un trend che non sembra essere quello dell’Italia hub del gas e del Piano Mattei – che ha al centro diversi Petrostati – del governo Meloni.

I ricercatori ricordano che «Dal nostro rapporto originale Beyond Petrostates, il mondo è stato scosso da una serie di eventi geopolitici con implicazioni significative per le forniture energetiche globali, in particolare l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ma, più recentemente, il conflitto in Medio Oriente. Molti Paesi, in particolare il G7 e l’Unione Europea, hanno accelerato gli sforzi per ridurre la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili. Questo minaccia ulteriormente la base clienti di Petrostates nei prossimi decenni. Mentre i combustibili fossili sono stati in gran parte un argomento tabù nei vertici delle Nazioni Unite sul clima, ora la situazione ha cominciato a cambiare. L’accordo finale alla COP26 del 2021 includeva per la prima volta un linguaggio sui combustibili fossili – in particolare una “eliminazione graduale” dell’energia a carbone senza sosta e un’eliminazione graduale dei sussidi inefficienti ai combustibili fossili. La COP ha visto anche il lancio della Beyond Oil and Gas Alliance, che mira a facilitare l’eliminazione graduale e gestita della produzione di petrolio e gas, e ha recentemente accolto il suo primo Petrostato – la Colombia – come “amico”Z.

E  Carbon Tracker  mette in guardia anche dai rischi che dovranno affrontare i Paesi che solo ora stanno iniziando a rilanciare le loro industrie di petrolio e gas: «notiamo che, dal nostro rapporto originale Beyond Petrostates a oggi, molti di questi “PetrostatI emergenti” hanno subito ritardi nei principali progetti pianificati e stanno ancora lanciando nuovi cicli di licenze, aumentando ulteriormente i rischi di transizione. Un altro trend che notiamo è l’aumento dell’indebitamento nazionale tra i 40 Petrostati e un conseguente peggioramento dell’affidabilità creditizia, con diversi paesi – tra cui Bolivia, Camerun, Egitto, Kuwait e Colombia – che hanno subito declassamenti negli ultimi anni. I rating di credito più scarsi minano la capacità di indebitamento dei Petrostati, sia per la spesa quotidiana che per sostenere nuove industrie, intrappolandoli ulteriormente nella dipendenza dai combustibili fossili. Questo si aggiunge al quadro che abbiamo delineato nel nostro rapporto originale, che evidenziava il debito medio dei Petrostati quasi raddoppiato dal 2010, aggravando la loro vulnerabilità a una riduzione del reddito nazionale derivante dalle esportazioni di combustibili fossili».

Di fronte a questi rischi, i Petrostati dovrebbero prendere in considerazione una serie di misure che ridurrebbero la loro vulnerabilità alla transizione energetica e che includono la diversificazione economica, la riforma dei sussidi ai combustibili fossili, la creazione di fondi sovrani e l’istituzione di nuove tasse (ad esempio sul carburante e sull’IVA). Il rapporto sottolinea che «L’adozione di approcci politici lungimiranti, che affrontino la transizione e possano mitigarne gli impatti negativi, è sempre più urgente».

Molti Paesi hanno già iniziato a fare quel che suggerisce Carbon Tracker  e potrebbero essere modello da seguire per altri. I forum che includono l’OPEC o la Beyond Oil and Gas Alliance sarebbero particolarmente adatti per facilitare la condivisione delle conoscenze e delle migliori pratiche e l’aggiornamento del rapporto conclude: «Più in generale, la comunità internazionale ha un chiaro interesse a sostenere i Petrostati lungo questo processo, sia per ragioni di sviluppo che per mitigare il rischio reale di conflitto e instabilità se questi Paesi saranno duramente colpiti dalla transizione energetica. Le partnership per una transizione energetica giusta potrebbero essere estesi dal carbone al petrolio e al gas come mezzo per finanziare i cambiamenti necessari».