Greenpeace, Reclaim Finance e Recommon: «Gli obiettivi climatici di Eni non sono in linea con l’Accordo di Parigi»

Analizzata la strategia climatica del colosso dell’Oil&gas italiano. Il greenwashing di Plenitude

[23 Giugno 2023]

Secondo una recente inchiesta di Open Democracy, l’amministratore delegato di ENI Claudio Descalzi ha ricevuto nel 2022 mezzo milione di euro bonus per aver raggiunto gli obiettivi di sostenibilità e «ExxonMobil ha dato il massimo in bonus ambientali con circa 5,4 milioni di sterline divisi tra tre dirigenti. È stata seguita da Eni, che ha registrato bonus per un valore di 2,58 milioni di sterline tra il suo team esecutivo».,

Greenpeace Italia sottolinea che tutto questo è avvenuto «Nonostante il colosso italiano stia aumentando la produzione di petrolio e gas, incurante della crisi climatica ogni giorno sotto i nostri occhi. Nel 2021, ENI si è classificata al diciannovesimo posto tra i produttori globali di petrolio e gas e al ventesimo posto come sviluppatore del settore upstream di petrolio e gas a livello globale».

Ad aprile, Greenpeace, Reclaim Finance e Recommon hanno pubblicato il rapporto “Assesssment of ENI’s  climate strategy” che analizza la strategia climatica del Cane a sei zampe, presentata agli investitori e inclusa nella relazione annuale del 2022 e dal quale emerge che «Gli obiettivi di ENI non sono affatto in linea con gli impegni sanciti dall’Accordo di Parigi per mantenere l’aumento della temperatura media globale entro +1,5° C».

Greenpeace, Reclaim Finance e Recommon denuncia <noche «ENI prevede di aumentare la propria produzione di idrocarburi a 1,9 milioni di barili di petrolio equivalente al giorno, composta per il 40% da petrolio e per il 60% da gas, e di mantenere la produzione al livello di plateau fino al 2030. Se raggiungerà questo obiettivo, la sua produzione  Sarà superiore del 70% al livello richiesto per allinearsi agli scenari di riduzione delle emissioni “Net Zero Emission – NZE” dell’International energy agency. ENI non si è impegnata a interrompere lo sviluppo di nuovi progetti petroliferi e di gas oltre a quelli già in fase di sviluppo. Inoltre la major italiana possiede 3.880 milioni di barili di petrolio equivalenti di risorse di idrocarburi scoperte che non sono ancora entrate nella fase di valutazione o sviluppo. Per l’esplorazione di nuovi campi petroliferi e di gas, dal 2020 al 2022 ENI ha speso in media 787 milioni di dollari all’anno, il che la rende il diciassettesimo maggiore investitore al mondo in petrolio e gas».

Antonio Tricarico di ReCommon, fa notare che «Secondo quanto raccomanda la comunità scientifica, questo dovrebbe essere il decennio in cui bisogna agire con decisione per evitare gli effetti peggiori della crisi climatica. ENI invece continua nel suo business as usual fossile dando una verniciata di verde anche alle sue relazioni annuali per gli azionisti, i quali dovrebbero intervenire con forza per chiederne conto al management della società».

E le tre organizzazioni denunciano il greenwashing di Plenitude: «Riguardo all’utilizzo dei profitti e gli ingenti flussi di cassa generati dalla società, per ogni euro investito nella linea di business Plenitude – la sua divisione a presunte basse emissioni – nel 2022 ENI ha investito più di 15 euro in petrolio e gas. Tenendo conto che Plenitude contempla anche attività energetiche non rinnovabili, come la commercializzazione e la vendita al dettaglio del gas, che tra l’altro sono ancora le sue attività principali, per ogni euro investito in combustibili fossili meno di 7 centesimi sono stati investiti in energie rinnovabili sostenibili. Meno del 20% degli investimenti totali per le energie rinnovabili».

Un quadro dal quale viene fuori che ENI non intende aumentare gli investimenti nelle rinnovabili quanto necessario «Dal 2023 al 2026, ENI prevede una spesa in conto capitale di poco superiore ai 9 miliardi di euro all’anno – rivelano le tre organizzazioni – L’azienda investirà da 6 a 6,5 miliardi di euro all’anno nelle sue attività upstream, di cui 2,1 miliardi di euro nell’esplorazione, mentre solo 1,65 miliardi di euro all’anno saranno dedicati alle energie rinnovabili, ossia meno del 20% degli investimenti previsti. Con investimenti così modesti, nel 2030, la quota massima di rinnovabili sostenibili nel mix di approvvigionamento energetico di ENI rimarrebbe al di sotto del 7%».

Greenpeace Italia conclude: «E’ inaccettabile che una società come ENI, che ha prodotto più di 20 miliardi di utile netto nel 2022 aggravando con le sue emissioni la crisi climatica, continui a investire in petrolio e gas, anche in presenza di una liquidità fuori misura. Anche per questo con Recommon e 12 persone abbiamo fatto causa a ENI: per obbligarla a rivedere la sua strategia per rispettare gli accordi internazionali sul clima!»