Gli Usa hanno una «dipendenza critica» dalle importazioni di combustibile nucleare russo

Nonostante la guerra in Ucraina e il boicottaggio economico, la Russia continua a vendere uranio arricchito a statunitensi ed europei

[9 Novembre 2023]

Mentre gli Stati Uniti d’America continuano a promuovere il boicottaggio economico di Paesi che considerano loro avversari, hanno in questo campo una grossa grana da risolvere: le importazioni di carburante per le loro centrali nucleari, buona parte delle quali provengono dalla compagnia statale russa Rosatom. Washington e Bruxelles continuano a  stringere il cappio del boicottaggio economico ed energetico intorno a Mosca, nel 2023 le importazioni statunitensi di uranio arricchito russo sono raddoppiate,  raggiungendo circa un quarto delle importazioni di combustibile nucleare Usa.

Prima della guerra in Ucraina, le centrali nucleari americane dipendevano da tre Paesi ex sovietici alleati  – Russia, Kazakistan e Uzbekistan  – per quasi la metà del loro uranio arricchito. A quasi due anni dall’inizio del conflitto, gli Usa sembrano non essere riusciti a trovare alternative.

Infatti, le sanzioni statunitensi contro la Russia hanno un’enorme eccezione: gli Usa continuano ad acquistare uranio arricchito dal nemico russo per utilizzarlo nelle loro centrali nucleari. Altrettanto fanno altri Paesi occidentali che parlano a vanvera di sovranità e indipendenza energetica dalla Russia di Putin.

Secondo il Wall Street Journal, nell’ultimo anno le imprese statunitensi americane hanno acquistato uranio arricchito russo per circa 1 miliardo di dollari. Gli esperti del settore attribuiscono il fatto che gli Usa e altri Paesi occidentali continuino ad acquistare uranio arricchito da un “nemico” alla mancanza di capacità interne di conversione e arricchimento degli Usa e alla perdita di influenza della Francia in Niger, mentre colosso nucleare russo Rosatom che continua a rappresentare circa il 25% di tutto l’uranio arricchito utilizzato dalla vasta rete americana di centrali nucleari, la più grande del mondo.

Una situazione paradossale che è stata clamorosamente ammessa da Kathryn Huff, la vice-segretaria per l’energia nucleare del Dipartimento dell’energia (DOE) che il 7 novembre ha detto in un’intervista al Financial Times che «E’ gravemente preoccupante che circa il 20% del combustibile utilizzato dalla flotta di reattori nucleari statunitensi venga fornito attraverso contratti di arricchimento con fornitori russi. La Russia controlla quasi il 50% della capacità globale di arricchimento e per molti anni ha lavorato con successo per indebolire la catena di approvvigionamento nucleare degli Stati Uniti, scaricando prodotti di uranio arricchito a basso costo sui mercati mondiali. E’ davvero fondamentale liberarci dalla nostra dipendenza, soprattutto dalla Russia. Senza interventi la Russia continuerà a mantenere questo mercato. . . questo è davvero importante per la sicurezza nazionale, per il clima, per la nostra indipendenza energetica».

IL financial Times spiega che «La catena di approvvigionamento del combustibile nucleare inizia con l’estrazione e la macinazione del minerale di uranio. Ma è il processo chimico di conversione del minerale in gas esafluoruro di uranio e quindi di arricchimento dell’isotopo di uranio-235 a un livello di circa il 5% che è richiesto per le forme standard di combustibile nucleare, e questo è dominato da Rosatom, dicono gli esperti. Ci sono solo una manciata di fornitori occidentali di arricchimento per il combustibile nucleare, tra cui le francesi Orano e Urenco, un consorzio britannico, tedesco e olandese. Tenex, una filiale di Rosatom, è l’unica impresa al mondo che fornisce vendite commerciali di un nuovo tipo di carburante chiamato Haleu – uranio ad alto dosaggio e basso arricchito – che è arricchito tra il 5 e il 20% e potrebbe alimentare una nuova generazione di reattori più piccoli ed efficienti». Quelli deio quali parlano spesso a vanvera i ministri del governo italiano sognando una sovranità energetica nucleare che è, come si vede, un ossimoro anche nel Paese più nuclearizzato di tutti.

L’uranio si trova naturalmente nel suolo, principalmente sotto forma di U-238, ma i giacimenti contengono anche quantità minori di U-235, un isotopo molto più reattivo. Attraverso un complesso processo di raffinazione, l’U-235 viene separato dall’U-238 e concentrato, quindi formato in barre di combustibile che possono essere collocate nei reattori nucleari, dove viene indotta una reazione nucleare per generare elettricità. Lo stesso processo, se esteso a livelli incredibilmente elevati di raffinazione, può anche produrre una forma di uranio adatta alla fabbricazione di un’arma nucleare. Gli Usa iniziarono ad acquistare grandi quantità di uranio arricchito dalla Russia dopo la fine della Guerra Fredda nell’ambito del programma Megatons to Megawatts, che prese 500 tonnellate di uranio russo destinato ad essere utilizzato per le armi nucleari e che era destinato ad essere inserito neo missili sovietici puntati contro le città americane, e lo convertì in una forma utilizzabile nelle centrali nucleari americane. Dopo l’rmai dimanticato disastro nucleare di Fukushima Daiichi nel 2011, molti Paesi hanno sospeso la costruzione delle centrali nucleari, mandando in bancarotta molte compagnie private, come Westinghouse e la francese Areva – poi rinazionalizzata e trasformata in Orano – interrompendo la catena di approvvigionamento. Tuttavia, ma Rosatom non solo ha ignorato i rischi post-Fukushima del nucleare, ma è diventata il nuovo fornitore di uranio arricchito in molti mercati. Sputnik fa notare che «Il risultato è che oggi gli Stati Uniti non hanno un’industria adeguata per l’estrazione, la raffinazione e la produzione di barre di combustibile nucleare U-235 che sia in grado di soddisfare le esigenze del crescente settore dell’energia nucleare, quindi si sono rivolti a Rosatom per colmare il gap. Secondo i dati del governo degli Stati Uniti, Rosatom ha fornito circa il 25% delle sue importazioni di uranio arricchito nella prima metà del 2023 e circa il 14% delle importazioni di combustibile nucleare nel 2022». Gli Usa importano circa il 90% del loro combustibile nucleare, anche da Kazakistan, Uzbekistan, Canada e Australia.

E anche l’Europa riceve grandi quantità di combustibile nucleare dalla Russia: circa il 17% delle sue importazioni di combustibile nucleare nel 2022, insieme a gran parte del carbone e del gas naturale liquefatto.

L’industria dell’energia nucleare Usa nal 2021 rappresentava il 29% della produzione globale, in lenta diminuzione rispetto al picco degli anni ’90. Secondo la US Energy Information Agency, a luglio, gli Stati Uniti hanno aperto il loro primo reattore nucleare in 7 anni nella centrale nucleare di Alvin W. Vogtle in Georgia, portando il totale a 93 reattori commerciali operativi in ​​54 centrali nucleari,

La Huff ha ricordato che l’amministrazione Biden ha chiesto al Congresso 2,16 miliardi di dollari extra per sostenere una strategia per incentivare le imprese nucleari statunitensi ad aumentare la capacità di arricchimento e di conversione. «Il piano renderebbe il Dipartimento dell’Energia un acquirente di ultima istanza a lungo termine per le aziende per garantire un’adeguata fornitura di carburante per la futura espansione della flotta di reattori nucleari. Tuttavia, il successo di questo investimento pubblico dipenderà dall’imposizione di restrizioni a lungo termine sui prodotti e servizi nucleari russi. Abbiamo visto in passato che lo scarico di prodotti russi a basso costo di uranio arricchito ha storicamente veramente danneggiato il nostro ciclo del combustibile e ci ha portato dove siamo oggi. Al Congresso c’è stato un sostegno bipartisan all’energia nucleare. Un disegno di legge che vieta le importazioni di uranio dalla Russia è stato approvato da una sottocommissione della Camera dei Rappresentanti a maggio. Un disegno di legge simile è all’esame del Senato. Le preoccupazioni circa la dipendenza dell’Occidente dai prodotti nucleari russi hanno contribuito a far salire il prezzo dell’uranio e dei prodotti correlati, mentre i servizi pubblici cercano fonti di approvvigionamento alternative».

Ma l’agenzia russa/putiniana Sputnik fa beffardamente notare  che «Il disegno di legge che vieta le importazioni statunitensi da Rosatom entro il 2028 è stato approvato da una sottocommissione della Camera a maggio, ma da allora non ha fatto alcun progresso al Congresso».

Maria Korsnick, amministratore delegato del Nuclear Energy Institute, conferma al Financial Times che «Nel nostro settore c’è un allineamento per allontanarsi dalla Russia, ma è necessario qualcosa verso cui avvicinarsi. Abbiamo davvero bisogno di aumentare la capacità in quella parte della catena di approvvigionamento». L’industria nucleare sta crescendo mentre la Cina e altri paesi espandono la propria flotta di reattori per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni, aumentando al contempo la capacità energetica di carico di base. Huff ha affermato che «E’ necessario firmare da 5 a 10 contratti per la costruzione di nuovi reattori entro i prossimi due o tre anni se si vuole che gli Stati Uniti raggiungano gli obiettivi climatici del 2050. Nei prossimi due o tre anni dobbiamo avere questi contratti in mano, altrimenti non raggiungeremo il decollo commerciale necessario per ottenere la quantità di energia pulita di cui abbiamo bisogno per il 2050». Affermazioni duramente contestate dalle associazioni ambientaliste americane che sono state una delle componenti essenziali della vittoria di Joe Biden  contro il negazionista climatico e iper-nuclearista Donald Trump.

Gli Stati Uniti stanno lavorando a stretto contatto con gli alleati – Canada, Francia, Giappone e Regno Unito – per garantire la catena di approvvigionamento e hanno iniziato a finanziare alcuni progetti. Sta supportando l’espansione della capacità dell’impianto di arricchimento di Urenco nel New Mexico, che dovrebbe essere completato entro il 2027. Il Dipartimento dell’Energia ha anche cofinanziato un progetto pilota guidato da Centrus, che prevede di produrre il suo primo lotto di carburante Haleu entro poche settimane. Daniel Poneman, amministratore delegato di Centrus, ha detto al Financial Times: «Legalmente, i materiali russi sono ancora disponibili e vengono acquistati e venduti. Ma la politica attorno  a questo si è trasformata radicalmente e non tutti, ma molti degli attuali importatori di uranio arricchito russo vorrebbero spostarsi verso altre fonti di approvvigionamento».

Sul sito del DOE  la La Huff ha rivelato l’esistenza di  «Un tiger team per la strategia sull’uranio su cui stanno lavorando insieme l’Ufficio per l’energia nucleare e l’Amministrazione nazionale per la sicurezza nucleare. Questo team tigre è concentrato sull’attuazione di una strategia in grado di fornire uno sguardo completo sulla posizione della nostra catena di approvvigionamento del ciclo del carburante e su come il DOE può rafforzarla. Il nostro obiettivo qui è garantire che, a brevissimo termine, abbiamo un piano. Se il Congresso deciderà di stanziare finanziamenti e autorità per farlo, abbiamo un piano per incoraggiare i nostri attuali fornitori commerciali del ciclo del combustibile nucleare a sostenere nuove capacità e abilitare la nostra catena di approvvigionamento di combustibile».

Intanto i russi commerciano uranio arricchito e incassano dollari ed euro.