Rinnovabili, la nuova bozza del decreto Aree idonee è ancora un flop

Elettricità futura: «Invece di ridurre i tempi rende impossibile fare impianti. In assenza di correttivi bloccherà investimenti per 320 miliardi di euro»

[10 Ottobre 2023]

Il già precario “Piano Mattei” avanzato dal Governo Meloni per fare dell’Italia l’hub europeo del gas fossile sta franando di fronte ai venti di guerra che sono tornati a soffiare con forza in Nagorno-Karabakh come in Palestina, mentre la concreta alternativa delle energie rinnovabili viene frenata dall’insipienza politica.

L’ennesima dimostrazione arriva dalla nuova bozza sul decreto Aree idonee, pensato per velocizzare l’installazione dei nuovi impianti: in un’area idonea si dovrebbe infatti poter realizzare un impianto con tempistiche ridotte di un terzo (al contempo, nelle aree che non rientrano in questa definizione sarebbe comunque possibile realizzare impianti).

Eppure il decreto rischia paradossalmente di bloccare il comparto, come già denunciato con forza da Elettricità futura – l’associazione confindustriale che rappresenta il 70% del mercato elettrico nazionale –, Italia solare, Anev e forze politiche di opposizione con Annalisa Corrado.

Di fronte alla contrarietà montante, il Governo ha prodotto una nuova bozza del decreto sottoponendola all’attenzione della Conferenza Stato-Regioni, ma i problemi restano tutti sul tavolo.

«Invece di ridurre i tempi – spiega Elettricità futura – rende impossibile fare impianti nella maggior parte delle aree. In assenza di correttivi, questo decreto fermerà lo sviluppo delle rinnovabili e della filiera industriale in Italia e bloccherà investimenti per 320 miliardi di euro, rendendo impossibile raggiungere il target nazionale di decarbonizzazione».

I correttivi apportati finora alla bozza di decreto sono minimali. Per l’eolico, la soglia di producibilità per individuare un’area idonea passa da 2.250 ore/anno a 2.150, un cambiamento «talmente irrisorio da risultare irrilevante» secondo Elettricità futura.

Per il fotovoltaico, nelle aree agricole utilizzate resta la volontà di limitare lo spazio dove poter costruire l’impianto entro percentuali prestabilite rispetto all’area a disposizione di un operatore: in caso di agrivoltaico “non innovativo”, ad esempio, si parla di appena il 10% (nella bozza precedente era il 20%).

«Il decreto – nota nel merito l’associazione confindustriale – dovrebbe stabilire come individuare le aree da definirsi idonee ma non imporre, una volta identificate, in che percentuale un operatore possa utilizzare le aree idonee nella sua disponibilità».

Più in generale «il problema di fondo della bozza di decreto Aree idonee è che rende impossibile nella pratica raggiungere l’obiettivo 80 GW di rinnovabili al 2030 che il decreto stesso stabilisce. Già eravamo in forte ritardo rispetto al target rinnovabili 2030, e questo Decreto, tanto atteso per velocizzare, rischia invece di aggravare ulteriormente il ritardo».

Nel frattempo gli altri Paesi europei corrono: in Italia nel 2022 sono entrati in esercizio 3,4 GW (di cui  2/3 da piccoli impianti, finanziati prevalentemente dal Superbonus ora abolito), mentre in Francia 5 GW, in Spagna 6 GW, in Germania 11 GW. Anche il 2023 ha visto finora installazioni in Italia per altri 3,4 GW, mentre in Germania hanno aggiunto ben 9 GW.

Per rispettare i target di decarbonizzazione, all’Italia servirebbero invece almeno +12 GW l’anno, con una buona dose di grandi impianti «per minimizzare i costi generali del sistema (cioè, affinché il costo dell’energia possa calare) e garantire la sicurezza del sistema».

«Il punto centrale – concludono dall’associazione confindustriale – è che serve una forte volontà politica per risolvere tutte queste criticità, Elettricità futura ha proposto tutte le soluzioni per risolverle, ma implementarle è una responsabilità che ha il Governo, anche nei confronti delle imprese e dei cittadini che continuano a pagare cara l’energia».