Rifiuti urbani, Ispra: si amplia la forbice tra differenziata e riciclo, mentre l’export sale del 30%

«Lo sviluppo delle raccolte deve essere necessariamente accompagnato dalla disponibilità di un adeguato sistema impiantistico di gestione»

[21 Dicembre 2023]

Nel corso del 2022 l’Italia ha incrementato la percentuale di raccolta differenziata e al contempo ha generato meno rifiuti urbani, ovvero quelli provenienti ogni giorno dalle nostre case e gli “ex assimilati”; in altre parole la frazione più visibile dei rifiuti, nonostante gli speciali siano di fatto il quintuplo.

Sono queste le due principali, importanti buone notizie contenute nel nuovo rapporto nazionale dedicato al tema, pubblicato come sempre dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra).

Importanti ancor più perché il calo nella produzione di rifiuti urbani – 29,1 mln di ton in totale, -1,8% sul 2021 – è stato conseguito mentre al contempo sono cresciuti il Pil (+3,7%) e i consumi delle famiglie (+6,1%).

Peccato non sia merito del Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti, dato che quello adottato nel 2013 è ormai scaduto e resta vigente solo in attesa che il nuovo venga redatto (col relativo tavolo istituzionale aperto ormai dal 2020) dai ministeri dell’Ambiente, delle Imprese e dell’Agricoltura.

Come spiega l’Ispra, il trend di diminuzione è legato piuttosto ad altri fattori, come i cambiamenti nella contabilizzazione della raccolta rifiuti, le varie crisi economiche – con impatto sui consumi – che si sono susseguite negli anni, conferimenti al di fuori del servizio pubblico (301mila t/a vanno ad esempio a compostaggio domestico), etc. Di fatto, a partire dal 2012 la produzione annua di rifiuti urbani oscilla comunque tra 29 e 30 mln di ton l’anno.

Come vengono gestiti? Nel 2022 per la prima volta l’Italia ha superato il 65% di raccolta differenziata (65,2%, +1,2%), ovvero l’obiettivo di legge che avrebbe dovuto traguardare esattamente 10 anni prima.

Tra i rifiuti differenziati, l’organico si conferma la frazione più raccolta in Italia (38,3% del totale), seguita dalla carta e cartone con il 19,3% del totale, dal vetro (12,3%) e dalla plastica (9%).

Una volta suddivisi in tanti sacchetti colorati, guardando alle principali forme di gestione, i rifiuti urbani vengono avviati per il 52% a recupero di materia (per il 23% si tratta di frazione organica, 29% il resto), il 18% è incenerito e il 17,8% smaltito in discarica.

Si tratta di performance molto distanti rispetto a quelle richieste dai nuovi obiettivi europei, che non guardano alla mera raccolta differenziata ma all’effettivo riciclo: come ricorda Ispra «lo smaltimento in discarica nei prossimi 15 anni dovrà essere quasi dimezzato (10% entro il 2035), la percentuale di rifiuti da avviare ad operazioni di recupero di materia dovrà essere notevolmente incrementata per garantire il raggiungimento del 60% di riciclaggio al 2030 e del 65% al 2035».

Ad oggi di fatto la percentuale di riciclo dei rifiuti urbani si attesta al 49,2% (+1,1%), ovvero al di sotto del 50% che avremmo dovuto già raggiungere nel 2020 per rispettare la normativa di settore.

Non solo: continua ad allargarsi la forbice tra raccolta differenziata e riciclo, a riprova del fatto che «la raccolta, pur costituendo uno step di primaria importanza per garantire l’ottenimento di flussi omogenei, non può rappresentare il solo elemento per raggiungere elevati livelli di riciclaggio, in quanto è necessario garantire che i quantitativi raccolti si caratterizzino anche per un’elevata qualità al fine di consentirne l’effettivo riciclo. Lo sviluppo delle raccolte deve essere, inoltre, necessariamente accompagnato dalla disponibilità di un adeguato sistema impiantistico di gestione». Entrambi fattori che ancora scarseggiano.

Il dg del Consorzio italiano compostatori (Cic) afferma che sotto il profilo qualitativo la «raccolta differenziata dell’organico sta peggiorando molto. E questo, se è un problema per il compostaggio, lo è molto di più per gli impianti di digestione anaerobica».

Gli impianti di gestione invece continuano a calare (654 quelli operativi nel 2022, 657 nel 2021, 673 l’anno precedente), sono distribuiti prevalentemente nel nord del Paese e si mostrano inadeguati a valorizzare al meglio i rifiuti in ingresso.

Per quanto riguarda l’organico, ad esempio, lungo lo Stivale i vecchi impianti di compostaggio sono 285, mentre i moderni biodigestori anaerobici – in grado di ricavare compost e biometano – si fermano a 73 (tra digestione anaerobica e trattamento integrato anaerobico/aerobico).

Va ancora peggio per le frazioni secche, che affollano le discariche in quanto scarseggiano gli impianti di termovalorizzazione (o preferibilmente riciclo chimico) per valorizzarle.

Analizzando i dati relativi alle diverse forme di gestione messe in atto a livello regionale l’Ispra evidenzia che «laddove esiste un ciclo integrato dei rifiuti grazie ad un parco impiantistico sviluppato, viene ridotto significativamente l’utilizzo della discarica […] e consistenti quote di rifiuti vengono trattate in impianti di incenerimento con recupero di energia».

In questo contesto, a crescere è il cosiddetto turismo dei rifiuti. Entro i confini nazionali si stima che i rifiuti urbani debbano percorre 89 mln di km l’anno – generalmente dopo essere transitati dagli impianti di trattamento meccanico biologico (Tmb) – prima di poter trovare una destinazione.

Ma a crescere in modo robusto è anche il ricorso all’export, che l’Ispra mostra essere cresciuto di ben il 30,2% nell’ultimo anno. Nel 2022 ben 858mila tonnellate di rifiuti urbani (il 3% del totale generato) ha preso la via dell’estero, diretto soprattutto verso Paesi Bassi, Austria, Germania ma anche Spagna per quanto riguarda i rifiuti pericolosi (2.438 le ton esportate).

Come sottolinea l’Ispra 32,7% dei rifiuti esportati, oltre 280 mila tonnellate, è costituito da “rifiuti prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti urbani”: gli inevitabili scarti dell’economia circolare, che continuiamo a non voler vedere.