Perché l’Italia riusa appena il 4% dell’acqua depurata, nonostante la siccità

Ref ricerche: «È il momento di creare le condizioni normativo-regolatorie affinché le tecnologie di depurazione e affinamento delle acque reflue si diffondano»

[22 Giugno 2023]

Il riuso delle acque reflue urbane depurate ha molteplici applicazioni, dal settore agricolo a quello industriale, nei centri urbani e nell’ambiente.

Oltre all’utilizzo irriguo in agricoltura, le acque reflue depurate possono essere reimpiegate nel settore industriale come acque di raffreddamento, per l’alimentazione delle caldaie, come acqua di processo e nell’edilizia; nelle aree urbane, possono essere utilizzate per l’irrigazione di parchi e zone residenziali e per usi ricreativi e ambientali che comprendono, anche, diverse applicazioni come la ricarica dei laghi o stagni e corsi d’acqua; inoltre, con finalità ambientali, l’acqua recuperata può essere riutilizzata anche per la ricarica della falda sotterranea. Chiaramente, ciascun ambito di riuso richiede il rispetto dei parametri di qualità e standard di riferimento.

Eppure, secondo i dati messi in fila dal laboratorio Ref ricerche, nonostante la crisi climatica in corso – con le sempre più ricorrenti e pesanti fasi di siccità – in Italia i reflui potenziali che raggiungono una qualità tale da essere destinati al riutilizzo sono mediamente il 23% del volume depurato (dati 2020), con punte del 41% nel nord-ovest e valori più bassi nel centro (6%).

Non solo: appena il 4% risulta effettivamente destinato al riutilizzo (principalmente per uso irriguo), quasi esclusivamente nelle regioni settentrionali. Come mai?

Attualmente – spiegano da Ref ricerche – nel nostro Paese il riuso delle acque depurate è finanziato principalmente con risorse pubbliche o sovvenzioni incrociate, in un contesto generale di deregolamentazione dove la mancanza di un assetto condiviso ne disincentiva chiaramente lo sviluppo.

In particolare, sotto il profilo economico è stato rilevato che la disponibilità all’utilizzo di acqua di riuso è fortemente influenzata dalla differenza di prezzo tra acqua dolce e acqua di riuso, evidenziando come la prima causa effettiva di limitazione allo sviluppo del riuso è proprio la disponibilità di acqua dolce a basso prezzo.

Che fare? Sotto il profilo tariffario, secondo Ref ricerche una prima opzione potrebbe risiedere nel far ricadere i costi di investimento (Capex) e quelli di gestione (Opex) degli impianti dedicati all’affinamento di acque reflue per il riuso industriale o agricolo nella tariffa del servizio idrico integrato, pagata dunque dalle utenze domestiche e commerciali (utenze civili).

In ogni modo, è utile osservare l’incentivazione ad un loro maggiore utilizzo si renderebbe possibile solo se il prezzo dell’acqua depurata e affinata risultasse inferiore al prezzo dell’acqua dolce, tale per cui la prima si configurasse come bene sostitutivo della seconda.

«È il momento di creare le condizioni normativo-regolatorie affinché le tecnologie di depurazione e affinamento delle acque reflue si diffondano e il riuso delle acque entri finalmente tra le buone pratiche sia in agricoltura sia nell’industria», sottolineano dal laboratorio.

Nel merito, un’occasione preziosa è in arrivo con il nuovo Regolamento del Parlamento e del Consiglio europeo EU 2020/741, che entrerà in vigore il 26 giugno 2023 definendo per la prima volta i requisiti minimi per l’utilizzo in ambito irriguo delle acque di recupero.

Questo documento promuove un utilizzo sostenibile dell’acqua, così come già delineato dalla direttiva quadro sulle acque (Direttiva 2000/60/CE), introducendo una disciplina armonizzata per la gestione e il controllo dei rischi sanitari e ambientali.

Al contempo, sotto il profilo economico, per il Ref ricerche andrebbe valutata anche la possibilità di dirottare parte delle risorse del Pnrr da altri capitoli di spesa, ove maggiori sono le difficoltà di realizzare gli investimenti, a progetti di adeguamento dei depuratori ai fini di sviluppare il riuso delle acque reflue affinate. Lo stress idrico conclamato in Italia (e non solo) potrebbe infatti giustificare in sede Ue una riconversione in questo senso delle linee di intervento, facendo perno sugli obiettivi del Green deal in materia di tutela della risorsa idrica e degli ecosistemi acquatici.