Ieri è arrivato l’Earth overshoot day 2022

Per ridurre il debito ecologico con la Terra dobbiamo ripensare il nostro rapporto col cibo

I sistemi alimentari a livello mondiale contribuiscono in modo significativo alla crisi climatica, causando circa il 34% delle emissioni globali di gas serra e richiedendo il 55% della biocapacità planetaria

[29 Luglio 2022]

Il 22 aprile 1970 si celebrava la prima edizione di quella che in seguito è divenuta una data chiave nel movimento ambientalista mondiale, la Giornata della Terra. La prima edizione dell’Earth day è nata dal riconoscimento dei numerosi problemi ambientali presenti all’epoca e del modo in cui si prevedeva che avrebbero avuto un impatto non solo sulla salute del nostro pianeta, ma anche sulla salute umana.

Pochi mesi dopo, nel dicembre del 1971, venne aggiunta un’altra pietra miliare fornendo una misura quantitativa alla comprensione qualitativa delle problematiche ambientali evidenziate dalla Giornata della Terra. Era l’Earth overshoot day.

Calcolato dal Global footprint network basandosi sui National footprint & biocapacity accounts (Nfa) elaborati dalla Footprint data foundation e dalla York University in Canada, l’Earth overshoot day segna ogni anno il giorno in cui l’umanità ha utilizzato tutte le risorse biologiche che la Terra rigenera durante quell’intero anno.

Negli ultimi cinque decenni, il metabolismo umano ha continuato a superare il metabolismo del pianeta a un ritmo sempre più veloce: l’umanità attualmente utilizza il 74% in più di ciò che gli ecosistemi del pianeta possono rigenerare, o “1,75 Terre”. In altre parole, il pianeta Terra impiega circa 20 mesi per rigenerare le risorse che gli esseri umani consumano, nonché per smaltire i “rifiuti” di anidride carbonica che gli esseri umani emettono, in soli 12 mesi.

Dall’Earth overshoot day fino alla fine dell’anno, l’umanità vive in deficit ecologico. Oggi questo deficit è il più ampio mai raggiunto da quando il mondo è entrato in sovrasfruttamento ecologico, all’inizio degli anni ’70; negli ultimi 50 anni, i deficit annuali si sono accumulati in un debito ecologico di 19 anni.

L’Earth overshoot day ci ricorda quindi che la persistenza del sovrasfruttamento, che perdura ormai da oltre mezzo secolo, ha portato a un enorme calo della biodiversità, alla presenza di gas serra in eccesso nell’atmosfera e ad un’accresciuta competizione per cibo ed energia. I sintomi stanno diventando più evidenti con ondate di calore insolite, incendi boschivi, siccità e inondazioni, che accentuano l’insicurezza energetica e alimentare.

Procedendo purtroppo in antitesi con l’ambizione globale di “non lasciare indietro nessuno” stabilita dall’Agenda Onu 2030 per lo sviluppo sostenibile, e con quella di garantire a  tutti i cittadini del mondo di vivere bene entro i limiti del nostro pianeta, la cruda realtà con cui ci confrontiamo quotidianamente è quella di società altamente inique – sia per l’accesso alle risorse sia per le garanzie di benessere –  che operano ben al di là dei limiti del pianeta.

Se tutte le persone del pianeta avessero lo stesso stile di vita e modello di consumo di un cittadino europeo medio, l’Earth overshoot day cadrebbe il 2 maggio. Perché? E quali possibilità abbiamo a portata di mano per invertire la rotta?

Prima di approfondire le possibili soluzioni, vale la pena comprendere meglio cosa c’è in gioco. I beni e i servizi che sono alla base delle nostre società ed economie sono tutti supportati da ecosistemi funzionanti e sani. Raccogliendo risorse dal pianeta e riversandovi i nostri scarti, tutti noi contribuiamo ad avere un impatto sulla nostra Terra. Questo impatto definisce la nostra impronta ecologica, e può essere misurato. Dal modo in cui mangiamo a come guidiamo, dai nostri acquisti di beni e servizi al modo in cui riscaldiamo e raffreddiamo le nostre case. Le nostre attività quotidiane contribuiscono all’impronta ecologica che esercitiamo sugli ecosistemi del pianeta. Dunque, qual è l’impatto di ciascuna di queste attività quotidiane?

I risultati offerti dall’impronta ecologica sono in linea con molti altri studi nell’indicare che i sistemi alimentari a livello mondiale contribuiscono in modo significativo alla crisi climatica, causando circa il 34% delle emissioni globali di gas serra, nonché deforestazione e perdita di biodiversità, inquinamento dell’acqua e dell’aria, degrado del suolo e aumento del rischio di spillover di agenti patogeni, solo per citare alcuni impatti: in breve, il cibo da solo occupa oggi il 55% (cioè oltre la metà) della biocapacità della Terra.

I sistemi alimentari utilizzano risorse ed emettono gas serra durante ogni fase del loro ciclo di vita, dalla produzione delle materie primarie alla lavorazione e raffinazione degli alimenti, dagli imballaggi ai trasporti del cibo che mangiamo e poi smaltiamo.

Le disfunzioni dei sistemi alimentari globali sono molto sfaccettate. Le pratiche agricole sono diventate sempre più intense per soddisfare le richieste di una popolazione in crescita che sta affrontando una transizione nutrizionale verso una dieta occidentalizzata ad alto apporto calorico, aumentando così notevolmente la dimensione dell’approvvigionamento alimentare globale. Circa la metà della superficie agricola globale è utilizzata per l’agricoltura pastorale o intensiva, con impatti ambientali dannosi di cui spesso non teniamo conto,  impendendoci così  di influenzare le scelte sui metodi di produzione. Inoltre, circa il 75% del cibo disponibile a livello globale è generato da sole 12 piante e cinque specie animali.

La globalizzazione ha portato anche alla crescita di filiere lunghe e frammentate, caratterizzate da un elevato grado di complessità e da molti attori coinvolti nelle diverse fasi. Questo spesso causa la perdita o lo spreco di grandi quantità di cibo, un fenomeno che abbraccia un terzo del cibo prodotto a livello globale.

Consumatori sempre più disconnessi dalla fonte del loro cibo possono essere considerati come un “sottoprodotto” di filiere troppo lunghe, in un contesto in cui – almeno nell’Unione Europea – i responsabili politici sostengono già filiere più corte che riconnettano i due estremi della filiera alimentare, a vantaggio sia dei consumatori che dei produttori.

La disuguaglianza economica colpisce inoltre il ​​sistema alimentare con salari iniqui per i lavoratori nelle diverse fasi della filiera (dai produttori ai commercianti) e per i piccoli agricoltori, che ricevono una quota relativamente bassa della ricchezza generata nel sistema alimentare.

L’accesso ineguale a diete sane mette inoltre a repentaglio la sicurezza alimentare per molti Paesi e comunità, nonché la salute delle persone.

Si stima che a livello globale i fattori di rischio alimentari causino 11 milioni di morti all’anno, mentre l’impatto della malnutrizione costa all’economia globale 13,6 trilioni di dollari all’anno: è stato recentemente dimostrato che l’aumento dell’aspettativa di vita per il passaggio dalle diete tipiche occidentali a quelle più sane potrebbe tradursi in più di un decennio di vita per i giovani adulti.

Quindi, da dove possiamo partire per cambiare i nostri sistemi alimentari? Quattro trasformazioni chiave nei nostri sistemi alimentari globali porterebbero da sole a posticipare la data dell’overshoot di quasi un mese:

di Alessandro Galli e Marta Antonelli