Pubblicato il nuovo rapporto Wrap

Per la ripresa economica puntare sulla produttività, ma quella delle risorse

Più occupati e meno sprechi con l’economia circolare: in Ue 3 milioni di nuovi posti di lavoro

[18 Settembre 2015]

La produttività totale dei fattori, che misura la crescita nel valore aggiunto attribuibile al progresso tecnico, a miglioramenti nella conoscenza e nell’efficienza dei processi produttivi – come da definizione Istat – in Italia è praticamente ferma da circa 20 anni. La letteratura economica e le statistiche internazionali individuano in questa performance assai deludente una delle principali cause della nostra stagnazione economica, che ha radici ben più lontane dalla crisi. È meno noto, però, che in questi due decenni la produttività del lavoro abbia in realtà dato un contributo sensibilmente più importante (in positivo) sul totale rispetto a quella del capitale, e per migliorare ancora adesso è indispensabile puntare sulla produttività delle risorse.

È quanto sostiene anche l’associazione britannica Wrap (Waste and resources action programme) nel suo ultimo rapporto, Economic growth potential of more circular economies: maggiore produttività significa produrre di più con meno, ma meno cosa? Il progresso tecnico, come mostra l’andamento della disoccupazione tecnologica, può spazzare via molti posti di lavoro, riversando in cambio sul mercato una pletora di beni non sempre utili. I miglioramenti nella produttività dei materiali, invece, hanno «il potenziale per offrire vantaggi sia microeconomici sia macroeconomici». Allo stesso modo, un’economia un’economia più circolare «ha il potenziale di creare crescita economica attraverso l’utilizzo di più lavoro e meno materiali».  Un aumento del 30% della produttività delle risorse entro il 2030 potrebbe aumentare il Pil europeo di quasi l’1% e creare 2 milioni di nuovi posti di lavoro verdi, secondo una risoluzione recentemente approvata dall’Europarlamento e ricordata dal Wrap. Per favorire uno sviluppo sostenibile, però, è in primo luogo necessario saperlo misurare: la mancanza di standard comuni per una misurazione comparabile dei flussi di materia ad ogni livello, in Italia come in Europa, è un deficit che non possiamo più permetterci.

In particolare, le potenzialità occupazionali dell’economia circolare di qui al 2030: da un minimo di 1,2 milioni di posti di lavoro a un massimo di 3 milioni. La notizia per noi italiani in realtà è un’altra: ovvero che proprio l’Italia sarebbe tra i paesi che più guadagnerebbero dalla riconversione ecologica dell’economia, con 154mila nuovi posti di lavoro, davanti alla Francia, alla Spagna e a tutti gli altri paesi europei ad eccezione di Germania e Regno Unito.

L’economia circolare infatti, caldamente consigliata dall’Unione europea per sopperire alla carenza di materie prime e ridurre la dipendenza dall’estero, porterà maggiori benefici a quei paesi dove l’industria manifatturiera risulta più forte e soprattutto più abituata a recuperare la materia. Ma quella richiesta dall’economia circolare è una rivoluzione a tutto tondo, e per centrare i massimi benefici occorre ripensare la nostra struttura produttiva in termini sostenibili, ma anche aggiornare tutta la base di raccolta ed elaborazione dati che ne sta alla base.

Uno degli aspetti forse più interessanti (e sistematicamente ignorati) che emergono dal rapporto sulle potenzialità occupazionali  dell’economia circolare europea, è infatti quello della mancanza di standard comuni per una misurazione omogenea e affidabile dei flussi di materia, non solo all’interno dell’Ue ma anche dei singoli stati – e l’Italia è tristemente un noto esempio.

L. A.