Al Wef di Davos l’Unaids chiede ai potenti del mondo di garantire il diritto universale a un'assistenza sanitaria di qualità

L’assistenza sanitaria è un diritto umano, non un privilegio per i ricchi

Ma l’evasione fiscale dell’1% più ricco impedisce ai poveri l’accesso all’assistenza sanitaria

[23 Gennaio 2020]

In occasione del World Economic Forum in corso a Davos in Svizzera, Winnie Byanyima, la direttrice esecutiva dell’’Unaids, l’agenzia Onu che si occupa della lotta e della prevenzione dell’Aids, ha sottolineato che «Il diritto alla salute sta sfuggendo ai poveri e le persone che cercano di uscire dalla povertà vengono schiacciate dai costi inaccettabilmente elevati dell’assistenza sanitaria, con almeno la metà della popolazione mondiale che non è in grado di accedere ai servizi sanitari essenziali. L’1% più ricco trae beneficio da una scienza all’avanguardia mentre i poveri lottano per ottenere anche l’assistenza sanitaria di base».

Mentre nelle ben riscaldate e lussuose sale del Wef nella ricchissima Davos si discute, come ormai da 50 anni a questa parte, del futuro e dei mali del mondo, l’Unaids ricorda che «Ogni due minuti una donna muore durante il parto, con donne vulnerabili, adolescenti, persone che vivono con l’HIV, uomini gay e altri uomini che fanno sesso con uomini, prostitute, persone che iniettano droghe, persone transgender, migranti, rifugiati e i poveri, che sono tra i miliardi lasciati indietro. Quasi 100 milioni di persone sono spinte nella povertà estrema (definita come vivere con 1,90 dollari o meno al giorno) perché devono pagare per l’assistenza sanitaria e più di 930 milioni di persone – circa il 12% della popolazione mondiale – spendono almeno il 10% di i loro bilanci familiari per l’assistenza sanitaria».

In molti Paesi, alle persone viene negata l’assistenza sanitaria o ricevono un’assistenza sanitaria di scarsa qualità a causa di tariffe insostenibili per gli utenti e «Lo stigma e la discriminazione negano alle persone povere e vulnerabili, in particolare alle donne, il loro diritto alla salute».

Le cifre sono impressionanti quanto sconosciute: «Ogni settimana 6.000 giovani donne in tutto il mondo continuano a contrarre l’HIV – ricorda l’Unaids – . Nella sola Africa sub-sahariana, 4 su 5 delle nuove infezioni da HIV tra gli adolescenti vengono registrate tra le ragazze e le malattie legate all’AIDS sono il più grande killer di donne in età riproduttiva nella regione. Nonostante i progressi significativi nella riduzione dei decessi correlati all’AIDS e delle nuove infezioni da HIV, nel 2018 ci sono stati 1,7 milioni di nuove infezioni da HIV e quasi 15 milioni di persone stanno ancora aspettando di ricevere un trattamento per l’HIV».

Il 17 gennaio l’Organizzazione mondiale della sanitàha chiesto a tutti I Paesi di accelerare gli sforzi per mantenere i loro impegni per arrivare a una copertura sanitaria universale e raggiungere gli altri target legati alla sanità degli Obiettivi di sviluppo sostenibile e la Byanyima ha sottolineati che «L’assistenza sanitaria finanziata con fondi pubblici è il più grande equalizzatore nella società. Quando la spesa sanitaria viene ridotta o è inadeguata, sono le persone povere e le persone ai margini della società, in particolare le donne e le ragazze, che perdono per prime il diritto alla salute e che devono sostenere l’onere della cura delle loro famiglie».

E l’Unaids ha rammentato ai potenti riuniti a Davos che «Fornire assistenza sanitaria per tutti è una scelta politica che troppi governi non stanno facendo». L’agenzia ha fatto l’esempio della Thailandia che è riuscita a ridurre il tasso di mortalità per i bambini di età inferiore ai 5 anni al 9,1 per 1.000 nati vivi, mentre negli Stati Uniti d’America il tasso è di 6,3 per 1.000 nati vivi, anche se il prodotto interno lordo pro capite della Thailandia è circa un decimo di quello degli Usa. L’Unaids fa notare che «Quel successo può essere attribuito al sistema sanitario thailandese finanziato pubblicamente che dà diritto a tutti i cittadini thailandesi servizi sanitari essenziali in tutte le fasi della vita e non lascia nessuno indietro». Poi c’è il Sudafrica, dove nel 2000 c’erano solo 90 persone in terapia antiretrovirale, ma nel 2019 aveva oltre 5 milioni di pazienti in trattamento per l’HIV e ora il grande Paese africano di Nelson Mandela ha il più grande programma di trattamento per l’HIV al mondo.

In numerosi Paesi gli investimenti nella salute restano molto bassi in rapporto al loro PIL e l’ United Nations conference on trade and development stim ache «I Paesi in via di sviluppo perdono tra I 150 e i 500 miliardi di dollari all’anno a causa dell’evvasione fiscale delle imprese e del trasferimento dei guadagni delle grandi imprese». L’Unaids sottolinea che «Se questo denaro fosse investito nella snità, le spese sanitarie potrebbero triplicare nei Paesi a basso reddito e raddoppiare nei Paesi a medio reddito della fascia superiore».

L’enorme evasione fiscale delle grandi imprese e delle multinazionali priva i Paesi in via di sviluppo di entrate indispensabili e priva i cittadini comuni di servizi sanitari vitali. Per esempio, i Paesi della Communauté économique des États de l’Afrique de l’Ouest (Cedao) perdono ogni anno circa 9,6 miliardi di dollari a causa di numerosi “alleggerimenti” e vantaggi fiscali per i ricchi.

Insomma, se i poveri non riescono a curarsi la principale causa è «L’evasione fiscale da parte dell’1%, e la ricchezza che controllano, continua a negare risorse per l’assistenza sanitaria in tutto il mondo – denuncia la Byanyima – E’ inaccettabile che i ricchi e le big companies stiano evitando le tasse e che la gente comune stia pagando per loro con la cattiva salute. dichiarato il capo dell’UNAIDS. Le big companies devono pagare la loro giusta quota di tasse, proteggere i diritti dei loro dipendenti, fornire pari retribuzione a parità di lavoro e garantire condizioni di lavoro sicure a tutti, in particolare alle donne».

E rispunta qualcosa che ciclicamente – quando la crisi economica e la tragedia umana diventano insopportabili – è stato oggetto di campagne di sensibilizzazione mondiali e di innumerevoli e disattesi impegni dei Paesi del G7/8: il debito dei Paesi africani. L’Unaids evidenzia che «Il debito rappresenta anche una seria minaccia per l’economia, la salute e lo sviluppo dell’Africa, con conseguenti grossi tagli alla spesa sociale per garantire il rimborso del debito». Secondo il Fondo monetario internazionale, «A partire da aprile 2019 metà dei Paesi a basso reddito in Africa era in difficoltà per il debito o ad alto rischio di esserlo. Oltre ai Paesi a basso reddito, in Zambia tra il 2015 e il 2018 si è registrato un calo del 27% degli investimenti nel settore sanitario e un aumento del debt servicing del 790%. Tendenze simili sono state osservate in Kenya, dove tra il 2015 e il 2018 il debt servicing è aumentato del 176% e gli investimenti sanitari sono diminuiti del 9%».

Per la Byanyima «E’ urgente gestire il debito in maniera da proteggere la salute delle persone. Questo significa che i nuovi finanziamenti devono concentrarsi sugli investimenti sociali, interrompendo il rimborso del debito durante un periodo necessario per permettere la ripresa economica e la ristrutturazione del debito nel quadro di un meccanismo coordinato per proteggere le spese legate all’HIV, alla salute e allo sviluppo».

Secondo l’Unaids, un altro fattore che provoca la cattiva salute delle popolazioni è la negazione dei diritti umani. Secondo la Banca mondiale, «Oltre un miliardo di donne non hanno protezione legale contro la violenza domestica e quasi 1,4 miliardi di donne non hanno protezione legale contro ciò viene chiamata violenza economica domestica».

L’agenzia Onu denuncia quel che succede alle minoranze sessuali: «In almeno 65 Paesi, una relazione sessuale tra persone dello stesso sesso è un crimine, con un effetto a catena che va dai diritti legali formali all’assistenza sanitaria, incluso l’accesso alle cure ospedaliere e al regime assicurativo. Negli ultimi anni in alcuni Paesi sono aumentate le repressioni e le restrizioni nei confronti di lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e intersessuali. Il lavoro sessuale rimane un reato in 98 Paesi».

La Byanyima ha concluso: «Nel prossimo decennio, possiamo porre fine all’AIDS come una minaccia per la salute pubblica e raggiungere una copertura sanitaria universale Invitiamo i governi di tutto il mondo a tassare equamente, fornire assistenza sanitaria di qualità finanziata con fondi pubblici, garantire i diritti umani e raggiungere la parità di genere per tutti. E’ possibile».