Il nuovo rapporto annuale di Symbola e Unioncamere

Io sono cultura: le imprese che investono in creatività esportano e crescono di più

[4 Marzo 2016]

Secondo il rapporto “Io sono cultura – l’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi” presentato oggi al a Pordenone da Fondazione Symbola, Unioncamere, e FriulAdria Crédit Agricole, «le imprese delle filiere culturali e creative producono 78,6 miliardi di valore aggiunto e “attivano” altri settori dell’economia arrivando a muovere complessivamente il 15,6% del valore aggiunto nazionale, equivalente a 227 miliardi di euro. Tanto vale nel 2014 il sistema produttivo culturale e creativo, un dato comprensivo del valore prodotto dalle filiere culturali e creative, ma anche da quella parte dell’economia nazionale che viene attivata dalla cultura, a cominciare dal turismo».

Si tratta dell’unico studio in Italia che quantifica il peso della cultura e della creatività nell’economia nazionale e i risultati sono sorprendenti: «Le filiere culturali e creative si confermano dunque un pilastro del made in Italy – dicono a Symbola – , un sostegno importante alla nostra competitività o, per dirla in gergo calcistico, l’uomo in più messo in campo dalla squadra Italia per competere e vincere. Tanto che nel periodo 2012/2014, quindi in piena crisi, le imprese che hanno investito in creatività hanno visto crescere il proprio fatturato del 3,2%, mentre tra le non investitrici il fatturato è sceso dello 0,9%. E sempre le imprese che hanno investito in creatività sono state premiate con incremento dell’export del 4,3%, al contrario chi non ha puntato su questo asset ha visto le proprie esportazioni crescere di un ben più magro 0,6%>.

Dallo studio – realizzato anche con il sostegno e la collaborazione dell’Assessorato alla Cultura della Regione Marche e con la partnership di Fondazione Fitzcarraldo e Si.Camera. –  emerge che «dalle 443.208 imprese del sistema produttivo culturale, che rappresentano il 7,3% delle imprese nazionali, arriva il 5,4% della ricchezza prodotta in Italia: 78,6 miliardi di euro. Che arrivano ad 84 circa, equivalenti al 5,8% dell’economia nazionale, se includiamo anche istituzioni pubbliche e realtà del non profit attive nel settore della cultura. Ma la forza della cultura va ben oltre, grazie ad un effetto moltiplicatore pari a 1,7 sul resto dell’economia: così per ogni euro prodotto dalla cultura, se ne attivano 1,7 in altri settori. Gli 84 miliardi, quindi, ne “stimolano” altri 143. Cifre che complessivamente arrivano, come anticipato, alla soglia di 227 miliardi di euro. Una ricchezza che ha effetti positivi anche sul fronte occupazione: le sole imprese del sistema produttivo culturale – ovvero industrie culturali, industrie creative, patrimonio storico artistico e architettonico, performing arts e arti visive – danno lavoro a 1,4 milioni di persone, il 5,9% del totale degli occupati in Italia. Che diventano oltre 1,5 milioni, il 6,3% del totale, se includiamo anche le realtà del pubblico e del non profit».

Il presidente della Fondazione Symbola Ermete Realacci ha trovato nello studio la conferma di un suo sloga ripreso più volte anche da Matteo Renzi: «L’Italia è forte se fa l’Italia, se scommette su ciò che la rende unica e desiderata nel mondo: cultura, qualità, conoscenza, innovazione, territorio e coesione sociale Dalla crisi, infatti, non si esce con ricette del passato, ma guardando al futuro. Dalla bellezza, alla cultura alla green economy molte imprese italiane hanno già colto i segnali che ci parlano del domani e scommettono sulla cultura e la creatività per rafforzare le manifatture. Numeri alla mano, non solo con la cultura l’Italia mangia, ma la cultura è nel nostro dna e grazie ad essa possiamo costruire un futuro all’altezza della nostra storia. Ecco perché, come si è iniziato a fare, bisogna integrare le politiche culturali all’interno di quelle industriali e territoriali, riconoscerne e accompagnarne il ruolo da protagonista nella manifattura e nell’innovazione oltre che nel turismo».

Secondo Symbola e Unoncamere, cultura e creatività mettono il turbo al made in Italy: «Inventivo per eccellenza, il sistema delle nostre industrie culturali si rivela anche reattivo, versatile, capace di tenere anche nella crisi e anzi di rispondere mettendo in campo strategie lungimiranti per agganciare la ripresa puntando sulla qualità, sull’innovazione, sulla bellezza e sulla fantasia. Ad esempio utilizzando professionalità con competenze in arti grafiche, pubblicità, design, web design, tecniche multimediali, sviluppo di software, ecc.. O ancora introducendo pratiche per stimolare la creatività come sessioni di brainstorming, lavori di gruppo interdisciplinare e interfunzionale, forme di rotazione del lavoro, incentivi ai dipendenti per lo sviluppo di nuove idee. Con risultati importanti: le imprese che nel periodo 2012/2014 hanno investito in creatività hanno visto crescere il proprio fatturato tra 2013 e 2014 del 3,2% e nello stesso periodo hanno beneficiato di un aumento dell’export del 4,3%, rispetto a una riduzione del fatturato dello 0,9% e a un contenuto aumento dell’export (+0,6%) delle altre. Tendenze confermate anche nel 2015 dall’incidenza delle imprese che investono in creatività tra le imprese esportatrici: il 48,1% delle imprese che hanno scommesso sulla creatività esportano, mentre tale quota scende al 21,6% tra quelle che negli ultimi tre anni non hanno investito in creatività».

Inoltre, la cultura spinge il turismo: «Del totale della spesa dei turisti in Italia, 75,8 miliardi di euro nel 2014, il 37,3% (28,3 miliardi ) è legato proprio alle industrie culturali. E al richiamo della cultura, della bellezza e della qualità sono con ogni probabilità legate le ottime performance nazionali nel turismo. Se, infatti, leggiamo le statistiche in modo meno superficiale ci accorgiamo – come spiegano le “10 Verità sulla competitività italiana”  – che siamo il primo paese dell’eurozona per pernottamenti di turisti extra Ue (con 56 milioni di notti). Siamo la meta preferita dei paesi ai quali è legato il futuro del turismo mondiale: la Cina, il Brasile, il Giappone, la Corea del Sud, l’Australia, gli Usa e il Canada».

Ma cosa si intende per cultura? «Il cuore della ricerca – dicono a Symbola – sta nel non limitare il campo d’osservazione ai settori tradizionali della cultura e dei beni storico-artistici, ma nell’andare a guardare quanto contano cultura e creatività nel complesso delle attività economiche italiane, nei centri stile delle grandi industrie come nelle botteghe artigiane, o negli studi professionali. Attraverso la classificazione in 4 macro settori: industrie culturali propriamente dette (film, video, mass-media, videogiochi e software, musica, libri e stampa), industrie creative (architettura, comunicazione e branding, artigianato, design e produzione di stile), patrimonio storico-artistico architettonico (musei, biblioteche, archivi, siti archeologici e monumenti storici), e performing art e arti visive (rappresentazioni artistiche, divertimento, convegni e fiere)».

Al corpo centrale della ricerca è stata affiancata un’indagine per valutare l’impatto degli investimenti in creatività sulle performance aziendali, da parte sia delle imprese appartenenti ai 4 macro-settori del sistema produttivo culturale, sia di quelle che svolgono attività economiche differenti ma che possono, non di meno, beneficiare dell’ibridazione con la cultura. Da questi dati viene fuori che «Alla performance del sistema produttivo culturale e creativo, sia in termini di prodotto che di occupazione, contribuiscono soprattutto le industrie culturali e le industrie creative. Dalle industrie culturali arriva infatti il 46,8% del valore aggiunto e il 39,4% degli occupati, un risultato raggiunto soprattutto grazie a videogiochi e software. Dalle industrie creative un altro consistente 46,5% di valore aggiunto e addirittura il 52,7% degli occupati, performance raggiunta grazie al contributo preponderante della produzione di beni e servizi creative driven e dell’architettura. Decisamente più bassa la quota delle performing arts e arti visive per entrambi i valori (5,3% v.a. e 6,2% occupazione) e soprattutto per le attività private collegate al patrimonio storico-artistico (1,5% e 1,7%)».