In Italia e Ue cresce il Pil mentre calano le emissioni di CO2: una buona notizia solo a metà

Caldo e manifattura debole pesano sui minori consumi di energia, mentre una solida politica industriale per la transizione ecologica ancora non c’è

[17 Agosto 2023]

I nuovi dati comunicati ieri da Eurostat informano che, ne primo trimestre di quest’anno, le emissioni di gas serra (CO2eq) a livello Ue sono diminuite del 2,9% rispetto allo stesso periodo del 2022, mentre il Pil è cresciuto dell’1,2% nello stesso periodo.

L’Italia si mostra anche più performante della media continentale, dato che il Pil nazionale è cresciuto del 2% mentre le emissioni di CO2eq sono calate del 4,9%, segnando dunque un disaccoppiamento più marcato.

«Ecco come la crescita in Europa è possibile anche riducendo le emissioni inquinanti (climalteranti, ndr), con qualche eccezione», commenta il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni. Ma non è certo una novità: dal 1990 al 2021 le emissioni di gas serra in Ue sono diminuite del 29,7%, mentre il Pil è cresciuto del 61%.

L’andamento è dunque in corso dal molto tempo, ma i progressi restano troppo lenti. Tant’è che se in trent’anni le emissioni si sono ridotte di neanche il 30%, entro il 2030 – dunque nel giro dei prossimi sette anni – dovranno diminuire del 55% (sempre rispetto al 1990) per raggiungere gli obiettivi climatici.

Soprattutto, guardando quanto meno al caso italiano, i progressi conquistati all’inizio di quest’anno sembrano effimeri quanto dovuti a situazioni contingenti: è quanto sembra emergere dall’ultima Analisi del sistema energetico italiano condotta dall’Enea, che prende in esame l’intero primo semestre del 2023.

Mentre l’Istat informa che la crescita del Pil ha già innestato la retromarcia (-0,3%) nel secondo trimestre 2023, secondo l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea) sui dati incoraggianti relativi alle emissioni incidono molto sia la crisi climatica (il caldo dei mesi invernali ha ridotto i consumi di energia), sia la crisi che attraversano i settori industriali più energivori (come chimica di base, carta, minerali non metalliferi e siderurgia).

È dunque evidente come non possano essere queste le basi per una transizione ecologica sostenibile nel tempo. Un punto sul quale non solo l’Italia, ma l’intera Ue, è chiamata a interrogarsi. Soprattutto di fronte ai successi dell’Inflaction reduction act (Ira), approvato proprio un anno fa dagli Usa del presidente Biden.

L’Ira rappresenta un piano di incentivi da circa 400 mld di dollari in dieci anni a sostegno delle tecnologie verdi, ovvero il più ambizioso piano climatico mai messo in campo dagli Stati Uniti. E la sua portata potrebbe essere ancora più ampia, con l’Università della Pennsylvania arrivata a stimarne  l’impatto (insieme agli analisti di Goldman Sachs) in oltre 1.000 mld di dollari sul decennio.

La Commissione Ue ha risposto all’Ira di Biden proponendo il Net zero industry act (Nzia), il cui iter legislativo è ancora in corso, per arrivare a produrre entro i confini europei almeno il 40% delle tecnologie verdi entro il 2030. Un obiettivo per il quale però di fatto non vengono stanziate significative risorse economiche a sostegno.

La Commissione Ue stima che per raggiungere quel 40% serviranno investimenti da 92 mld di euro, di cui l’80% è atteso dai privati. Nonostante ciò, il think tank Bruegel osserva che in Ue sono già presenti incentivi alle tecnologie verdi comparabili ai 400 mld di dollari dell’Ira, ma si tratta di risorse frammentate e cui è più difficile accedere per gli investitori, frenandone le ricadute.

Che difatti finora premiano gli Usa, dove ad esempio le start-up verdi attirano oltre il doppio dei finanziamenti rispetto alle controparti europee; al contempo, Goldman Sachs prevede che l’Ira riuscirà ad attivare investimenti per circa 3,3mila mld di dollari, rendendo assai redditizi gli incentivi pubblici messi in campo da Biden.

Anziché guardare ai risultati del primo trimestre di quest’anno, per l’Italia e l’Ue sarebbe dunque più utile guardare alla qualità delle proprie politiche industriali verdi (oltre che alla quantità delle relative risorse pubbliche messe in campo). Per l’Europa il rischio di finire come un vaso di coccio tra i due di ferro in campo – Usa e Cina –, per di più con la beffa di aver aperto per prima la strada della transizione ecologica, è purtroppo assai concreto.