Il mercato premia le pratiche virtuose contro il cambiamento climatico

E penalizza fino al -5,6% del valore le imprese colpevoli di danni ambientali

[15 Luglio 2022]

Secondo un’analisi dell’Osservatorio Climate Finance della School of Management del Politecnico di Milano, presentata oggi al convegno annuale, «Rispettare l’ambiente e ridurre la propria carbon footprint per le imprese non è affatto solo una questione di etica o di immagine, ma sempre più un vantaggio competitivo: il mercato infatti tende a premiare le società che adottano pratiche virtuose e a penalizzare quelle che non lo fanno, sia a livello di prezzo delle azioni che di valore stesso dell’impresa, che può ridursi anche del 5,6% nel caso di società con una buona reputazione che incorrono in danni ambientali».

L’Osservatorio Climate Finance ha analizzato come il mercato azionario abbia reagito all’aumento del prezzo dei Certificati di emissione di anidride carbonica  (Certificati ETS), il meccanismo cioè che incentiva la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili imponendo un costo – l’acquisto di Certificati da chi produce energia pulita in eccesso – a chi viceversa utilizza fonti inquinanti. E Vincenzo Butticè, vicedirettore dell’Osservatorio, spiega: «Considerando quasi 12.000 impianti di generazione di energia elettrica in Europa, relativi a imprese quotate e sottoposte a questa politica di scambio di emissioni (policy ETS) si nota una forte correlazione tra il prezzo dei Certificati ETS e il rendimento di mercato, in base alla carbon intensity della società: solo quelle che hanno un’impronta carbonica limitata, e dunque hanno investito in tecnologie verdi, beneficiano dell’aumento dei prezzi dei Certificati ETS; al contrario, chi inquina è fortemente penalizzato».
L’indagine si è anche chiesta come reagiscono i consumatori nei confronti di aziende che si macchiano di danni ambientali e se la reazione è differente in base all’iniziale reputazione dell’impresa. Sono state analizzate 700 società quotate, in  Italia, Francia, Regno Unito e Germania, che nel periodo 2020-21 hanno presentato dati sul rischio reputazionale. Butticè  evidenzia che «Quello che si evince,  è che la riduzione di una “tacca” nel rating reputazionale può comportare una riduzione del valore dell’impresa fino a -5,6%: le imprese virtuose, nel momento in cui si rendono responsabili di un incidente che comporta danni ambientali, vengono penalizzate dal mercato in maniera più consistente rispetto a quelle che non lo sono».

Dunque, le aziende con una buona reputazione sono sollecitate a mantenerla e alla School of Management Politecnico di Milano sottolineano che «I consumatori e in generale gli stakeholder possono quindi influenzare moltissimo le scelte aziendali, ad esempio per quanto riguarda la re-internazionalizzazione di multinazionali che abbiano esternalizzato le attività produttive contando su minori costi di gestione e su politiche ambientali più permissive».

Roberto Bianchini, direttore dell’Osservatorio, conclude: «La spinta alla mitigazione del cambiamento climatico influenza le strategie di reshoring e la composizione delle catene del valore globali Abbiamo analizzato 126 multinazionali nel settore manifatturiero che avevano spostato le attività produttive all’estero. Ebbene, quelle che pubblicano un report di sostenibilità e sono originarie di Stati con politiche ambientali stringenti, e che dunque sono sottoposte al giudizio di stakeholders molto attenti al tema della sostenibilità, hanno una probabilità di rientrare nel Paese d’origine del 64% contro l’1,5% di media”, accorciando così di molto la filiera e adottando processi di gestione certificati».