La nave Arctic Sunrise di Greenpeace è sbarcata coi ricercatori della Stony Brook University

Una nuova spedizione in Antartide per proteggere i pinguini dal riscaldamento globale

In alcune colonie la popolazione è già diminuita del 77% rispetto a cinquant’anni fa

[19 Gennaio 2022]

La nave Arctic Sunrise di Greenpeace è arrivata oggi nella Penisola Antartica – con a bordo un team di scienziati della Stony Brook University – per condurre una ricerca su varie colonie di pinguini, molte delle quali mai studiate fino ad ora, studiando in particolare gli impatti della crisi climatica in corso in Antartide su questa importante specie sentinella.

«I pinguini sono tra gli animali più iconici del nostro pianeta, ma anche tra le specie più vulnerabili agli effetti del riscaldamento globale e al declino degli ecosistemi marini. Siamo tornati in Antartide per studiare le conseguenze dell’emergenza climatica e della pesca industriale sulle popolazioni di pinguini nella Penisola Antartica e nel Mare di Weddell», spiegato Louisa Casson di Greenpeace, a bordo dell’Arctic Sunrise.

Durante la sua ultima spedizione in Antartide, condotta nel febbraio dell’anno scorso, Greenpeace aveva riscontrato riduzioni drastiche nelle colonie dei pinguini pigoscelide antartico su Elephant Island. In alcune colonie la popolazione di pinguini era diminuita del 77% rispetto all’ultima volta che erano state esaminate, circa 50 anni prima.

«Gli oceani hanno bisogno di protezione, ma i governi non agiscono abbastanza in fretta. Sono già passati dieci anni dalla promessa di istituire una vasta rete di santuari oceanici antartici, ma la Commissione per l’Oceano Antartico continua a rimandare l’accordo finale. Il prossimo marzo i leader mondiali si incontreranno all’Onu per concordare un nuovo Accordo globale sull’oceano: chiediamo all’Italia e ai governi di tutto il mondo di istituire una rete di santuari marini in Antartide e di concordare un trattato globale in grado di fermare l’espansione delle attività dannose per la vita negli oceani, un passo importante per estendere le aree marine protette sul 30% degli oceani entro il 2030», conclude Casson.