Sempre più shock alimentari: colpa di clima estremo e crisi geopolitiche

Effetto a catena con conseguenze per agricoltura, pesca, acquacoltura e instabilità globale

[31 Gennaio 2019]

Lo studio “Food production shocks across land and sea”, pubblicato su Nature Sustainability da un team internazionale di ricercatori guidato dal Centre for Marine Socioecology, University e dall’Institute for Marine and Antarctic Studies (Imas) dell’università della Tasmania, ha esaminato l’incidenza degli shock alimentari – improvvise perdite nella produzione di cibo – continentali e  marini, tra il 1961 e il 2013 e  nel corso di questi 53 anni ne ha identificato 226 in 134 Paesi,  rilevando a livello globale «una crescente frequenza di shock in tutti i settori».

Secondo il principale autore dello studio, Richard Cottrell del Centre for Marine Socioecology e dell’Imas, «Le condizioni meteorologiche estreme sono state una delle principali cause di shock per le coltivazioni e il bestiame, evidenziando la vulnerabilità della produzione alimentare alla volatilità climatica e meteorologica. Negli ultimi decenni abbiamo acquisito una crescente familiarità con le immagini sui media di disastri come la siccità e la carestia in tutto il mondo. Il nostro studio conferma che gli shock della produzione alimentare sono diventati più frequenti, ponendo un crescente pericolo per la produzione alimentare globale. Abbiamo esaminato l’intera gamma di sistemi di produzione alimentare globale, che coprono coltivazioni, allevamento, pesca e acquacoltura. Abbiamo scoperto che le colture e il bestiame sono leggermente più inclini agli shock della pesca e dell’acquacoltura, e alcune regioni, come l’Asia meridionale, sono più frequentemente colpite di altre. Mentre il numero di shock alimentari oscilla di anno in anno, la tendenza a lungo termine dimostra che stanno accadendo più spesso. La crescente frequenza degli shock alimentari ha dato alle persone e alle comunità meno tempo di recupero tra gli eventi e ha eroso la loro capacità di recupero. Un tempo di recupero ridotto ostacola le strategie di coping come l’accumulo di cibo o beni da utilizzare durante i periodi di difficoltà». L’Asia meridionale, con le inondazioni e le ondate di caldo in India, Bangladesh e Pakistan è una delle regioni più a rischio ed è qui che sono stati più comuni gli shock alimentari che hanno colpito la produzione agricola, mentre l’Europa orientale ha subito gravi perdite nelle sue attività di pesca e l’acquacoltura dell’America del Sud è quella che ha sofferto di più.

Lo studio fa notare che «Criticamente, nel tempo a livello globale la frequenza degli shock è aumentata a terra e a mare. Gli eventi geopolitici ed estremi sono stati identificati tri principali fattori di shock, ma con notevoli differenze tra i diversi settori» e Cottrell evidenzia infatti che in campo c’è un altro “killer” della sicurezza alimentare globale: «In combinazione con le condizioni climatiche avverse, dal 2010 gli shock legati ai conflitti nella produzione alimentare in tutta l’Africa subsahariana e in Medio Oriente hanno provocato un aumento della fame globale».  Eventi geopolitici,  come il crollo dell’Unione Sovietica e le guerre in Afghanistan, sono stati un potente driver di shock alimentari che ha trovato un potente alleato nel cambiamento climatico.

I ricercatori hanno scoperto che tra gli anni ’60 e ’70, così come in altri periodi, compreso tra il 2000 e il 2010, gli shock alimentari si sono avuti in coincidenza con eventi meteorologici particolarmente dannosi e con le principali crisi nazionali, innescando un effetto a catena: quando viene colpito un qualsiasi settore alimentare, oltre al fatto che gli agricoltori e ad altri produttori di cibo che perdono i loro mezzi di sostentamento, intere popolazioni rischiano di soffrire la fame, questo può creare disordini catastrofici che si propagano attraverso Paesi e regioni e, alla fine, il mondo. «Una vasta gamma di pressioni sociali ed ecologiche sui sistemi alimentari può avvenire attraverso meccanismi diretti o indiretti», afferma lo studio e vanno quindi valutate «la vulnerabilità delle persone agli shock e alla loro capacità di adattamento, la scala e la frequenza degli shock e la loro dipendenza dal settore interessato».

Cottrell spiega ancora: «Le colture terrestri e la produzione di bestiame sono particolarmente vulnerabili a eventi meteorologici estremi come la siccità, che dovrebbe diventare più frequente e intensa con i cambiamenti climatici. Tuttavia, la produzione alimentare basata sul mare non è immune da shock. La pesca eccessiva è stata responsabile del 45% degli shock rilevati nei dati a terra, mentre, sin dagli anni ’80, le distruzioni della produzione dell’acquacoltura sono aumentate più velocemente e ad un livello superiore rispetto a qualsiasi altro settore. Il commercio globalizzato e la dipendenza di molti Paesi dalle importazioni alimentari significano che gli shock alimentari sono un problema globale e la comunità internazionale si trova di fronte a una sfida significativa per costruire resilienza. Questo può essere fatto attraverso misure come investire in sistemi alimentari climate-smart e costruire riserve alimentari nelle nazioni dipendenti dalle importazioni, in modo che siano maggiormente in grado di affrontare l’impatto delle distruzioni causate da problemi come i cambiamenti climatici».

E rafforzare la resilienza contro gli shock alimentari è una preoccupazione chiave dello studio che ne sottolinea l’urgenza. «Il cambiamento climatico richiede urgentemente degli investimenti nei sistemi alimentar». La resilienza può includere una serie di cambiamenti, tra cui la diversificazione delle fonti alimentari, la creazione di nuove infrastrutture che tengano conto del clima e il rafforzamento delle fonti alimentari nazionali per le aree dipendenti dal commercio internazionale.

Lo studio arriva dopo un anno brutale che ha visto incendi, uragani, inondazioni e altri disastri in tutto il mondo: nel 2018, in Grecia sono morte in violenti incendi più di 100 persone, mentre le ondate di caldo hanno devastato l’India e il Pakistan. In Nigeria e Giappone le inondazioni hanno ucciso oltre 400 persone e in Indonesia due terremoti e uno tsunami ha provocato la morte di oltre 3.000 persone.

Nel West  Usa gli incendi boschivi hanno ucciso più di 100 persone e sono costati alla sola California più di $ 3,5 miliardi di dollari di danni e. per il secondo anno consecutivo, gli uragani hanno devastato gli Stati del  Golfo del Messico e quelli della costa atlantica, facendo finire sott’acqua il North Carolina e colpendo duramente la Florida e altri Stati.

Lo studio dimostra che, con questi impatti climatici, anche la produzione alimentare continuerà a soffrire. Oltre  a danneggiare infrastrutture essenziali, gli incendi violenti e gli uragani distruggono le coltivazioni e rallentano le stagioni di crescita, prepararsi a questa inevitabilità sarà fondamentale per mitigarne gli impatti.

I ricercatori concludono avvertendo che «Con gli eventi meteorologici estremi che si prevede aumenteranno in futuro, interagendo potenzialmente con disordini civili, ottenere la sicurezza alimentare nelle regioni più esposte agli shock è probabilmente il miglior meccanismo di protezione sociale per aiutare le persone a far fronte e recuperare. Il fondamentale passaggio a sistemi di cibo resilienti agli shock richiederà una considerevole quantità di denaro».