Perché alle Hawaii gli incendi stanno diventando sempre più devastanti

Un utilizzo tradizionale del suolo e una gestione forestale preventiva potrebbero evitare disastri simili in futuro

[16 Agosto 2023]

Alle Hawaii ci sono almeno 96 vittime dei maga-incendi che hanno causato più di 5,52 miliardi di dollari di danni e l’isola di Maui è in ginocchio, con interi centri abitati ridotti in cenere. Secondo il governo federale  Usa «L’incendio di Lāhainā il più mortale d’America in oltre un secolo».

Il governatore democratico delle Hawaii, Josh Green, il sindaco della contea di Maui Richard Bissen e altri funzionari stanno affrontando le serie preoccupazioni della comunità relative al processo di ripristino di emergenza e hanno fornito aggiornamenti sugli sforzi per riportare la stabilità a Maui. In un comunicato congiounto si legge che «Una delle principali preoccupazioni era che i residenti venissero contattati per la vendita di case danneggiate dal fuoco, da persone che si spacciavano per agenti immobiliari che potrebbero avere cattive intenzioni». E’ un problema sul quale il governatore  Green è già al lavoro: «Ho contattato il procuratore generale per esplorare le opzioni per fare una moratoria su qualsiasi vendita di proprietà che sono state danneggiate o distrutte. Inoltre, vorrei avvertire le persone che ci vorrà molto tempo prima che si possa costruire qualsiasi insediamento o abitazione. E quindi, sarebbe piuttosto imprudente provare a rubare la terra alla nostra gente e poi costruirci».

Di fronte a questo disastro umano, economico e ambientale, Nature si chiede: «Ma gli incendi hanno colto di sorpresa gli scienziati e come possono le Hawaii proteggersi da tali disastri in futuro?»

Alle Hawaii gli incendi non sono certo una novità: anche se pensiamo all’arcipelago/Stato Usa del Pacifico come a un luogo di lussureggiante vegetazione tropicale, ogni isola ha un lato sottovento più secco e riparato dal vento ed è proprio qui che tende a concentrarsi il turismo alla ricerca di spiagge, sole e mare calmo. In hawaiano, Lahaina, dove l’8 agosto è scoppiato l’incendio più letale, significa “sole crudele” e quest’area di Maui è sempre stata calda e secca.

Ma gli incendi hawaiani stanno peggiorando e diventano più frequenti.  La climatologa Abby Frazier della Clark University di Worcester, ha detto a Nature: «Abbiamo assistito a un aumento piuttosto costante e, negli ultimi decenni, a un aumento esponenziale della quantità di area bruciata ogni anno alle Hawaii».

In un rapporto del 2021, la contea di Maui faceva notare che «Il numero di incidenti dovuti a una combinazione di incendi boschivi/di boscaglia/forstali sembra aumentare e questo aumento rappresenta una minaccia crescente per i cittadini, le proprietà e i siti sacri».

Nature ricorda che «I tre ingredienti principali di un incendio sono il carburante, la secchezza e una fonte di accensione. Il carburante principale delle Hawaii è l’erba, che è proliferata nelle ex aree agricole quando l’economia è passata dall’allevamento e dalla coltivazione di canna da zucchero e ananas al turismo. Quando le erbe secche bruciano, possono portare il fuoco nelle aree boschive, che tendono a diventare praterie dopo l’incendio, in un ciclo che si autoalimenta». Secondo la Frazier, che ha studiato come sono cambiati nel ‘900 i modelli delle precipitazioni nell’arcipelago hawaiano e isole nel secolo scorso, il materiale secco necessario per gli incendi «Proviene dalla siccità, che dura più a lungo e diventa più grave in tutte le Hawaii. Le temperature sono aumentate, a causa del cambiamento climatico, che prosciuga la vegetazione più velocemente. Se il cambiamento climatico stia anche causando una riduzione delle precipitazioni è più difficile da confermare». La difficoltà deriva in parte da diversi modelli meteorologici periodici complessi che dominano il clima naturale del Pacifico, come El Niño-Southern Oscillation (ENSO) e la Pacific Decadal Oscillation. Dalla fine del 2022 all’inizio del 2023, il Pacifico ha vissuto una fase La Niña dell’ENSO, con una stagione delle piogge molto umida: a Maui ci sono state precipitazioni che del 90 – 120% oltre la norma, portando a una fortecrescita dell’erba. Ma a giugno è tornato  El Niño, che di solito porta un clima più caldo e secco. Ma alle Hawaii El Niño non porta sempre più siccità durante la stagione che va da maggio a ottobre. Ma già a maggio i meteorologi della National Atmospheric and Oceanic Administration (NOAA) prevedevano precipitazioni e siccità al di sotto della media per le Hawaii, in particolare  nel lato sottovento di Maui.

La fonte che ha innescato i maga-incendi delle Hawaii di questi giorni non è ancora nota, anche se è possibile che si no state causate dalle scintille delle  linee elettriche o da altri sistemi elettrici abbattuti dell’uragano Dora che è passato a 500 miglia dalla costa, trasformando poi i focolai in un inferno in rapido movimento. Già il 4 agosto, l’US National Weather Service aveva avvertito che i forti venti di Dora, combinati con la siccità, avrebbero creato condizioni meteorologiche  pericolose per gli incendi e aveva lanx ciato un’allerta rossa incendio  per le aree sottovento di tutte le isole hawaiane.

Tra le altre azioni per prevenire questi disastri in futuro, il rapporto della contea di Maui del 2021 raccomandava che l’isola increnentasse la prevenzione degli incendi attraverso la preparazione dell’opinione pubblica e gestendo le praterie erbose che sono il combustibile per molti incendi hawaiani. Il rapporto chiedeb<va «Un piano aggressivo per sostituire queste fonti di combustibile pericolose con piante autoctone per ridurre il combustibile aumentando la ritenzione idrica».

A innescare gli incendi sembano essere soprattutto erbe infiammabili  come Cenchrus clandestinus, Cenchrus setaceusMelinus minutiflora Megathyrsus maximus, tutte introdotte nelle Hawaii intorno alla fine del XX secolo come foraggio o come piante ornamentali. Ma Katie Kamelamela, un’etnoecologa dell’Arizona State University – Tempe, fa notare che «Non necessariamente le piante autoctone delle zone aride hawaiane  sono più resistenti al fuoco. Quel che conta è la quantità di combustibile secco presente sul terreno e come è disposto. Il pascolo può ridurre i carichi di carburante. Aree spoglie, vegetazione umida sotto forma di allevamenti attivi o persino allevamenti di pesci possono aiutare a fermare o rallentare gli incendi».

DSecondo la Kamelamela, che è una nativa hawaiana, «Il fatto che le piante in un’area siano autoctone o introdotte è meno importante dell’attenzione con cui viene curato il territorio. In passato, le persone che raccoglievano risorse da una foresta la riordinavano, rimuovendo il sottobosco o addirittura ripiantando piante importanti. Ma questo lavoro tradizionale ad alta intensità di manodopera è difficile da inserire nella frenetica vita moderna. La maggior parte delle persone alle Hawaii ha due o tre lavori e riesce solo a cercare di portare i propri figli agli allenamenti di calcio».

Ma tra molti nativi hawaiani e residenti delle Hawaii sta aumentando l’interesse per le forme tradizionali di agricoltura e acquacoltura. ONG come Ao’ao O Nā Loko I’a O Maui (Maui Fishpond Association) e Kipahulu Ohana stanno cercando di rivitalizzare la produzione alimentare tradizionale, il che creerebbe un territorio molto meno infiammabile delle praterie incolte che attualmente coprono il 24% della superficie totale delle Hawaii. Lo studio “The potential of indigenous agricultural food production under climate change in Hawaiʻi”, pubblicato nel 2019 su Nature Sustainability  da un team di riscercatori dell’università delle Hawaiʻi – Mānoa e dell’US Geological Survey, ha rilevato che «Gli agroecosistemi tradizionali delle Hawaii potrebbero supportare quasi tutta l’attuale popolazione delle isole».

Anche la Kamelamela è convinta che «Cambiare il modo in cui le Hawaii gestiscono le loro terre potrebbe creare una relazione più profonda tra le persone e il luogo. Ecco perché sono scoppiati questi incendi: perché nessuno aveva una relazione con questi luoghi».

Climatologi e meteorologi chiedono anche che la raccolta e la diffusione dei dati climatici delle Hawaii siano allineati con quelli degli Stati Uniti contigui: per le Hawaii non sono disponibili dati giornalieri o mensili per l’umidità del suolo o la potenziale evapotraspirazione e lo Stato non è incluso in molti dei prodotti scientifici pubblicati dal governo federale Usa, come il Crop Moisture Index. Eppure, la Frazier  evidenzia che «L’Università delle Hawaii dispone di dati a griglia ad alta risoluzione su temperatura, precipitazioni e altre variabili».

Le Hawaii sono l’unico Stato Usa senza una divisione climatica dedicata all’interno della NOAA, qualcosa che la Frazier e un gruppo di suoi colleghi sperano di cambiare: «Una migliore integrazione con la NOAA e più dati disponibili ci permetterebbero di comprendere meglio i rischi di pericolo in tempo reale».