Per vincere la lotta per il clima, è importante ascoltare i popoli indigeni e le comunità locali

Lettera dei popoli indigeni dell’Amazzonia a Lula e agli altri 7 presidenti della regione

[10 Agosto 2023]

In occasione della Giornata internazionale dei popoli indigeni, uno studio dell Institut de Ciència i Tecnologia Ambientals dell’Universitat Autònoma de Barcelona (ICTA-UAB) chiede di «Prendere in considerazione la conoscenza approfondita dei cambiamenti climatici da parte delle popolazioni indigene.

Le popolazioni indigene e le comunità locali di tutto il mondo hanno una conoscenza generale ricca ed estesa degli impatti dei cambiamenti climatici e dei possibili modi di adattamento. Questa conoscenza dovrebbe essere riconosciuta sia dalla scienza che dalla politica climatica».

Il team internazionale di ricercatori del progetto Local Indicators of Climate Change Impacts (LICCI). finanziato dall’European Research Council (ERC) e guidato da Victoria Reyes-García dell’CREA all’ICTA-UAB, ha passato 5 anni ad analizzaare e fornue dati su come le popolazioni indigene e le comunità locali percepiscono e rispondono gli impatti dei cambiamenti climatici nei loro territori. La ricerca ha analizzato 52 casi di studio nelle comunità indigene e locali di tutto il mondo e si è avvalsa della preziosa collaborazione di una rete di ricercatori.

All’UAB dicono che «I risultati mostrano che le popolazioni indigene e le comunità locali sono colpite in modo sproporzionato dai cambiamenti climatici, poiché spesso vivono in zone climatiche calde e dipendono dai mezzi di sussistenza basati sulla natura. Società spesso emarginate a causa di disuguaglianze storiche e in corso, il cambiamento climatico è solo una delle numerose sfide che devono affrontare in un contesto più ampio di degrado ambientale». Ma sono proprio queste comunità hanno una conoscenza ricca e articolata dei metodi di adattamento all’impatto del cambiamento climatico.

I casi di studio coprono una vasta gamma di argomenti, come il modo in cui l’instabilità meteorologica rende sempre più difficile l’agricoltura in Perù o in Messico e la caccia al ghiaccio marino estremamente rischiosa nelle regioni artiche, o come il cambiamento delle maree e delle temperature sulle scogliere poco profonde renda difficile catturare polpi in Isola Wasini in Kenya. La ricerca copre comunità che vanno dai pastori di renne Koryak in Siberia, Russia, a quelli del Kenya settentrionale o Puna Seca in Argentina, pescatori del fiume Juruá in Brasile, Inuit nel Nunavut, Canada, agricoltori Quechua in Perù, Mapuche-Pehuenche nel sud del Cile e gli indigeni delle Fiji.

La Reyes-García sottolinea che «Connessi con il loro ambiente naturale attraverso generazioni, i popoli autoctoni hanno una comprensione olistica degli effetti a cascata degli impatti dei cambiamenti climatici, dai cambiamenti nei sistemi atmosferici, fisici e biologici agli impatti sui loro mezzi di sussistenza».

I risultati dello studio evidenziano che «Le risposte di adattamento delle popolazioni indigene e delle comunità locali agli impatti del cambiamento climatico sono varie e possono ispirare percorsi di adattamento efficaci per altre comunità vulnerabili. Tuttavia, nonostante la loro preziosa esperienza, la loro conoscenza non viene presa in sufficiente considerazione nei rapporti e nelle politiche sui cambiamenti climatici, anche nelle regioni in cui i dati sono scarsi a causa del loro difficile accesso o quando le misure di adattamento sono applicate nei loro territori».

Per questo, i ricercatori affermano che «Come legittimi custodi della conoscenza del cambiamento climatico e dei suoi impatti sull’ambiente locale, le popolazioni indigene e le comunità locali dovrebbero avere un ruolo più centrale nei processi scientifici e politici di comprensione e adattamento al cambiamento climatico» e chiedono istituzioni coinvolte nella valutazione degli impatti e nella progettazione di politiche e piani di adattamento a livello locale, nazionale e internazionale per incorporarli nel processo decisionale e che «Venga prestata particolare attenzione ai diritti delle popolazioni indigene, compreso il rispetto della loro sovranità, nonché ai diritti di altre comunità dipendenti dalla natura, assicurando che partecipino realmente ai meccanismi di valutazione, processo decisionale e ricorso».

Sono le stesse richieste presentate dal Cacique Raoni con una lettera – la “Carta dos Povos Indígenas da Bacia da Amazônia aos presidentes” – indirizzata al presidente del Brasile Lula e consegnata ai ministri del governo del Brasile in occasione della Cúpula da Amazônia che si è conclusa ieri a Belém. Il Raoni ha chiesto misure urgenti per la protezione delle popolazioni indigene, come lo sgombro dei garimpeirs (i cercatori d’oro) dai loro territori, la lotta contro l’estrazione mineraria, il disboscamento illegale e altri crimini in Amazzonia. Il leader Kayapó ha anche invitato il governo a rispettare i suoi impegni nei confronti delle popolazioni indigene.

Nella lettera si legge: «Noi, popoli indigeni di sei paesi amazzonici, rappresentati dal Coordenação das Organizações Indígenas da Amazônia Brasileira (COIAB), União das Mulheres Indígenas da Amazônia Brasileira (UMIAB), Articulação dos Povos Indígenas do Brasil (APIB), Organização Indígena de Suriname (OIS), Associação dos Povos Ameríndios (APA) da Guiana Inglesa, Confederação das Nacionalidades Indígenas da Amazônia Equatoriana (CONFENIAE), Federação dos Povos Indígenas da Guyana Francesa (FOAG), Confederação dos Povos Indígenas da Bolívia (CIDOB) e Organização Nacional dos Povos Indígenas da Amazônia Colombiana (OPIAC),  riuniti all’ Assembleia dos Povos da Terra pela Amazônia, tenutasi alla Cúpula dos Povos Indígenas il 6 agosto, durante l’ Diálogos Indígenas, abbiamo preparato e diffuso una lettera indirizzata ai presidenti firmatari dell’OTCA/ACTO. Riaffermiamo che il modo migliore per frenare e risolvere la crisi climatica globale è ascoltare le popolazioni indigene. Sappiamo quello che diciamo e non solo noi: secondo l’Onu, pur rappresentando solo il 5% della popolazione mondiale, conserviamo circa l’80% della biodiversità mondiale. Questo deriva dalla nostra visione del mondo; Non ci limitiamo a vedere solo ciò che è alla nostra portata, ma oltre. Le foreste tropicali sono le barriere terrestri più efficienti contro l’avanzata del cambiamento climatico. Senza di noi, non ci sarà l’Amazzonia e senza di essa, il mondo che conosciamo non esisterà più. Perché noi siamo l’Amazzonia: la sua terra e la sua biodiversità sono il nostro corpo; i suoi fiumi scorrono nelle nostre vene. I nostri antenati non solo l’hanno conservata per millenni, ma hanno contribuito a coltivarla. Viviamo in essa e per essa. E nel corso dei secoli, abbiamo dato la nostra vita per proteggerla».

Il Cacique Raoni aveva partecipato alla Marcha dos Povos da Terra che ha percorso le strade di Belém fino a raggiungere il Summit dell’Amazzonia e ha presentare ai presidenti degli 8 Paesi amazzonici la “Carta dos Povos Indígenas da Bacia da Amazônia aos presidentes” che contiene le richieste dei popoli indigeni: «Entro il 2025, tutte le terre indigene nel bacino amazzonico saranno riconosciute e delimitate; La garanzia dei Diritti Umani per tutti i popoli del bacino amazzonico; La sicurezza e la protezione della vita, degli usi e dei costumi di tutti i popoli indigeni dell’Amazzonia, con particolare attenzione alla protezione della sicurezza delle donne, dei giovani, degli anziani e degli anziani; L’effettiva conservazione di almeno l’80% dell’Amazzonia entro il 2025, con l’obiettivo di raggiungere la deforestazione zero entro il 2030.