L’umanità potrebbe non essere evolutivamente in grado di affrontare il cambiamento climatico

Gli esseri umani hanno bisogno di un sistema sociale funzionale per il pianeta, che non abbiamo

[3 Gennaio 2024]

Secondo lo studio “Characteristic processes of human evolution caused the Anthropocene and may obstruct its global solutions”, pubblicato su Philosophical Transactions of the Royal Society B dagli statunitensi Timothy Waring dell’università del Maine e Zachary Wood del Colby College e dall’ungherese Eörs Szathmáry, dell’Eötvös Loránd Tudományegyetem e del Center for the Conceptual Foundations of Science della Parmenides Foundation,  «Le caratteristiche centrali dell’evoluzione umana potrebbero impedire alla nostra specie di risolvere i problemi ambientali globali come il cambiamento climatico».

Un bel guaio evoluti vo che, spiegano dall’università del Maine, deriverebbe dal fratto che «Gli esseri umani sono arrivati ​​a dominare il pianeta con strumenti e sistemi per sfruttare le risorse naturali che sono stati perfezionati nel corso di migliaia di anni attraverso il processo di adattamento culturale all’ambiente».

Waring, un biologo evoluzionista dell’UMaine George J. Mitchell Center for Sustainability Solutions e della School of Economics, si è chiesto se  e come questo processo di adattamento culturale all’ambiente potrebbe influenzare l’obiettivo di risolvere i problemi ambientali globali. E ha scoperto qualcosa di controintuitivo.

Il progetto di ricerca ha cercato di rispondere a tre domande fondamentali: come umana ha operato l’evoluzione nel contesto delle risorse ambientali, come ha contribuito l’evoluzione umana alle molteplici crisi ambientali globali e come i limiti ambientali globali potrebbero cambiare i risultati dell’evoluzione umana in futuro.

Lo studio ha analizzato come l’utilizzi dell’ambiente da parte delle società umane è cambiato  nel corso della nostra storia evolutiva. Il team di ricerca ha studiato i cambiamenti nella nicchia ecologica delle popolazioni umane, compresi fattori come le risorse naturali utilizzate, l’intensità con cui sono state utilizzate, quali sistemi e metodi sono emersi per utilizzarle e gli impatti ambientali risultanti dal loro utilizzo.

Un lavoro che ha rivelato una serie di modelli comuni: «Nel corso degli ultimi 100.000 anni, i gruppi umani hanno progressivamente utilizzato più tipi di risorse, con maggiore intensità, su scala maggiore e con maggiori impatti ambientali. Questi gruppi spesso si sono poi diffusi in nuovi ambienti con nuove risorse.

L’espansione umana globale è stata facilitata dal processo di adattamento culturale all’ambiente. Questo  porta all’accumulo di tratti culturali adattivi: sistemi sociali e tecnologie per aiutare a sfruttare e controllare le risorse ambientali come pratiche agricole, metodi di pesca, infrastrutture di irrigazione, tecnologia energetica e sistemi sociali per la gestione di ciascuna di queste».

Waring  sottolinea che «L’evoluzione umana è guidata principalmente dal cambiamento culturale, che è più veloce dell’evoluzione genetica. Questa maggiore velocità di adattamento ha reso possibile agli esseri umani di colonizzare tutte le terre abitabili in tutto il mondo.  Inoltre, questo processo accelera a causa di un processo di feedback positivo: man mano che i gruppi diventano più grandi, accumulano tratti culturali adattivi più rapidamente, il che fornisce più risorse e consente una crescita più rapida. Negli ultimi 100.000 anni, questa è stata una buona notizia per la nostra specie nel suo insieme, ma questa espansione è dipesa dalle grandi quantità di risorse e di spazio disponibili. Oggi anche gli esseri umani hanno esaurito lo spazio. Abbiamo raggiunto i limiti fisici della biosfera e rivendicato la maggior parte delle risorse che ha da offrire. Anche la nostra espansione ci sta raggiungendo. I nostri adattamenti culturali, in particolare l’uso industriale dei combustibili fossili, hanno creato pericolosi problemi ambientali globali che mettono a repentaglio la nostra sicurezza e l’accesso alle risorse future».

Per capire cosa significano questi risultati per risolvere le sfide globali come il cambiamento climatico, il team di ricerca ha esaminato quando e come sono emersi in passato sistemi umani sostenibili. Waring e i suoi colleghi hanno trovato due modelli generali. «Primo, i sistemi sostenibili tendono a crescere e diffondersi solo dopo che i gruppi hanno lottato le proprie risorse o non sono riusciti a mantenerle».

I ricercatori fanno l’esempio degli  Stati Uniti che hanno regolamentato le emissioni industriali di zolfo e biossido di azoto nel 1990, ma solo dopo aver stabilito che causavano piogge acide e acidificavano molti corpi idrici nel nord-est. Oggi, questa azione ritardata rappresenta un grave problema perché l’umanità minaccia altri confini  globali. Per quanto riguarda il cambiamento climatico, gli esseri umani devono risolvere il problema prima di provocare una catastrofe.

nel secondo modello i ricercatori hanno anche trovato prove che «Forti sistemi di protezione ambientale tendono ad affrontare i problemi all’interno delle società esistenti, non tra di loro». Ad esempio, la gestione dei sistemi idrici regionali richiede cooperazione regionale, infrastrutture e tecnologie regionali, che derivano dall’evoluzione culturale regionale. La presenza o meno di società ad un giusto livello è, quindi, un fattore limitante critico.

Lo studio avverte che «Affrontare la crisi climatica in modo efficace richiederà probabilmente nuovi sistemi normativi, economici e sociali a livello mondiale, che generino maggiore cooperazione e autorità rispetto ai sistemi esistenti come l’Accordo di Parigi. Per stabilire e far funzionare questi sistemi, gli esseri umani hanno bisogno di un sistema sociale funzionale per il pianeta, che non abbiamo».

Waring  ribadisce che «Il problema è che non abbiamo una società globale coordinata che possa implementare questi sistemi. Abbiamo solo gruppi sub-globali, che probabilmente non saranno sufficienti. Ma si possono immaginare trattati di cooperazione per affrontare queste sfide condivise. Quindi, questo è il problema facile. L’altro problema è molto peggiore. In un mondo pieno di gruppi subglobali, l’evoluzione culturale tra questi gruppi tenderà a risolvere i problemi sbagliati, avvantaggiando gli interessi delle nazioni e delle imprese e ritardando l’azione sulle priorità condivise. L’evoluzione culturale tra i gruppi tenderebbe ad esacerbare la competizione per le risorse e potrebbe portare a un conflitto diretto tra i gruppi e persino al deperimento umano globale. Questo significa che le sfide globali come il cambiamento climatico sono molto più difficili da risolvere di quanto ritenuto in precedenza. Non è solo la cosa più difficile che la nostra specie abbia mai fatto. Lo è in assoluto. Il problema più grande è che le caratteristiche centrali dell’evoluzione umana probabilmente stanno ostacolando la nostra capacità di risolverle. Per risolvere le sfide collettive globali dobbiamo nuotare controcorrente».

Waring, Wood e Szathmáry ensano che la loro analisi possa aiutare a orientarsi nel futuro dell’evoluzione umana su una Terra limitata e il loro studio è il primo a proporre che l’evoluzione umana possa opporsi all’emergere di problemi globali collettivi e dicono che sono necessarie ulteriori ricerche per sviluppare e testare questa teoria, a cominciare dalla ricerca applicata per comprendere meglio i fattori trainanti dell’evoluzione culturale e, dato come funziona l’evoluzione umana, cercare modi per ridurre la concorrenza ambientale globale.  I tre scienziati evidenziano che «La ricerca è necessaria per documentare i modelli e la forza dell’evoluzione culturale umana nel passato e nel presente. Gli studi potrebbero concentrarsi sui processi passati che hanno portato al dominio umano della biosfera e sulle modalità con cui avviene oggi l’adattamento culturale all’ambiente».

Ma se lo schema generale dello studio è corretto e l’evoluzione umana tende a opporsi a soluzioni collettive ai problemi ambientali globali, allora è necessario rispondere ad alcune domande molto urgenti, inclusa quella e possiamo utilizzare queste conoscenze per migliorare la risposta globale al cambiamento climatico.

Per Waring la nostra natura tribal-nazionalista e il capitalismo famelico di risorse hanno già un antidoto: «C’è speranza, ovviamente, che gli esseri umani possano risolvere il cambiamento climatico. Abbiamo già costruito una governance cooperativa, anche se mai in questo modo: in fretta e su scala globale».

La crescita della politica ambientale internazionale offre qualche speranza. Esempi di successo includono il protocollo di Montreal per limitare i gas che riducono lo strato di ozono e la moratoria globale sulla caccia alle balene a fini commerciali. Nuove iniziative globali dovrebbero includere «La promozione di sistemi più intenzionali, pacifici ed etici di mutua autolimitazione, in particolare attraverso regolamenti di mercato e trattati applicabili, che leghino insieme sempre più strettamente i gruppi umani in tutto il pianeta in un’unità funzionale».

Ma è un modello potrebbe non funzionare per il cambiamento climatico. Waring spiega ancora: «Il nostro articolo spiega perché e come la costruzione di una governance cooperativa su scala globale è diversa e aiuta ricercatori e politici ad avere più lucidità su come lavorare verso soluzioni globali. Questa nuova ricerca potrebbe portare a un nuovo meccanismo politico per affrontare la crisi climatica: modificare il processo di cambiamento adattivo tra aziende e nazioni potrebbe essere un modo efficace per affrontare i rischi ambientali globali».

Per quanto riguarda la possibilità che gli esseri umani possano continuare a sopravvivere su un pianeta limitato, Waring conclude: «Non abbiamo alcuna soluzione per questa idea di una trappola evolutiva a lungo termine, poiché comprendiamo a malapena il problema. Se le nostre conclusioni sono anche vicine alla correttezza, dobbiamo studiarle molto più attentamente».