Le foreste del futuro e il tiro alla fune del cambiamento climatico

Le foreste che non sono in grado di adattarsi al clima rischiano qualcosa di simile a un infarto

[26 Novembre 2019]

In un mondo dove l’anidride carbonica aumenta le piante dovrebbero stare meglio, infatti, l’aumento di CO2 consente alle piante di fotosintetizzare di più e utilizzare meno acqua. Ma l’altro lato della medaglia è che le temperature più calde spingono le piante a utilizzare più acqua e a ridurre la fotosintesi. Quindi, in questo tiro alla fune climatico, quale forza vincerà: la fecondazione di CO2 o lo stress termico?

La risposta arriva dal nuovo studio “The impact of rising CO2 and acclimation on the response of US forests to global warming” pubblicato su Proceedings of National Academy of Sciences (PNAS) da un team di ricercatori dell’università dello Utah che ha scoperto che «dipende dal fatto che foreste e alberi siano in grado di adattarsi al loro nuovo ambiente. Lo studio comprende aspetti della fisiologia dell’albero per esplorare come alberi e le foreste rispondono a un clima che cambia».

Uno degli autori dello studio William Anderegg della School of biological sciences dell’università dello Utah ha spiegato: «Abbiamo preso la fisiologia delle singole cellule e la abbiamo ridotta a scala di computer per fare proiezioni del valore delle foreste di un continente».

Per vedere come avverrà questo “tiro alla fune climatico”, è importante capire come gli alberi e le piante utilizzano l’acqua: «In un albero – spiegano i ri cercatori statunitensi – l’acqua viene estratta dalle radici attraverso lo xilema, il sistema vascolare dell’albero. L’acqua si sposta sulle foglie, dove avviene la fotosintesi. Sul lato inferiore delle foglie, piccoli pori chiamati stomi si aprono per ammettere la CO2 per la fotosintesi. Il vapore acqueo può fuoriuscire attraverso gli stomi, quindi, per proteggersi dalla perdita di acqua durante i periodi secchi o caldi, è necessario chiudere gli stomi. Durante una siccità intensa, gli alberi devono lavorare di più per attingere acqua nell’albero e attraverso lo xilema. Se il terreno è abbastanza asciutto, la tensione nell’acqua provoca la formazione di una bolla d’aria nello xilema, riducendo fortemente il trasporto dell’acqua e ferendo o uccidendo l’albero. E’ qualcosa di simile a un infarto».

John Sperry, un altro autore dello studio,a nche lui della School of biological sciences, ha passato decenni a studiare la fisiologia dell’utilizzo dell’acqua negli alberi e, negli ultimi anni, è stato affiancato da Anderegg, dal ricercatore post dottorato Martin Venturas e dagli altri membri del team (Henry Todd, Anna Trugman, Yujie Wang e Xiaonan Tai) per sviluppare un modello di come i tratti fisiologici degli alberi, in primo luogo la regolazione dell’apertura stomatica, influenzano la fotosintesi e la perdita d’acqua in risposta a un ambiente in evoluzione, compresa la siccità. Sperry dice che «Ora questo modello permette un nuovo modo di prevedere l’esito del conflitto climatico, quantificando gli effetti contrastanti della fecondazione della CO2 e dello stress da caldo, per trovare il punto di equilibrio».

Anderegg aggiunge che ha anche permesso di fare un ulteriore passo avanti nella comprensione: «Il modello ci consente di simulare la capacità degli alberi di acclimatarsi al caldo e alla siccità, sia su scale temporali brevi, chiudendo o aprendo stomi, sia su scale temporali lunghe, con alberi aggiuntivi in crescita o una maggiore mortalità nella foresta. Supponiamo che le piante siano adattate per essere in qualche modo intelligenti nel rispondere al clima e all’ambiente».

Venturas fa notare che «Questo tipo di acclimatazione era già stata rilevata da esperimenti precedenti nei quali gli alberi erano immersi in un’atmosfera arricchita di CO 2 ed e è stata anche vista in foreste simili tra loro ma che si trovano in climi leggermente diversi». Andregg precisa che «I nostri modelli attuali non facevano conto sulla fisiologia o l’acclimatazione, Contano in modo assolutamente enorme per il futuro delle foreste. Abbiamo trovato il modo di inserirli».

Secondo Sperry, «I risultati del modello suggeriscono che il vincitore del tiro alla fune non dipende dalla quantità assoluta di aumento di CO2   o del riscaldamento  ma solo dal rapporto tra i due. Quindi, se quel rapporto è nel punto neutrale, si può avere la stessa foresta che si sposta attraverso grandi gradienti nel cambiamento climatico. Ma tutto ciò che spinge quel rapporto verso il lato del riscaldamento avrà il potenziale per un grave impatto negativo».

I ricercatori scrivono che «Se le foreste non sono in grado di acclimatarsi, per evitare stress significativi e la morte degli alberi il rapporto deve essere superiore a 89 parti per milione di CO2 per grado C di riscaldamento. Solo il 55% delle previsioni climatiche mostra questo scenario. Ma se le foreste sono in grado di acclimatarsi, possono tollerare un rapporto inferiore: 67 parti per milione di CO2 per grado di riscaldamento, che si verifica nel 71% delle previsioni».

Ma anche con l’acclimatazione, altri fattori possono far pendere l’equilibrio verso la catastrofe forestale. Infatti, VEnturas spiega che «Il modello non tiene conto degli incendi boschivi o dell’infestazione di insetti, ma solo della fisiologia degli alberi, sebbene le foreste stressate siano più sensibili sia agli incendi che agli insetti. Sta migliorando un pezzo del puzzle, ma dobbiamo ancora imparare molto sugli altri pezzi e su come sono integrati».

Secondo lo studio, anche anni eccezionalmente siccitosi possono ribaltare l’equilibrio: «In questi casi, se scendessimo al di sotto di una certa soglia di umidità del suolo, potremmo far morire l’intera foresta», afferma Venturas.

Sperry. Conclude: «La mortalità può avvenire in modo relativamente improvviso. Lo vedi con il tuo vaso di fiori a casa se dimentichi di annaffiarlo. Andrà bene fino a un certo punto, ma poi raggiungi la soglia di umidità e in pochi giorni la pianta può morire. Se in quel periodo non piove, il sistema entra in un ciclo in cui il terreno si asciuga troppo velocemente e manda gli alberi in fallimento vascolare. Lo studio prevede che le foreste del futuro camminino su una corda tesa precaria. Lo studio non dà assolutamente luce verde allo status quo».