Il futuro distopico secondo i giovani

Per i giovani delle scuole superiori danesi, la vita nel 2060 sarà tutt’altro che sicura e confortevole

[30 Gennaio 2024]

Il progetto “Addressing Climate Anxiety Using Flash Fiction in the Classroom”, realizzato da un team di ricercatori danesi della Syddansk Universitet (SDU), in collaborazione con Newcastle University e Hochschule Luzern, si rivolge a giovani tra i più ricchi, tutelati e sicuri del mondo che vivono in un Paese che ha tra i più elevatati livelli di benessere, felicità individuale e libertà democratiche: la Danimarca. Eppure gli studenti di 5 scuole superiori danesi che hanno partecuipato alla sezione del progetto “Climate Future Fiction” dipingono il loro futuro come se fosse la trama di un film post-apocalittico: Onde di marea distruttive e siccità mortali. I fratelli scomparsi, genitori morti, giovani solitari che lottano per la sopravvivenza in società distrutte dominate da sfiducia, avidità, scarsità e violenza.

Birgitte Svennevig della SDU spiega che «Lo scopo era quello di avviare un dialogo con i giovani su come immaginare il futuro alla luce del cambiamento climatico. Dopo una serie di workshop, discussioni, presentazioni di ricerche ed esercizi di scrittura, agli studenti è stato chiesto di scrivere un breve racconto su come immaginano la vita nel 2060».

Uno dei responsabili del progetto, Bryan Yazell del Dipartimento di cultura e lingua della SDU, sottolinea che «Lungo il percorso, li abbiamo incoraggiati a prendere in considerazione una narrativa positiva per il futuro, ma quasi tutti si sono astenuti dal farlo».

Con Yazell alla SDU hanno collaborato Patricia Wolf, professoressa sl Dipartimento di economia e management, e il biologo Karl Attard, professore assistente presso il Dipartimento di Biologia. I tre ricercatori fanno anche parte dello  SDU Climate Cluster, la cui missione è contribuire alla neutralità climatica entro il 2050 attraverso la ricerca interdisciplinare e Wolf e Yazell sono leader dello SDU Elite Center PACA, che punta a «Scoprire una narrativa positiva sul clima che potrebbe potenziare l’azione climatica di massa»

Yazell ammette che «Ci sono molte ragioni per essere pessimisti riguardo al futuro, soprattutto per i giovani che dovrebbero anticipare di affrontare sfide piùgrandi legate al clima rispetto ai loro genitori.Ma è importante prestare attenzione alle storie che i giovani raccontano sul futuro prima di provare a parlare dei possibili modi per affrontare il cambiamento climatico nel presente. Nel progetto “Addressing Climate Anxiety Using Flash Fiction in the Classroom”, esploriamo il modo in cui le idee sul futuro ci influenzano.

I progetti sono iniziati nel 2023 e, per cominciare, io e i miei colleghi abbiamo esplorato il modo in cui i giovani immaginano che la società sarà influenzata dai cambiamenti climatici».

Il progetto è partito da una richiesta ai ragazzi danesi: «Immagina una persona che vive nell’anno 2063. Quarant’anni nel futuro potrebbero non sembrare un periodo lungo, ma possiamo aspettarci che da oggi fino ad allora la crisi climatica si estenderà. Quando pensi a questa persona in futuro, quanto della sua vita sarà influenzata dal cambiamento climatico? E immagini che la società avrà fatto progressi significativi per combatterlo?»

Yazell spiega che «L’anno scorso, io e altri ricercatori dell’Università della Danimarca meridionale, in collaborazione con insegnanti volontari, abbiamo posto domande come queste agli studenti delle scuole superiori e abbiamo dato loro il compito di rispondere sotto forma di un breve racconto. Le storie risultanti, oltre 150 in totale, presentavano un’ampia varietà di scenari, ma erano ampiamente d’accordo su una cosa: il futuro è un luogo pericoloso. I nostri risultati sono nuovi di zecca e finora sono stati presentati solo in una conferenza. E’ in arrivo un articolo scientifico».

Gli scenari peggiori del cambiamento climatico, ma sono al centro di quasi tutte le storie scritte dai giovani autori. In molti casi, questi disastri distruggono le famiglie, uccidono i loro cari e creano società violente. Le storie dei ricchi e felici ragazzi e ragazze danesitendono a immaginare la distopia, un mondo futuro indesiderabile caratterizzato da sofferenza diffusa.

Ad esempio, una storia inizia: »Alfred aveva vissuto tutti i suoi cinque anni in questa città, tutta la sua vita aveva vissuto qui. Conosceva tutti e tutti lo conoscevano. La città era come qualsiasi altra città, con le sue case, strade, supermercati, giardini e tutte le cose che una città porta con sé. L’unica differenza era che ora l’anno era 2062 e la città era sott’acqua. E il motivo per cui Alfred conosceva tutti era perché non era mai stato fuori dalla gigantesca cupola che era la loro vita».

I ricercatori fanno notare che «In molte storie, l’innalzamento del livello del mare costringe le persone a vivere in cupole sottomarine, sul mare in barche o su astronavi che fuggono dal pianeta. Questi scenari non sono certamente quelli che più probabilmente si verificheranno nell’arco di quarant’anni. Ma il fatto che appaiano così frequentemente in queste storie suggerisce che sono molto più facili da immaginare rispetto, ad esempio, alle storie in cui si verificano solo cambiamenti incrementali o, cosa più importante, alle storie con un esito positivo.In diversi racconti, la tecnologia creata per proteggere l’umanità da un ambiente inospitale impone un’infelice separazione tra le persone e la natura».

Il senso di isolamento che questa separazione crea è al centro di un’altra storia scritta da un ragazzo: «Amava passeggiare per il quartiere guardando i bellissimi edifici, l’architettura, la tecnologia, la funzionalità di ogni cosa e le bellissime creazioni della felicità […] Desiderava toccare tutto. Tocca la felicità: tutto il verde. Ma ogni volta ci provava; era come se tutto fosse diventato un fantasma. Come se gli alberi non ci fossero davvero, né i cespugli né i fiori. Come solo il loro spirito, tutti furono lasciati qui sulla terra».

Le storie degli studenti danesi confermano anche gli studi che mostrano le emozioni negative che i giovani associano al futuro a causa del cambiamento climatico. Secondo un sondaggio, due terzi delle persone di età tra i 16 e i 25 anni rispondono di sentirsi tristi, spaventati e ansiosi quando pensano al futuro. E i ricercatori dicono che «Questi risultati evidenziano il costo emotivo affrontato dai giovani, che hanno tutte le ragioni per credere che la crisi climatica non potrà che espandersi nel corso della loro vita. Questi sentimenti negativi diffusi sono spesso descritti come “ansia climatica” e solo ora cominciano a essere studiati. Sebbene le storie non parlino esplicitamente dell’ansia climatica, spesso sottolineano il senso di disperazione e isolamento che provano i loro personaggi. Quel che dovrebbe sorprendere è la facilità e la scioltezza con cui questi giovani, che generalmente non hanno esperienza nella scrittura di narrativa, riescono a immaginare la distopia escludendo altri tipi di storie. Questa fluidità suggerisce che i giovani non solo sono immersi nei media con sfumature apocalittiche o distopiche, ma che li hanno interiorizzati in modo profondo; è una lingua che hanno imparato a parlare eccezionalmente bene, anche se non se ne rendono conto. E proprio come la lingua che parliamo modella il modo in cui ci esprimiamo, le storie che raccontiamo sul futuro modellano il modo in cui vediamo il mondo intorno a noi e il mondo a venire. In realtà, i giovani potrebbero trovarsi bloccati in un circolo vizioso rispetto ai media che guardano sul cambiamento climatico: leggono storie negative e guardano film distopici, il che significa che vengono addestrati inconsciamente a raccontare storie negative e distopiche. Questa è un’osservazione che abbiamo iniziato a stabilire sulla base dei nostri dati. Altri ricercatori stanno discutendo la stessa questione (in relazione, ad esempio, all’immensa popolarità della narrativa distopica tra i giovani lettori ), ma dobbiamo ancora dimostrarla empiricamente».

Un altro risultato, più preoccupante, di questa fluidità distopica ha a che fare con il modo in cui i giovani interpretano le informazioni sul cambiamento climatico: «Se adottano una visione del mondo distopica basata sui media e su altri prodotti culturali, potrebbero chiudere un occhio sulle storie che non si conformano a questo modello? – si chiede Yazell – In altre parole, rifiutano (consapevolmente o meno) le storie più ottimistiche o piene di speranza perché non soddisfano le loro aspettative negative. Abbiamo visto alcune prove di questa tendenza tra gli studenti scrittori, molti dei quali hanno spiegato ai loro insegnanti che scrivevano storie distopiche perché volevano che fossero belle e avvincenti. Secondo questi giovani scrittori, le storie piene di speranza, ottimistiche o utopistiche semplicemente non erano interessanti. Qui gli studenti fanno eco alle preoccupazioni di molti esponenti dei media e della ricerca che, di fronte all’espressione di fatti sul cambiamento climatico, devono considerare come rendere queste informazioni coinvolgenti per i lettori. Come spiegano gli stessi giovani autori, sottolineare gli aspetti più angoscianti di una storia attira l’attenzione, ma può anche abituarci a trascurare o sminuire le storie che non utilizzano questa formula».

Ma Yazell è anche convinto che «Riconoscere la fluidità distopica dei giovani ci fornisce una visione importante delle loro aspettative per il futuro. Ma anche se queste storie evidenziano in gran parte disastri ed emozioni negative, contengono anche qualche motivo di speranza. Innanzitutto, scrivendo storie distopiche, i giovani autori evidenziano i problemi della società odierna che secondo loro dovrebbero cambiare. Immaginando società in cui le persone non si fidano le une delle altre e sono disconnesse dalla natura, le storie riconoscono le aree problematiche del mondo odierno. In tal modo, le storie contengono qualche motivo di speranza».

D’altronde, lo scrittore di fantascienza americano William Gibson dice che «E’ “impossibile” scrivere sul futuro, il che significa che la fantascienza riguarda davvero solo il momento in cui viene scritta» e Yazell aggiunge che «Lo stesso vale per la narrativa distopica. Le società distopiche che leggiamo nella narrativa non sono costruite completamente dal nulla. Sono costruiti a partire dall’osservazione dei problemi sociali del presente, che l’autore identifica ed esplora in un contesto futuristico. Ad esempio, la violenta società fondamentalista immaginata nel famoso romanzo di Margaret Atwood, The Handmaid’s Tale, fu una risposta diretta alla politica degli anni ’80, quando i conservatori religiosi negli Stati Uniti esercitavano un’influenza politica sotto il presidente Ronald Reagan. Gli aspetti distopici presenti nelle storie degli studenti dovrebbero essere intesi allo stesso modo: sotto i loro scenari fantasiosi si nascondono preoccupazioni fondate sulla crisi climatica e, implicitamente, sulla società in generale. In altre parole, il fatto che queste storie siano distopiche non significa necessariamente che i giovani abbiano rinunciato alla speranza per il futuro. Le storie che creano, tuttavia, tendono a concentrarsi sul fallimento della società nel cambiare in modo significativo. Queste storie distopiche sono molto efficaci nel presentare i mondi futuri che vogliamo evitare. Indicano anche che è più difficile immaginare i mondi in cui vorremmo abitare».

Secondo i ricercatori, lo studio mostra la necessità di uno spazio nel quale i giovani possano esprimere i propri pensieri e sentimenti riguardo al cambiamento climatico discutendo al contempo le loro visioni di catastrofe: «Se vogliamo affrontare la crisi climatica, è importante discutere su come potrebbe essere il futuro desiderato, non solo su quello indesiderato. Vogliamo contribuire ad aumentare la consapevolezza ecologica tra i giovani; in altre parole, affinare la loro consapevolezza affinché possano avere anche visioni fiduciose per il futuro».

Inoltre, per Yazell i mezzi di informazione dovrebbero riflettere sul loro ruolo: « Ricercatori e giornalisti ritengono che sia loro compito trasmetterci le loro conoscenze. Ma è un problema se la comunicazione della scienza dipinge così tanti scenari apocalittici da farli diventare una narrativa saldamente radicata, proprio come nella cultura popolare. E’ positivo che i giovani siano ben informati sul cambiamento climatico, ma non è positivo che si sentano incapaci di immaginare un modo per gestirlo». Per Yazell, «Il fatto che così tanti giovani immaginano un futuro distopico spezzato e pericoloso è un riflesso della massiccia influenza della cultura popolare e dei mezzi di informazione. La società distopica in cui la civiltà non esiste più e ognuno deve lottare per se stesso, è una narrazione classica nei film e in televisione. E’ una storia che è stata raccontata tante volte. Allo stesso tempo i media raccontano anche di ecosistemi e sistemi meteorologici sull’orlo del collasso. Se la cultura popolare e i mezzi di informazione possono influenzare così fortemente la visione distopica del futuro dei giovani, i giovani possono anche essere influenzati nella direzione opposta? Vale la pena indagarlo, ed è ciò che faremo nel nostro prossimo progetto. L’idea è la stessa: far scrivere ai giovani una visione immaginaria del futuro, ma lavoreranno maggiormente sulla riflessione sulle proprie storie e su quelle degli altri. Questo potrebbe comportare la discussione del motivo per cui gravitano verso la distopia e la presa di coscienza delle narrazioni prevalenti a cui sono esposti nella loro vita. Non chiederemo loro direttamente di scrivere storie future positive, ma li incoraggeremo a discutere tra loro se possono esserci altri finali più positivi per le loro storie».

Il ricercatore della SDU conclude: «Per incoraggiare queste narrazioni positive, che siamo insegnanti, scienziati o politici, dobbiamo prima riconoscere quanto profondamente questa immaginazione distopica abbia preso piede. Le persone ignoreranno le storie utopiche del futuro quando arriveranno ad abitare una visione del mondo distopica. Ma possiamo ancora riconoscere che le persone sollevano critiche valide su come stanno le cose oggi quando prevedono un futuro distopico. Il compito di incanalare queste critiche verso vie significative resta ancora da svolgere, ma non può essere portato a termine senza considerare le narrazioni che ci raccontiamo sul cambiamento climatico».