Gli italiani sono gli europei più favorevoli a un marchio climate change sui prodotti

Ma il caso del cioccolato dimostra che tra il dire e il fare c’è di mezzo il prezzo (e il marchio)

[4 Aprile 2019]

Secondo un sondaggio online, condotto da YouGov  per conto di Carbon Trust, in Italia, Canada, Olanda, Svezia, Regno Unito, Spagna e Usa, che ha messo in luce il potenziale in termine di vantaggi ottenibili dai

brand attraverso azioni concrete e dimostrabili nell’ambito dei cambiamenti climatici, «La maggior parte dei consumatori italiani si dichiara a favore dell’introduzione di “un marchio sui cambiamenti climatici” da apporre sui prodotti»

Carbon Trust dice che l’85% degli italiani in età adulta concorda sull’importanza di «poter disporre di un marchio o un’etichetta che descriva come un determinato prodotto sia stato realizzato nel rispetto dell’ambiente e con l’impegno di misurarne e ridurne la relativa impronta di carbonio. Rispetto agli altri Paesi esaminati, l’Italia ha dimostrato a più riprese i più elevati livelli di risposte positive rispetto all’introduzione di un marchio sui cambiamenti climatici».

L’84% degli oltre 1.000 italiani intervistati ha confermato che si sentirebbe orientato più positivamente nei confronti di aziende in grado di dimostrare concretamente il proprio impegno nella riduzione dell’impronta di carbonio generata dai prodotti immessi sul mercato.

Inoltre, sottolinea Carbon Trust, «L’analisi mostra le numerose opportunità offerte alle aziende impegnate a compiere progressi rispetto alle problematiche legate ai cambiamenti climatici».  Il 60% degli italiani ritengono importante essere a conoscenza, prima di procedere all’acquisto, delle azioni intraprese da una determinata azienda nella riduzione delle emissioni di carbonio causate da un loro prodotto.

Ma Carbon Trust fa notare che «Tuttavia, vi è ancora un apparente divario tra volontà e azione, dimostrato dal fatto che oltre la metà dei consumatori (55%) non considera l’impronta di carbonio generata da un prodotto nel corso delle proprie decisioni di acquisto. Una proporzione significativa (oltre un terzo degli intervistati – 33%) afferma, invece, di tenerne conto»

Hugh Jones, managing director, business services di Carbon Trust ha commentato: «Vi è una vera e propria forza propulsiva dietro a un processo di trasformazione di questo tipo, che si pone l’obiettivo di guidare i consumatori verso un cambiamento delle proprie decisioni di acquisto quotidiane in favore di prodotti a basse emissioni di carbonio. Una forza evidenziata anche dal rapporto straordinario “Global Warming of 1.5 º C” condotto dall’Ipcc, che ha dimostrato come, in assenza di significativi cambiamenti comportamentali, sarà impossibile evitare gli impatti peggiori in materia di cambiamenti climatici. In assenza di informazioni affidabili, i consumatori non sono in grado di fare scelte migliori e, come dimostra la ricerca, vi è un aumento dell’interesse alla comprensione circa l’impatto causato dai prodotti sul nostro clima. Per questi motivi, già nel 2007, il Carbon Trust ha sviluppato uno dei primi marchi per la misurazione delle emissioni di carbonio dei prodotti in vendita. Ciò consente ai consumatori di spendere i propri soldi scegliendo aziende che stanno intraprendendo azioni per contrastare il cambiamento climatico».

Forse il sondaggio andrebbe incrociato con i risultati del recente studio. “Buy good, feel good? The influence of the warm glow of giving on the evaluation of food items with ethical claims in the U.K. and Germany” pubblicato sul Journal of Cleaner Production da Sarah Iweala Achim Spiller e Stephan Meyerding del Department für Agrarökonomie und Rurale Entwicklung della Georg-August-Universität Göttingen e che si occupa dei prodotti che sono etichettati dai marchi del commercio equo o biologico, che i consumatori di solito considerano positivamente.

Infatti lo studio fa notare che nonostante il giudizio positivo dei consumatori i dati di vendita di questi prodotti rimangono spesso bassi, anche se offrono vantaggi per l’ambiente o per la società.

Gli scienziati dell’università di Göttingen hanno studiato fino a che punto i fattori come il cosiddetto “Warm Glow of Giving”, il beneficio personale che le persone provano quando fanno del bene, influenzano le intenzioni di acquisto dei consumatori.

Ognuno dei due gruppi di 450 consumatori, quello tedesco e quello  britannico, ha preso decisioni di acquisto virtuali sull’acquisto si diverse marche di cioccolato, che differivano  in termini di prezzo, Paese di origine del cacao e Paese di produzione ed etichettature: biologico, commercio equo e solidale, e CO2 neutral. C’era anche un’alternativa non etichettata dal punto di vista ambientale e/o sociale.

Il e risultato reale è stato molto diverso dalle intenzioni dichiarate nel sondaggio di Carbon Trust: sia per i tedeschi che per i britannici il prezzo è il criterio decisionale più importante, seguito dalle etichettature etiche e dal Paese di produzione. Inoltre, la “Warm Glow of Giving” ha un’influenza relativamente ampia sull’intenzione di acquisto: la prospettiva di fare qualcosa di buono attrae chiaramente molti consumatori ad acquistare prodotti che fanno affermazioni etiche. Ma spesso l’intenzione non viene messa in pratica, Il risultato è che la “luce calda” in realtà è rilevante solo per il cioccolato del commercio equo e solidale.

I ricercatori tedeschi ritengono che questo sia in parte dovuto alla forte associazione con i beni comuni  del marchio del commercio equo e solidale, che sostiene gli agricoltori nei Paesi in via di sviluppo.

La Iweala  a sottolinea che «Altri studi hanno dimostrato che i consumatori associano agli alimenti biologici anche aspetti positivi per la salute. Naturalmente, questo diluisce l’associazione dell’etichetta con il bene comune».

 

Inoltre, sembra essere importante anche il livello di riconoscimento del logo: anche se i consumatori dicono  di sentirsi bene quando pensano di aver ridotto la loro impronta di CO2, questa buona sensazione non li porta a scegliere il prodotto CO2 neutral che invece i consumatori italiani a quanto pare sceglierebbero senza esitazione.  Per i ricercatori «Questo può essere spiegato dal basso profilo di questo particolare logo etico. In entrambi i Paesi, meno del 20% dei partecipanti ha dichiarato di aver già visto il marchio “carbon neutral” durante lo shopping. Al contrario, oltre il 90% dei consumatori era a conoscenza del logo del commercio equo e solidale».

Spiller  conclude: «Se i consumatori non sanno che cosa significa un’etichetta, non possono sentirsi bene quando fanno acquisti e quindi non possono diventare un fattore decisivo nelle loro scelte di acquisto. I nostri risultati dimostrano che nella commercializzazione di prodotti etici, il beneficio sociale dovrebbe essere comunicato attraverso un approccio diretto. Per il marketing, è anche importante che le etichette possono avere un effetto sul mercato solo se sono conosciute: l’odierna ondata di etichette frequentemente sconosciute è controproducente».