Fumo passivo: i Paesi che emettono meno gas serra sono i più vulnerabili ai cambiamenti climatici

In aumento l'enorme disuguaglianza globale tra i grandi emettitori e le popolazioni più colpite

[8 Febbraio 2016]

Il nuovo studioGlobal mismatch between greenhouse gas emissions and the burden of climate change” pubblicato su Scientific Reports da un team dell’università del Queensland e della Wildlife conservation society (Wcs) conferma e dimostra la drammatica discrepanza tra i Paesi che  producono la maggior parte dei gas serra e quelli più vulnerabili agli effetti dei cambiamenti climatici.

Come spiegano al Wcs, «lo studio dimostra che i Paesi che emettono più gas serra sono i meno vulnerabili agli effetti dei cambiamenti climatici come l’aumento della frequenza dei disastri naturali, i cambiamenti degli habitat che cambiano, gli impatti sulla salute umana, e lo stress dell’industria».

La maggior parte dei Paesi più vulnerabili sono quelli africani e i piccoli Stati insulari e si tratta quasi sempre dei Paesi più esposti a gravi cambiamenti ambientali, come l’innalzamento dell’oceano o desertificazione, inoltre sono tra le nazioni meno sviluppate, con poche risorse economiche disponibili per far fronte a questi problemi.

Secondo il principale autore dello studio, Glenn Althor, della School of geography, planning and environmental management dell’università del Queensland, «esiste un’enorme diseguaglianza globale ne fatto che i Paesi maggiormente responsabili di aver causato il cambiamento climatico sono i meno vulnerabili ai suoi effetti. E’ ora che questo persistente peggioramento della disuguaglianza climatica venga risolto e che i più grandi Paesi emettitori agiscano».

Uno degli autori dello studio,  James Watson, che lavora sia per l’università del Queensland  che per la WCS sottolinea che «è come un non-fumatore che prende il cancro per il fumo passivo, mentre i forti fumatori continuano a sbuffare. In sostanza ci chiediamo se i fumatori non debbano pagare l’assistenza sanitaria dei non fumatori che stanno direttamente danneggiando».

Lo studio ha trovato che il 20 dei 36 più Paesi più grandi emettitori – Usa, Canada, Australia, Cina, e gran parte dell’Europa occidentale, Italia compresa –  sono meno vulnerabili, mentre 11 dei 17 Paesi con emissioni basse o moderate sono più vulnerabili ai cambiamenti climatici. La maggior parte di questi Paesi si trovano nell’Africa sub-sahariana e in Asia meridionale. Gli autori dicono che la scoperta dovrebbe agire come un disincentivo per le alte emissione di paesi “free riding”, perché mitighino le loro emissioni.

Ma le cattive notizie per i Paesi poveri non finiscono qui: entro il 2030 il numero dei paesi molto vulnerabili a dovrebbe aumentare e dovrebbero anche peggiorare le pressioni legate ai cambiamenti climatici come siccità, inondazioni,  perdita di biodiversità e malattie.

L’altro autore dello studio, Richard A. Fuller della School of Biological Sciences dell’università del  Queensland, conclude: «Il recente accordo di Parigi è stato un significativo passo in avanti nei negoziati sul clima a livello globale. Ora ci deve essere un  mobilitazione significativa per  queste politiche, per ottenere una riduzione delle emissioni nazionali, mentre si aiutano i Paesi più vulnerabili ad adattarsi ai cambiamenti climatici».