Fao, difendere la salute animale fa bene anche al clima

Semedo: «Inserire tale aspetto negli impegni nazionali al fine di contribuire a mitigare la crisi climatica»

[21 Luglio 2022]

Il nuovo rapporto Il ruolo della salute animale negli impegni nazionali sul clima, elaborato dall’Organizzazione Onu per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) insieme a Global dairy platform e alla Global research alliance on agricultural greenhouse gases, dimostra che un miglioramento della salute animale può contribuire a ridurre le emissioni di gas a effetto serra, in quanto le malattie zoonotiche, l’aspettativa di vita degli animali e la loro produttività sono tutti fattori che producono un significativo impatto su tali emissioni.

In altre parole, lo studio afferma chiaramente la possibilità che un miglioramento della situazione sanitaria degli animali contribuirà a mitigare il clima.

«Il rapporto rappresenta un punto di svolta dal momento che, oltre a mettere in evidenza l’importanza della salute animale, guida i paesi verso l’adozione di un approccio più granulare nella valutazione del suo ruolo e della necessità di inserire tale aspetto negli impegni nazionali al fine di contribuire a mitigare la crisi climatica», spiega la vicedirettrice generale della Fao, Maria Helena Semedo.

Per procedere in tal senso, il rapporto indica in che modo è possibile per i paesi sviluppare un sistema di misurazione, notifica e verifica a livello nazionale per poter tener conto dei progressi compiuti in materia di salute animale negli impegni nazionali sul clima.

A tal fine, tuttavia, è fondamentale – secondo il rapporto – che i paesi ricorrano a metodi dettagliati, noti come Livello 2 o 3, elaborati dal  Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC).

Se il metodo di Livello 1 comunemente usato consente esclusivamente di calcolare le emissioni di gas a effetto serra per animale con medie regionali, il metodo di Livello 2 esamina, invece, sistemi locali di produzione specifici, nei quali rientrano i parametri della mandria, che misurano gli impatti sul numero di animali tra cui mortalità, fertilità, età al primo parto e tasso di rimonta, oltre a fornire informazioni sulla produzione, quali resa in latte e peso dell’animale nelle diverse fasi della vita.
Altrettanto fondamentali sono i dati sul mangime per le diverse categorie di animali e per i vari sistemi di gestione del letame, poiché tali aspetti incidono enormemente sui fattori di emissione. Secondo il rapporto, la misurazione di parametri come il fattore di conversione del metano (CH4) può addirittura richiedere il ricorso a metodi di Livello 3, caratterizzati da una modellazione e, quindi, da dati più complessi.

«Il settore zootecnico è un’indispensabile fonte di nutrimento e sussistenza per oltre un miliardo di persone in tutto il mondo. Lo studio mostra in che modo i governi e l’industria possono collaborare alla definizione di soluzioni climatiche e contribuisce all’iniziativa globale per il clima del settore lattiero-caseario denominata ‘Pathways to Dairy Net Zero’ (‘Percorsi verso l’impatto zero del settore lattiero-caseario’)», conclude Donald Moore, direttore esecutivo di Global dairy platform.