Dagli anni ’90, le ondate di caldo sono già costate migliaia di miliardi all’economia globale

Necessarie misure per proteggere le persone nei giorni più caldi, specialmente nei Paesi a basso reddito

[31 Ottobre 2022]

Secondo lo studio, “Globally unequal effect of extreme heat on economic growth”, pubblicato su Science Advances da Christopher Callahan e Justin Mankin  del Dartmouth College, «Le enormi perdite economiche dovute alle temperature soffocanti causate dai cambiamenti climatici causati dall’uomo non sono solo un problema per il lontano futuro. Dall’inizio degli anni ’90, le ondate di caldo più gravi derivanti dal riscaldamento globale sono già costate all’economia mondiale trilioni di dollari, con le nazioni più povere e con le più basse emissioni di carbonio del mondo che soffrono di più».

Callahan e Mankin hanno messo insieme gli ultimi e più approfonditi dati economici disponibili per le regioni del mondo con la temperatura media per il periodo di 5 giorni più caldo – una misura comunemente usata definire l’intensità del caldo – per ciascuna regione in ogni anno e hanno scoperto che «Dal 1992 al 2013 le ondate di caldo hanno coinciso statisticamente con le variazioni della crescita economica» e stimano che «Circa 16 trilioni di dollari siano stati persi a causa degli effetti delle alte temperature sulla salute umana, sulla produttività e sulla produzione agricola. I risultati sottolineano la necessità immediata di politiche e tecnologie che proteggano le persone durante i giorni più caldi dell’anno, in particolare nelle nazioni più calde ed economicamente vulnerabili del mondo».

Callahan  sottolinea che «Accelerare le misure di adattamento nel periodo più caldo di ogni anno offrirebbe vantaggi economici ora. La quantità di denaro speso per le misure di adattamento non dovrebbe essere valutata solo in base al prezzo di tali misure, ma in relazione al costo del non fare nulla. La nostra ricerca identifica un prezzo sostanzioso per il non fare nulla».

Mankin, che lavora anche per il Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University, evidenzia che «Lo studio è il primo a esaminare in modo specifico come le ondate di caldo influenzino la produzione economica. Nessuno aveva mostrato un’impronta digitale indipendente per il caldo estremo e l’intensità dell’impatto di quel caldo sulla crescita economica. I veri costi del cambiamento climatico sono molto più alti di quanto abbiamo calcolato finora. Il nostro lavoro mostra che nessun luogo è ben adattato al nostro clima attuale. Le regioni con i redditi più bassi a livello globale sono quelle che soffrono maggiormente di questi eventi di caldo estremo. Poiché il cambiamento climatico aumenta l’entità del caldo estremo, è ragionevole aspettarsi che quei costi continueranno ad accumularsi».

Callaha ricorda che «I modelli climatici e le ricerche precedenti avevano incluso le ondate di caldo tra gli altri eventi estremi derivanti dai cambiamenti climatici, come inondazioni più frequenti e una maggiore intensità delle tempeste. Ma le ondate di caldo hanno una firma unica. Si verificano in tempi più brevi rispetto alla siccità e si prevede che le temperature dei giorni più caldi dell’anno aumenteranno molto più rapidamente della temperatura media globale, poiché l’attività umana continua a guidare il cambiamento climatico. Le ondate di caldo sono uno degli effetti più diretti e tangibili del cambiamento climatico che le persone avvertono, ma finora non erano state completamente integrate nelle nostre valutazioni di quanto il cambiamento climatico è costato e costerà in futuro. Viviamo in un mondo che è già stato alterato dalle emissioni di gas serra. Penso che la nostra ricerca aiuti a dimostrarlo».

I risultati dello studio rendono ancora più evidenti le questioni della giustizia climatica e della disuguaglianza. Mankin e Callahan fanno notare che «I costi economici del caldo estremo, così come le spese di adattamento, sono stati e saranno sostenuti in modo sproporzionato dalle nazioni più povere del mondo nei tropici e nel sud del mondo. La maggior parte di questi Paesi ha contribuito meno al cambiamento climatico». I due ricercatori hanno scoperto che «Mentre le perdite economiche dovute a eventi di caldo estremo sono state in media dell’1,5% del prodotto interno lordo (PIL) pro capite per le regioni più ricche del mondo, le regioni a basso reddito hanno subito una perdita del 6,7% del PIL pro capite». Inoltre, lo studio ha rivelato che «Fino a un certo punto, le regioni subnazionali ricche dell’Europa e del Nord America, che sono tra le maggiori emissioni di carbonio al mondo, potrebbero teoricamente beneficiare economicamente di periodi di giornate più calde».

Mankin  spiega ancora: «Abbiamo una situazione in cui le persone che causano il riscaldamento globale e i cambiamenti del caldo estremo hanno più risorse per essere resilienti a tali cambiamenti e, in alcuni rari casi, potrebbero trarne vantaggio. Si tratta di un massiccio trasferimento internazionale di ricchezza dai Paesi più poveri del mondo ai Paesi più ricchi del mondo attraverso il cambiamento climatico, e quel trasferimento deve essere annullato».

Ad agosto, Mankin e Callahan hanno pubblicato su Climatic Change lo studio “National attribution of historical climate damages che ha valutato i danni economici che i singoli Paesi hanno causato agli altri a causa del loro contributo al riscaldamento climatico e che ha presentato le basi scientifiche di cui le nazioni hanno bisogno per valutare la loro posizione legale per richiedere danni economici dovuti alle emissioni di gas serra e al riscaldamento. Nel nuovo studio, i due ricercatori  dicono che «I principali emettitori mondiali dovrebbero pagare gran parte del conto per adattarsi a eventi di caldo estremo, oltre ad aiutare le nazioni a basso reddito a sviluppare economie a low-carbon».

Mankin conclude: «Nell’economia globale, la condivisione dei costi delle misure di adattamento andrebbe a beneficio sia delle nazioni ricche che in via di sviluppo. Quasi nessun Paese sulla Terra ha beneficiato del caldo estremo che si è verificato. Eventi globali come la pandemia di Covid-19 hanno rivelato la stretta interconnessione tra la catena di approvvigionamento e l’economia globale. I Paesi a basso reddito hanno un numero sproporzionato di lavoratori all’aperto che spesso producono materie prime davvero essenziali per la catena di approvvigionamento globale: c’è assolutamente il potenziale per causare effetti a catena verso l’alto».